L'albero della vita


Innanzitutto, il link che m’ero dimenticata all’antimateria del CERN, presentata con il titolo “Upping the anti”. Spiritosi a Nature Physics
E l’albero non è quello, ma delle angiosperme.

Le organizzazioni che cercano di proteggere la biodiversità si basano sulla Red List dell’UCN, anche perché ha un’uniformità di categorie e criteri che consente di arruolare volontari per i censimenti. Dopo una formazione minima su cosa controllare, anche un’oca può andare sul campo e riempire il formulario per gli elefanti e i licaoni come per le strelitzie e le tecomaria.

Ma la comodità potrebbe pagarsi con deduzioni errate sul tasso di estinzione delle piante e sulle sue cause. E’ sicuro che le piante sono di meno, per lo più sostituite da poche specie invasive, ma come mai soccombono quelle che dovrebbero essere meglio adattate al proprio territorio? La risposta di solito è “glielo abbiamo cambiato troppo in fretta”. E’ sbagliata?

Su PLoS Biology, Jonathan Davies et al. hanno comparato i dati della Red List per la flora della Gran Bretagna, iperstudiata, e quella del Sudafrica. Questa, finanziata dal governo norvegese, è stata compilata da 200 specialisti assistiti da “membri del pubblico” e coordinati dal National Biodiversity Institute, e pubblicata nel 2009.

Delle 20.000 piante locali, 2.577 sono state classificate a rischio di estinzione, il 67% delle quali nella provincia del Capo. Però, scrivono Davies et al.,

dimostriamo che la distribuzione tassonomica del rischio di estinzione è significativamente diversa tra Sudafrica e Gran Bretagna, e incoerente con un modello di estinzione semplice… Usando un albero filogenetico completo per la provincia del Capo, riveliamo un chiaro segnale di rischio, ma le specie più minacciate si aggregano in rami corti sulle punte filogenetiche, al contrario di quanto che succede ai mammiferi.

Questa volta non è colpa nostra

Il rischio è maggiore per i lignaggi delle piante che sono ancora giovani ed evolvono velocemente. Non bastano a spiegarlo correlazioni con semplici caratteristiche biologiche. Eppure le specie vegetali più vulnerabili s’avviano più velocemente delle altre verso l’estinzione, indipendentemente dagli effetti antropici.

Dipenderebbe dall’ultima spinta evolutiva che le ha rese fragili rispetto al territorio dove si trovano.  Se crescevano uguali alla nonna invece…

Ok, ma attraverso quale tipo di selezione verrebbe penalizzata una speciazione rapida? Perché alcune specie non dovrebbero farcela? Succede sempre e dappertutto così o solo al Capo e solo ora? Insomma è una di quelle ricerche ben confezionate statisticamente, ma nel pacchetto manca la torta.

Gli autori non sono i primi a trovare troppo omogenei i criteri di valutazione dell’UCN e a chiedere un’indicizzazione diversa del rischio per le piante (e per gli insetti), con ragionamenti e confronti simili. Ma quali criteri usare allora? Loro non lo sanno:

Stimare il vero impatto dell’estinzione delle piante sulla perdita storica di biodiversità nelle angiosperme richiederà conoscenze particolareggiate delle relazioni filogenetiche e interspecifiche nei taxa superiori.

Sulla scala temporale dell’evoluzione, il turnover delle angiosperme sarebbe accelerato. Forse, ma in questo caso si devono proteggere solo le gimnosperme? Le angiosperme più antiche? Tanto vale lasciar perdere?

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Su PLoS Medicine invece:

Visto che noi riviste mediche e difensori della sanità pubblica denunciamo i conflitti d’interesse delle corporation, il marketing inappropriato nei confronti dei bambini, l’auto-regolamentazione impotente e una generale violazione delle regole, perché ignoriamo Big Alcohol… quando in Europa il 10% dei tumori maschili e il 3% dei tumori femminili è legato al consumo di alcolici?

Perché i nostri governanti bevono?