Paris-XIème

Ci abita la mia amica d’infanzia, da lei ho una stanza, è la mia  base. Non rispondeva, era via. Adesso so che i “miei” sono tutti sani e salvi.

Un tempo era un quartiere di operai e artigiani come la Belleville di Malaussène nei romanzi di Pennac, poi si è gentrificato. Parecchi opifici sono diventati atelier d’artiste o loft per intellettuali, nelle botteghe dove si riparavano i mobili, giovani cinesi, indiani, iraniani o egiziani riparano i laptop, risuscitano gli smartphone e salvano le incapaci dalla disperazione.

Ma basta se balader un po’ e si capisce che non è né chic né bourge.

“L’aria è greve”, mi dicono gli amici del quartiere dopo la strage di innocenti, come sempre negli attentati terroristici – ma in gennaio per le vittime a Charlie Hebdo e al supermercato kasher, a volte la gente ci diceva che “se l’erano cercata”. Anche oggi fra i terroristi ci sono dei francesi, si rinnova  lo stesso pugno allo stomaco, lo “stato d’urgenza” e la  retorica del “noi e loro” non  aiutano.

Aiuta parlarne con gli amici là e qui, magari la conversazione svia sul Bataclan ai tempi dei cantautori e sul declino della chanson française, non, non, de la chanson tout court, perché se manca quella francese… O sui giardini del quartiere, altro motivo di fierezza, a proposito dei fiori davanti al Consolato francese di Milano. Per un po’ si torna sciovinisti, nostalgici, criticoni, des Parisiens, quoi.

L’air est lourd, c’est pas l’cas d’fanfaronner (oggi anche espressioni banali mi commuovono, o forse sono le voci). Contro chi di noi è pronto a morire pur di ucciderci, i dispiegamenti militari sono inutili, ma nessun politico osa dichiararsi impotente, quindi mentono, dice un amico, stufo dei toni bellicosi di Hollande et al.

E insieme, come notava Stephen Jay Gould dopo l’11/9, all’improvviso ci colpisce la gentilezza degli estranei. E’ così dappertutto, a New York o a New Delhi, Beirut o Parigi-XIème. Di più nell’XIème, magari voglio illudermi, dove prevalgono i métèques e i non métèques hanno tutti parenti e amici emigrati in giro per il mondo. Il “noi e loro” attecchisce meno facilmente.

Le strade sono bloccate salvo per i pedoni, le manifestazioni vietate, ma si va lo stesso verso la Bastille, la République o la Nation, in tanti per rassicurarsi, ritrovarsi nelle piazze della storia nazionale. Un rito forse un po’ ridicolo, ma è la nostra storia, la nostra nazionalità, anche se emigrati da decenni.

Anche scriverne in italiano aiuta, grazie dei fiori, delle candele accese, dei tweet d’amore per Parigi. La nausée torna a ogni notiziario, ma un po’ meno.

11 commenti

  1. Non è un rito ridicolo così come non è ridicolo illuminare i palazzi con la bandiera francese o, come ha fatto il mio comune, esporre a mezz’asta la bandiera francese o, come a Palermo, cantare la marsigliese fuori dal teatro. Perchè davvero oggi francesi siamo tutti noi così come, speriamo mai, i francesi potrebbero essere inglesi, italiani o di chissà quale paese daesh potrebbe colpire. Non è uno scontro etnico né religioso, c’è solo da vincere sull’orrore. E vinceremo, solo vorrei nel fratempo non dover piangere altri morti.

    1. Grazie anche a voi, davvero, gesti di solidarietà, apprensione, pietas forse è la parola che riassume meglio, sembrano rendere l’orrore meno amaro, meno tossico. Ha ragione Riccardo, non sono riti ridicoli. E’ che dopo Charlie sono un po’ sulla difensiva nel parlare dei simboli della storia francese, so bene che sono a doppio taglio. Nell’XIème per dire, al metro Charonne c’era stata un’altra strage nel 1962 e adesso dovremmo ricordarcela, trovo.
      “Rimaniamo umani” mi ha fatto pensare a remember our common humanity nel 1945, a quello che scriveva Bob Sapolsky dopo l’11/9 sul grooming di noi primati e anche alla kindness of strangers che si ribalta così facilmente in caccia al capro espiatorio. Non so se vinceremo, temo che si ripetano gli anni ’30 con un’altra quinta colonna da estirpare dal “corpo sano” della nazione.

  2. Un pensiero, Sylvie. Io sto pian piano sentendo i miei amici parigini, pian piano che la mia apprensione è l’ultima delle priorità. Rimaniamo forti, rimaniamo umani.

