Piccoli gesti

Leggo i commenti sotto gli articoli dei quotidiani francesi e condivido il pessimismo di Gvdr e di E.K.Hornbeck. L’odio per la libertà accomuna i fondamentalisti e quelli nostrani pensano che i parigini “se la siano cercata”, come in gennaio per Charlie.

Non era successo quando i terroristi della GIA avevano fatto una strage nel metro Saint-Michel vent’anni fa. E il governo francese non ne aveva bombardato le basi in Algeria.

Nei fautori dello “scontro di civiltà”, la civiltà da far trionfare è quella dei “benpensanti”,  intolleranti, moralmente superiori, più gonfi di rabbia e di disprezzo. Riccardo Reitano segnala i pensieri disumani di Roy Spencer, uno scienziato americano, ma aggiunge

Non voglio neanche commentarlo. Piuttosto, mi piacerebbe che si parlasse degli infinitamente più numerosi piccoli o grandi gesti di chi non intende rinunciare alla propria umanità. Ieri ne ho letto uno. Un americano che l’undici settembre 2001, mentre era in Francia, seppe cosa era successo dall’abbraccio di cordoglio ricevuto da uno sconosciuto al bar; ora, raccontando l’episodio, invita tutti a ricambiare quell’abbraccio ricevuto perché è stato importante per lui, è importante per i parigini oggi, è importante per noi stessi far prevalere la nostra umanità sulla rabbia cieca, il dolore e l’orrore.

Ieri nelle piazze e nelle strade dell’XIème, uomini e donne offrivano “free hugs”. Questa mattina sul mio cappuccino il barista ha scritto in cioccolato “Paris” con sopra un cuore. 

***

La disumanità di Roy Spencer  è innescata da ricerche che attribuiscono anche alla siccità aggravata dai cambiamenti climatici le proteste dei siriani contro il loro governo nel 2011. Oggi Richard Harrabin della BBC riassume la puntata di Changing Climate. Protagonisti l’economista Richard Tol e il banchiere fallito Matt Ridley, il cui messaggio è “va tutto bene, Madame la Marquise, i paesi ricchi lo diventeranno ancora di più” – Tol con qualche sfumatura – e gli scienziati che lo smentiscono.

12 commenti

  1. A proposito di abbracci, a Genova un egiziano li chiede davanti la cattedrale di San Lorenzo; “siamo tutti uguali”, dice, e loro soffrono più di noi l’inciviltà disumana di ciò che accade.
    Altro che scontro di civiltà, è uno scontro contro l’inciviltà e tutti (TUTTI) insieme la dobbiamo battere. I mussulmani sono parte della soluzione, non del problema.

  2. Oca, piacerebbe saper che gesti fare, grandi o piccoli, senza venir schiacciato da un senso di inevitabile inutilità.
    Stando in UK non ha mai smesso di colpirmi quanto qui sembra normale che il proprio paese sia regolarmente “militarmente attivo” (cioè attivamente impegnato nell’ammazzare gente) in una o più parti del mondo. Nei miei giri Blair è naturalmente inviso con violenza, ma per via delle menzogne, l’idea che impiegare l’esercito in conflitti aperti (e cronici) sia di per sé il segnale che qualcosa proprio non sta funzionando sembra nemmeno li sfiori.
    Di oggi l’ennesima polemica su Corbyn perché ha dichiarato che “wouldn’t be happy with a shoot to kill policy” applicata a emergenze interne del tipo che si può ben prevedere.
    Who on earth would be happy to be forced to adopt such a policy completely escapes me. Resto abbastanza perplesso su Corbyn in generale, riporto l’episodio perché evidenzia una mentalità: using lethal force is routine on foreign soil and expected at home.
    In altre parole, non so come evitare il pessimismo, quando le prevedibili reazioni idiote sono la norma, mentre le belle parole si sprecano e magari pure perdono valore inflazionandosi: in termini di azioni politiche e militari, la stupidità sembra vincere sempre. L’unico pensiero positivo che riesco a mantenere è che si può almeno cercare di far il proprio meglio. In tutti i piccoli gesti quotidiani.
    Vi segnalo un articolo non nuovo, molto lungo e per nulla capace di scacciare il pessimismo:
    What ISIS really wants.
    Non ho verificato le fonti, ma pare molto ben documentato: sono incapace di capire come restare pacifista in questo frangente, ma neppure vedo soluzioni militari credibili.
    Lo sapevamo già, perché è il principale meccanismo di funzionamento del terrorismo, ma provocare una reazione uguale e contraria, per meglio delineare e legittimare la distinzione fra noi e loro, amici e nemici, buoni e cattivi, è chiaramente l’obiettivo principale. Per ISIS perfino di più. Noi non si può mica deluderli, no?
    Finisco lo sfogo, spero che un po’ di solidarietà si trasmetta fra le righe. L’ottimismo un altro giorno.

