Prosegue il dibattito attorno all’inchiesta di Bohannon sulla peer-review e la sua assenza nelle riviste biomediche open access; ho aggiunto un po’ di link nel post di ieri.
La cosa sorprendente – trovo – è che in tutti i commenti scritti da ricercatori che ho letto in questi due giorni, solo uno ricorda che l’open access mette le ricerche a disposizione di chi non è in grado di valutarne l’attendibilità. Una ragione in più per valutarle con rigore prima di pubblicarle.
Lo speciale sulla comunicazione nella/della scienza deborda in altre sezioni di Science:
– tre articoli positivi sulla prima parte del V rapporto di valutazione, pubblicata in bozza dall’IPCC. Nel terzo Eli Kintish scrive
The IPCC’s prestige drives researchers to finish work. To have a chance of being cited in last week’s report, researchers had to submit their papers to a journal by 31 July 2012. In the months before the deadline, Nature Geoscience received a surge of papers: about 170 per month, or 24% above average. But there was a downside to the scramble, the editors noted in a recent editorial: papers not “as carefully thought through” as desired.
– In “Quantifying Long Term Scientific Impact“, bozza gratis, Dashun Wang, Chaoming Song e Albert-Lászlò Barabási descrivono un modello (matematico) predittivo del numero di citazioni e quindi del successo di un paper sull’arco di trent’anni. Semplifico, comunque è basato sulla “fitness” nel senso della sua utilità e quindi riproduzione che avviene su Internet, della qualità dei siti dove viene linkato, della sua longevità, per estrapolare la curva delle citazioni nel tempo:
Our findings have policy implications, because current measures of citation-based impact, from Impact Factor to Hirsch index, are frequently integrated in reward procedures, the assignment of research grants, awards, and even salaries and bonuses, despite their well-known lack of predictive power. In contrast with the IF and short-term citations that lack predictive power, we find that c? offers a journal-independent assessment of a paper’s long term impact, with a meaningful interpretation: It captures the total number of citations a paper will ever acquire or the discovery’s ultimate impact. Although additional variables combined with data mining could further enhance the demonstrated predictive power, an ultimate understanding of long-term impact will benefit from a mechanistic understanding of the factors that govern the research community’s response to a discovery.
(link aggiunto) Il linguaggio è preoccupante…
L’idea di fitness è corretta, trovo, per descrivere una dinamica sociale, ma il modello elimina il caso – per es. le associazioni idiosincratiche di idee – dalla selezione naturale. La traiettoria delle citazioni, equiparate all’utilità, è quella tracciata dalle condizioni iniziali scelte. Vengono in mente contro-esempi come quello dei fotoni coerenti.
Anche James Evans è molto cauto, ma alla fine profetizza anche lui
These cautions, however, do not apply to all that more successful impact prediction portends. The ability to automatically extract scientific claims from research articles and reason across them should lead to the prediction or computational generation of promising new hypotheses. It likely will also expose common assumptions and practices of science to scrutiny and explicit evaluation. In this way, citation prediction represents one step on the path to creating algorithmic or robot “scientists” that are more creative, risky, persistent, and wide-reading than ourselves. By enabling scientists to consider not only the most fruitful hypothesis but also the most fruitful algorithm for generating hypotheses, future prediction methods would augment scientific ability, increase productivity, and multiply returns from science for society.
Mah… Per esempio Dan Kahan (Yale) interviene su comunicare i rischi associati alle vaccinazioni:
One recurring source of risk controversy is a dynamic known as “cultural cognition.” Both to avoid dissonance and to protect their ties to others, individuals face a strong psychic pressure to conform their perceptions of risk to those that distinguish their group from competing ones—a bias in reasoning that can actually intensify as the public becomes more science literate.
Gli anti-vax sono pericolosi per tutti quelli che non possono essere vaccinati, ma sarebbe sbagliato collegarli ad altre “diffidenze contro la scienza” come negare l’evoluzione o i cambiamenti climatici. Qualcosa li accomuna però:
The failure of democratic societies to use scientific knowledge to protect the science communication environment from influences that prevent citizens from recognizing that decision-relevant science contributes to their well-being.
Kahan ne parla sul suo blog, nel secondo post con più dati.
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Anticipato su Science Express, c’è un divertente – e plausibile – paper di David Comer Kidd ed Emanuele Castano. Raccontano 5 esperimenti con circa 600 volontari. Risulta che la lettura di romanzi (fiction) migliora la teoria della mente (ToM):
Literature has been deployed in programs intended to promote social welfare, such as those intended to promote empathy among doctors and life skills among prisoners. Literature is, of course, also a required subject throughout secondary education in the United States, but reformers have questioned its importance… Debates over the social value of types of fiction and the arts more broadly are important, and it seems critical to supplement them with empirical research. These results show that reading literary fiction may hone adults’ ToM, a complex and critical social capacity.
Mini bibliografia su letteratura e medicina.
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Sempre in tema di comunicazione, l’ultimo paper di Ben Santer, Gavin Schmidt e altra bella gente anticipato sui PNAS è preceduto dall’abstract e da:
Significance
Observational satellite data and the model-predicted response to human influence have a common latitude/altitude pattern of atmospheric temperature change. The key features of this pattern are global-scale tropospheric warming and stratospheric cooling over the 34-y satellite temperature record. We show that current climate models are highly unlikely to produce this distinctive signal pattern by internal variability alone, or in response to naturally forced changes in solar output and volcanic aerosol loadings. We detect a “human influence” signal in all cases, even if we test against natural variability estimates with much larger fluctuations in solar and volcanic influences than those observed since 1979. These results highlight the very unusual nature of observed changes in atmospheric temperature
Nel caso servisse una conferma…
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Judith Curry, Steve McIntyre e Bob Tisdale copiati dai soliti disinformatori italiani accusano di orrendi crimini gli autori della sintesi del rapporto IPCC perché, rispetto una vecchia bozza, nella versione finale un grafico (sinistra) è stato sia corretto che completato (destra).
L’errore – segnalato nel dicembre scorso da tamino – era che nel confronto tra modelli e misure della temperatura, la tendenza proiettata dal 1990 (anno del primo rapporto) al 2030 partiva dalla “linea-base” di un singolo anno, il 1990, e mancava quella dei 40 anni precedenti.
Tamino ci va a nozze – tra l’altro aveva aveva segnalato l’errore nel dicembre scorso – e Dana Nuccitelli pure perché il 1990 era un “picco”, il più caldo registrato da 110/150 anni.
I risultati di questo studio non sorprendono; noi ricercatori siamo bombardati da email di fantomatiche riviste online che ci promettono una pubblicazione veloce ed “economica” dei nostri lavori. Molto utile che il sospetto di una insufficiente attenzione al contenuto scientifico venga confermato da dati reali.
2 considerazioni:
1. sfruttando queste “ventre molle” e’ possibile “costruire” curriculum scientifici; tenete conto che nel valutare i ricercatori spesso si tiene conto anche del numero dei lavori, una pratica che rischia di essere davvero superficiale.
2. i rimedi possibili sono: (i) liberare i ricercatori dall’ossessione della quantita’; (ii) privilegiare le riviste che coniugano trasparenza nelle procedure di selezione con un controllo di qualita’ ed accesso completo ai dati, in modo che questi possano essere verificati ed, eventualmente, riutilizzati da altri studiosi.
giovanni.destrobisol@uniroma1.it
https://sites.google.com/site/openingsciencetosociety/
@Giovanni Destro Bisol
2. Sì, ma sono rimedi che i ricercatori devono somministrarsi – un po’ ci provano, e anche voi.