Financial endocrinology: Bulls at work è il titolo di un articolo spiritoso dell’Economist sulla ricerca di John Coates e Joe Herbert, univ. Cambridge, uscita nei PNAS il 14 aprile.
Misura i livelli di testosterone e di cortisolo nella saliva di 17 traders di Londra e li confronta con l’andamento del mercato. “I traders sono più stressati dall’incertezza che dall’insuccesso – conclude l’Economist. – Si tratta probabilmente di una reazione realistica alla natura del loro lavoro… Suggerisce altresì che, chiunque abbia coniato l’espressione ‘bull market’, ne avesse colto bene gli aspetti fisiologici e psicologici.” Sempre che non sia stato lo stesso ad aver coniato “bear market” visto che, salvo letargo, quanto a steroidi nemmeno gli orsi scherzano.
Fra gli articoli che ho visto, nessuno cita le stesse ricerche, con risultati analoghi, fatte vent’anni fa da Bob Sapolsky sui babbuini. Chissà perché.
Panico alimentare
E’ interessante paragonare l’analisi dell’attuale “food scare” fatta dall’Economist (in Europa, sulla copertina c’è Berlusconi compiaciuto e il titolo “Mamma mia”, nel resto del mondo c’è un campo di grano sotto un cielo tempestoso e “The Silent Tsunami”) e da Science di oggi.
Il primo parla di “fallimenti del mercato a ogni anello della catena alimentare”, sarà un’autocritica? Il secondo dei rapporti IAASTD di cui dicevo in un altro post, di disastri ambientali prodotti dall’aumento della produttività agricola, delle soluzioni già collaudate. Qui gli autori fanno notare che ai bisogni dei contadini poveri pensa soltanto il CGIAR, e mai l’industria privata. A dispetto delle pubblicità in cui si mostra impegnata a sfamare il mondo, del WTO e di certi governi che vogliono privatizzare il CGIAR…