  3. @ Oca Sapiens
    Un abbraccio a tutta la Francia.
    Non so se vinceremo, temo che si ripetano gli anni ’30 con un’altra quinta colonna da estirpare dal “corpo sano” della nazione.
    E’ esattamente la mia preoccupazione; la mia angoscia. Pressante fin dall’11 settembre.
    Poiche’, come scrive Reitano, questo non e’ uno scontro etnico o religioso. Ma sono in molti a premere perche’ lo diventi. E se avessero successo, avremmo comunque perso anche se dovessimo vincere.

  4. Il rischio, e anche l’intento esplicito di quegli atti, è proprio quello. Il primo obiettivo di chi si autoprofessa “Stato Islamico” è quello di imporre una distinzione radicale fra “fedeli” e “infedeli”. Tra “con noi” e “contro di noi”. Il primo obbiettivo è rendere impossibile la vita alla stragrande maggioranza di moderati e pacifici mussulmani. Lo dimostrano le bombe in Libano, in Siria, in Iraq, … E, purtroppo, i nostri estremisti, che ora blaterano di crociate, sono preziosi alleati in questo processo di polarizzazione. Ancor più preziosi perché sono tonti abbastanza da non capirlo.

  5. @ Gvdr
    purtroppo, i nostri estremisti, che ora blaterano di crociate, sono preziosi alleati in questo processo di polarizzazione. Ancor più preziosi perché sono tonti abbastanza da non capirlo
    Forse sono eccessivamente pessimista, ma sono convinto che molti di loro lo capiscano benissimo. E che usino la dichiarata ostilita’ al mondo mussulmano (mostrato, consapevolmente della scorrettezza, come indifferenziato) in maniera squisitamente strumentale al fine di combattere il vero nemico: quello che loro definiscono, spregiativamente, “modernismo”, ovvero la civilta’ laica affermatasi, in occidente, in seguito alla rivoluzione dell’89.

  6. All’orrore delle stragi si associano sempre altri uomini disgustosi che ne approfittano per ottenere qualche misero vantaggio politico. Ad esempio, il Dott. Roy Spencer, tipico esponente della destra cristiana made in USA (negazionista climatico, creazionista, etc.) ha pubblicato sulla sua pagina facebook un delirio in cui sostiene che l’ISIS dovrebbe appoggiare la lotta ai cambiamenti climatici e la conferenza di Parigi di fine mese, davvero misero tentativo di associare le due cose.
    Non voglio neanche commentarlo. Piuttosto, mi piacerebbe che si parlasse degli infinitamente più numerosi piccoli o grandi gesti di chi non intende rinunciare alla propria umanità. Ieri ne ho letto uno. Un americano che l’undici settembre 2001, mentre era in Francia, seppe cosa era successo dall’abbraccio di cordoglio ricevuto da uno sconosciuto al bar; ora, raccontando l’episodio, invita tutti a ricambiare quell’abbraccio ricevuto perché è stato importante per lui, è importante per i parigini oggi, è importante per noi stessi far prevalere la nostra umanità sulla rabbia cieca, il dolore e l’orrore.

  7. Hai ragione Riccardo, e visto che ci sono mi permetto di abbracciare (almeno figurativamente) le mie colleghe ed i miei colleghi, che per tre anni hanno diviso il mio corridoio in un pacifico, laico e spesso gioioso percorso di ricerca e scoperta. Hanno nomi Iraniani, Francesi, Pakistani, Scozzesi, Afghani, Armeni, Indiani, Inglesi, Bangladesi, Tedeschi. Perché anche molti di loro conosco da vicino il terrore, lo hanno spesso vissuto e han dovuto darvi una rispota. E perché, a costo di essere deriso come buonista, e’ nel deserto degli abbracci mancati che l’odio attecchisce.

  8. Anche se in ritardo, un abbraccio virtuale a Sylvie e a tutti i francesi, a tutti gli europei e a tutti i musulmani colpiti fisicamente e nell’animo da queste nullità col fucile e l’esplosivo.
    Altro, ancora dopo 10 giorni, non mi viene da dire. Ma a volte è meglio tacere.

  9. Qualcosa da dire lo ha una giovane italiana mussulmana e lo dice con il cuore, forte e chiaro e con rabbia. Vi invito a leggerlo, quoto solo l’inizio che ho trovato folgorante:
    “Maledetti terroristi, sono Chaimaa Fatihi, ho 22 anni, sono italiana musulmana ed europea.”

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