Milano-Torino e ritorno

A volte informazioni sparse coincidono davvero.

Radio popolare

Sono i giorni di Thyssen Krupp, stamattina sento gli operai ospiti di M. Rebotti dire che nessuno è più fiero di essere operaio, meglio cassiere o commesso in un centro commerciale.

Il libro

Ieri sul treno per/da Torino leggevo Contro il declino (Codice) di Pietro Greco e Settimo Termini. Propongono di puntare su ricerca e innovazione anche con misure pratiche. E chi non lo fa da Ruberti in poi? Tutti, politici, imprenditori, sindacati parlano di economia della conoscenza, il coro è assordante e nel frattempo la fanno gli altri, gli USA da 50 anni, la Cina da 20.

Piazza Cadorna

Ieri tornando, passo davanti al terminal dello hub di Malpensa, perno (hub) di un’unica linea ferroviaria, stazioncina di provincia, un po’ sporca, sovrastata dall’ago con filo, il monumento alto tre piani alla sartina, simbolo di Milano “capitale finanziaria ed economica del paese”. Chissà come mai i milanesi tollerano tanto sarcasmo nei loro confronti.

Torino

Breve chiacchiera con delle prof a proposito di un’università milanese che dà una laurea honoris causa a Mike Buongiorno, “la dimostrazione che meno ne sai e più sei qualcuno, giusto quello che ci serve,” dice una. “Siamo centri commerciali, e per attirare i clienti, visto che i fondi ministeriali sono distribuiti a quantità invece che a qualità, offriamo sconti sull’impegno e laurea garantita.” Qualche studente, dice la prima, se n’accorge e cambia indirizzo durante il triennio, non molti dalla sua faccia.

Il calendario

Mi arriva per mail da una signora che non conosco, amica di un amico. Bella l’impaginazione, belle le foto di metalmeccanici al lavoro o appoggiati a una macchina nella Trafiltubi, una fabbrica di tubi high-tech vicino a Milano, gestita da lei e un altro architetto (che l’ha ereditata, credo). Loro due sono specialisti di soluzioni sostenibili, quelle che richiedono ricerche in ingegneria.

L’ideale sarebbe se i tubi fossero comprati qui da una fabbrica di bici leggere e solide per esempio. In Italia non ce ne sono più, al massimo attaccano il marchio alle made in China. Certo, costano meno, gli stipendi italiani sono bassi, solo i ricchi si possono permettere una bici “ad alto contenuto di innovazione” e quindi “ad alto valore aggiunto”. Con la crisi dei mutui, restano ricchi i miliardari, è in crisi il lusso di massa, leggo sull’Economist.

Cappuccino al bar sotto casa

Un cliente dice che era andato a Singapore nel 1984. E’ cambiata, dico. “Ma anche allora, rispetto a qua… E’ che là son diversi, hanno un’altra mentalità, da formiche,” dice con l’aria di chi si preferisce cicala.

Negli anni ’50, la previsione generale era che quel melting pot di etnie sarebbe morto di fame con la fine della colonia inglese. Ha avuto fame un’intera generazione:  per scelta o costretta dal regime, aveva investito il poco che aveva nell’educazione dei figli in scienza e tecnologia.

Niente Shinkanzen

In Contro il declino, sono citati molti economisti, analisti, intellettuali italiani, tutti con moniti e proposte sensate, tutti inascoltati.  Spesso la loro ricetta ha funzionato in altri paesi. Ma non dovevano pagare tanti interessi sul debito dello stato, sottratti agli investimenti in nuove infrastrutture che risparmino energia, tempo, denaro alla collettività.

“Abbiamo vissuto al di sopra dei nostri mezzi,” dice una giovane donna sul treno per Torino. Si occupa di sicurezza sul lavoro, va a fare “sensibilizzazione” in un istituto tecnico superiore. Ha perso la coincidenza con il treno precedente per un ritardo. “La pagheremo ma non c’interessa, preferiamo credere a quelli che dicono di aver il trucco per andare avanti come prima.”

Le tasse tedesche

Contro il declino cita la Germania in ripresa, mentre appena due anni fa gli economisti prevedevano che continuasse a declinare. Dal 1990, erano inorriditi dalle tasse per pagare la modernizzazione dei Laender dell’est, quasi 3% del prodotto nazionale lordo speso per la ricerca invece di privatizzarla.

Solo coincidenze?

Greco e Termini scrivono con una speranza: gli italiani capiranno, il paese si riprenderà. Non so. Gli economisti, analisti, intellettuali che qui sono ascoltati la pensano come il cliente del bar: la cinghia stretta perché domani altri se l’allentino è da formiche. Forse al paese come a Milano, piace l’idea di essere un centro commerciale per turisti a reddito medio-basso, con davanti il monumento alla sartina.

p.s. Nel frattempo

Non vorrei deprimervi. Non è mica obbligatorio fare ricerca e innovazione qui. Ci pensano gli altri, vedi budget per il 2008 di India, Cina e soprattutto Brasile, quei governo sembrano aver anticipato la conclusione dell‘incontro di Bali.

La delegazione statunitense ci ha ceduto. Anche se il governo federale si rimangia l’impegno, cresce la lobby delle corporation che hanno bisogno di una singola tabella per i limiti alle emissioni di gas serra. Per ora ne ho contate dieci, tutte diverse, un incubo prima per i costruttori di centrali a carbone, a cantieri fermi infatti, e dopo per i consumatori della loro energia, tra cui le corporation, influenti in campagna elettorale.

Tanto più che a gennaio parte questa iniziativa bipartisan anche se tra i promotori, noto amici e conoscenze che “bipartisan” proprio non ce li vedo.