Week-end tranquillo, stavolta. Con Roald Hoffmann sabato al festival della scienza di Bergamo, per la prima italiana della sua nuova opera teatrale “Se si può, si deve?” (Di Renzo editore).
Un chimico si suicida, per tante ragioni tra cui l’uso terroristico di una neurotossina che lui ha reso facile sintetizzare, e la sua morte costringe l’ex moglie, la figlia e il compagno di lei a ripensare rapporti sociali e privati.
L’allestimento, di grande impatto visivo, era inaspettato, sottolineava l’aspetto tragico mentre la pièce è dolce-amara. Domenica, sempre a Bergamo Roald ha parlato su arte e chimica, fuori dalle idee e dagli esempi che uno s’aspetta da un teorico (meccanica quantistica degli orbitali).
Ieri a Modena, ha fatto un seminario al Centro S3, nanoscienze, di Elisa Molinari sui metodi per definire, misurare, situare il “legame chimico” e le teorie che ci stanno dietro. Alla sera al teatro San Carlo, ha poi fatto una conferenza – stimolante – intitolata “Why buy this theory?”. Su che cosa rende seducente una teoria, e utile anche se poi risulta sbagliata.
Ci riflette da un po’ di anni con un’attenzione al linguaggio che pochi scienziati hanno. Chiacchierando dopo, si diceva che tutte le discipline – anche letterarie – vivono una crisi teorica. Un’insoddisfazione generalizzata, insomma. A me sembra di buon augurio, c’è posto per i non conformisti. E per il tutto fa brodo (anything goes), aggiunge lui.