Mangiarsi il mare

Il krill antartico, immensi tappeti di Euphausia stupenda stesi sull’oceano, è  la più vasta riserva mondiale di cibo per pinguini, balene, pesci e umani. Stando alla Convention for the Conservation of Antarctic Marine Living Resources se ne può rastrellare – a strascico – 3,4 milioni di tonnellate all’anno senza problemi. L’anno scorso se n’era pescato sulle 100-120 mila tonnellate, la previsione per quest’anno è di 150-180.000, da trasformare in mangime per allevamenti ittici. Alle aziende che accettano la presenza di qualche scienziato a bordo delle proprie navi e di fornire informazioni verificabili, il Marine Stewardship Council rilascia un certificato di sostenibilità senza problemi.

Invece ce ne sono, scrivono su Nature di oggi l’economista Jennifer Jacquet dell’università del Western Washington e i suoi colleghi biologi di Sea Around Us (un omaggio a Rachel Carson).

Il krill non è distribuito in modo uniforme, si concentra sotto la banchisa antartica dove s’attaccano le alghe che bruca e guarda caso proprio dove si concentrano i pinguini; le zone accessibili sono poche, le navi più numerose sono giapponesi e sud-coreane che non imbarcano scienziati e non si sognano di chiedere certificati di buona condotta ambientale; e dall’anno scorso ha fatto la sua comparsa la prima nave cinese che dovrebbe essere seguita da molte altre.

Star system
Di solito la minaccia cinese induce altri paesi ad accaparrarsi il massimo della risorsa prima che lo facciano altri, ma le Ong ambientaliste sperano che questa volta si mettano d’accordo per stabilire i limiti zona per zona. E per finanziare ricerche, per esempio sulla presenza o meno di krill oltre i 200 metri, e quanto risente dell’acidificazione e del riscaldamento da CO2 lui e l’alga di cui si nutre. La Convention dovrebbe discuterne  al vertice di ottobre. Decidere qualcosa è quasi escluso, lo status quo favorisce gli interessi  a breve dei paesi che già hanno fatto saltare gli accordi sui tonni e sulle balene. Figurarsi su gamberetti che nessuno ha mai visto in tavola o in tv.

Sulle riviste scientifiche e non, si parla molto dell’effetto della Cina sul cambiamento climatico e poco dell’effetto del cambiamento climatico sulla Cina, o sbaglio? Shilong Piao e altri ricercatori, cinesi e non, passano in rassegna i pochi studi d’impatto del cambiamento climatico sulle risorse idriche e sull’agricoltura nelle regioni molto varie della Cina.

L’elemento decisivo sono le precipitazioni, localmente imprevedibili tenuto conto che variano molto le stagioni di semina e raccolto, ma tentano lo stesso alcuni scenari. Il più favorevole prevede rese stabili fino al 2050, il peggiore un calo del 20%.
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