    1. Sergio,
      piacerebbe saper che gesti fare, grandi o piccoli, senza venir schiacciato da un senso di inevitabile inutilità.
      Da destinataria (grazie) della tua solidarietà, so che hanno un’utilità. Per questo, penso che abbia lo stesso effetto sui nostri conoscenti musulmani dire loro che ne capiamo la paura e la pena perché sono le nostre.
      Mi ricordo l’articolo di Wood, aveva suscitato parecchie polemiche. Anche certi atei militanti la pensano così. A me sembra ovvio che non esiste un’unica interpretazione del Corano di cui l’ISIS sarebbe portatore e che lo renderebbe irresistibile. Per ora, dove la porta anche i mussulmani scappano se possono. Sarebbe come dire che esiste una sola interpretazione della Bibbia e che se gli eserciti dei paesi a maggioranza cristiana si comportassero come quello di Saul ad Amalek, saremmo contenti.
      Restare pacifista: non ho molta scelta, le armi mi fanno paura, e soluzioni militari non ne vedo se non dei commando che mettono bromuro negli acquedotti…

    2. Sergio e Gvdr,
      p.s.OT: a proposito di evoluzione, eusocialità e intelligenza (coscienza no, ma non si può avere tutto) magari vi diverte questo paper di Marco Dorigo – quello dell’IA per la swarm robotics – et al. sul processo di decisione

  3. Grazie per la segnalazione, Sylvie. La aggiungo alla crescente lista delle cose che dovrei leggere, ma devo metterla in attesa per un po’. 🙂

  4. Oca,
    Devo ringraziarti io! Qualche tuo influsso è riuscito a farmi scrivere il balbettio qui sopra, il che dovrebbe esser meglio della paralisi. Resto assai poco mobile, perché non riesco neppure a visualizzare una via d’uscita che sia magari irrealizzabile, ma almeno non troppo fantascientifica.
    Provo a sfruttare l’occasione per continuare a tenere le idee in movimento, non faccio promesse sulla coerenza.
    Nomini i new atheists (presumo) il che offre un buon esempio: nel caso, molti di loro son svelti a cogliere la palla al balzo e sostenere (come Wood) che non si può comprendere ISIS senza capire e misurarne la dottrina religiosa.
    Benissimo, ci sarebbe ben poco da ridire fin qui (secondo me).
    Alcuni poi si impuntano e danno l’impressione che solo la matrice religiosa può spiegare il fenomeno, altri meno, i più attenti si preoccupano se non altro di nominare con-cause altrettanto determinanti. Ancora meglio. Però se uno si prende il tempo di leggere le reazioni, trova polemiche, e polemiche sciocche. L’audience si polarizza, o meglio, si dimostra polarizzata dal principio, scavando un solco fra chi dice “la religione non c’entra nulla, questi mostri non sono musulmani” e chi risponde “ma ci senti? ma li leggi i comunicati di ISIS?”. E così creiamo un altro fossato, un’altra divisione fra noi e loro, fra buoni e cattivi (assieme ad una pericolosa alleanza con le destre militariste). Tutto ciò non serve a nulla, peggiora solo le cose.
    Poi ci sono new atheists di rilievo (non tutti!) che prendono posizioni apertamente guerrafondaie, usando la più miope retorica della razionalità di cui io abbia memoria, e siccome questo aiuta a scavare il fossato, così facendo si procurano un buon numero di seguaci fedeli, aumentano di visibilità e finiscono per diventare simboli di una parte. Magari ci credono alla loro retorica, magari no, ma è irrilevante: alla fine è memetica-darwinista, le idee che meglio attecchiscono, ahem, attecchiscono. Certe volte per attecchire aiuta se l’idea è vicina al vero, molto spesso basta che sia verosimile e che gratifichi una pulsione qualsiasi.
    Il parallelo con qualunque fanatismo è evidente e davvero mi fa venir voglia di fare l’eremita. La sorgente della stupidità non ha fondo, l’attrazione esercitata dalle diagnosi semplicistiche, dall’abolizione dei dubbi, non può essere annullata e agisce ovunque, non c’è un “noi” immune a tutto ciò. Non c’è perché ammettere un “noi” produce l’attrazione di cui sopra.
    Ogni dibattito, ogni domanda che tocchi temi di una qualche importanza può produrre, e di fatto produce, una distinzione fra noi e loro. Perciò il terrorismo funziona, e perciò non è facile rispondere efficacemente.
    Il che mi riporta a Wood, e alla costernazione che lui stesso prova di fronte a chi è sicuro di aver ragione. E’ l’inattaccabile sicurezza di essere nel giusto che produce mostri: gratifica i desideri di chiarezza, di riconoscersi in un gruppo e può giustificare ogni cosa. Riccardo: chiaro che il problema non è ristretto ai musulmani, in questi giorni vediamo chiaramente quanto pericolosi sono quelli che sanno di aver ragione, indipendentemente dalla parte in cui si collocano. Ma si può arrivare a dire che difendere la civiltà significa ammettere di non avere (tutte le) risposte? Non è una domanda retorica.
    Chiunque sia certo di aver ragione mi terrorizza, almeno quanto le armi, e non importa se pensa che io stia dalla sua parte (prima o poi capirà che non posso esserlo). Però se uno fa del dubbio il proprio metodo di vita rende le proprie idee intrinsecamente incapaci di sfruttare i meccanismi di cui sopra: tutte le distinzioni diventano mobili e sfumate, nessun senso di appartenenza aiuta a serrare i ranghi.
    Perciò faccio fatica a comunicare con chi si dichiara religioso: il dubbio elevato ad elemento fondativo mal si concilia con verità rivelate. A me sembra chiaro come il sole che non esiste un’unica interpretazione corretta di un’unica verità rivelata, la proliferazione di rivelazioni ed interpretazioni dovrebbe rendere vano ogni dubbio al riguardo (!). Invece no, gente che si comporta come se davvero credessero di aver accesso alla verità ultima la si trova ovunque, inclusi i circoli scientifici, il che rende evidente che probabilmente sto commettendo lo stesso errore qui ed ora, scrivendo quello che scrivo. Da qui alla paralisi il passo è brevissimo.
    PS grazie per il link! Interessante di sicuro, divertente è una parola grossa…

    1. Sergio,
      Ma si può arrivare a dire che difendere la civiltà significa ammettere di non avere (tutte le) risposte? Non è una domanda retorica.
      Mi sembra l’unico modo di difenderla. Più che “ragione”, mi sembra che la civiltà sarebbe avere delle ragioni anche contraddittorie e poter discutere con tutti per farle valere senza farsi maltrattare. (Per es. mi mettono a disagio le donne interamente velate di nero come in Arabia saudita e/ma non voglio uno stato che detti cosa devo mettermi per uscire di casa.)
      Invece trovo incivile senza “mi sembra” la pretesa di universalità di una convinzione o di una circostanza e discriminare chi non la condivide. Noi ci siamo più abituate. Siamo escluse in partenza dai Droits de l’Homme e dalla fraternité, per l’égalité dovremo aspettare e ci conviene prenderci la liberté, non la regala nessuno. Posso parlare con te di uguaglianza? Credo di sì, perché farai una distinzione tra la mia esperienza e la tua, proprio perché non sei nato “dalla mia parte”.
      gente che si comporta come se davvero credessero di aver accesso alla verità ultima la si trova ovunque, inclusi i circoli scientifici,
      Dove è normale prenderla un po’ in giro.

  5. Tutte le risposte le hanno, o meglio credono di averle solo gli estremisti, quelli che escludono. Io risposta in cui credo fermamente ne ho solo una e generica tanto da non essere una soluzione ma una strada da trovare e percorrere. Mi riferisco a quanto ho scritto nel mio primo commento: dobbiamo battere la disumanità tutti insieme includendo, non escludendo.

  6. Riccardo e Sylvie,
    temo di essermi espresso peggio del solito, visto che mi ritrovo perplesso.
    Provo a chiarire: non sto nemmeno lontanamente mettendo in dubbio che bisogna “battere la disumanità tutti insieme includendo, non escludendo”.
    Quello che ho scritto risulta dalle frustrazioni che ne conseguono, sia pratiche che intellettuali: mi trovo incapace di seguire la strada scelta, perché il processo può solo essere reciproco, perché ho solo un metodo/percorso senza un’etichetta di appartenenza, perché non ho un “posto” dove includere (ho un percorso/metodo, ma non posso includerci nessuno), perché il metodo è in competizione con un’infinita offerta di risposte “più facili”, perché sotto sotto tutti crediamo di aver ragione, eccetera (lasciando da parte difficoltà più intime e altri ostacoli più o meno contingenti). Sto semplificando, sperando di farmi capire.

    Invece trovo incivile senza “mi sembra” la pretesa di universalità di una convinzione o di una circostanza e discriminare chi non la condivide.

    Questa frase riassume bene la mia difficoltà sul piano astratto. Levare il “mi sembra” eleva (ai miei occhi 😉 ) il concetto espresso ad una “pretesa di universalità”, lasciandomi sempre col dubbio che sto inseguendo una posizione incoerente (rischio evidentissimo nelle vicende dei new atheists, fra l’altro). Naturalmente non sto chiedendo risposte definitive e meno ancora voglio allargare il sospetto di incoerenza ad altri, qua esprimo i miei dubbi personali; ho usato l’occasione per versare un po’ di inchiostro virtuale e vedere se nel processo riesco a chiarirmi le idee. Son problemi vecchissimi, ovviamente, fiumi di persone li hanno incontrati e molte possibili risposte son state esplorate. Perciò tengo a chiarire la matrice interiore/personale di quanto ho scritto.

    Posso parlare con te di uguaglianza? Credo di sì, perché farai una distinzione tra la mia esperienza e la tua, proprio perché non sei nato “dalla mia parte”.

    Sylvie, qui mi perdo del tutto. L’impressione che ho è che stai cercando di dirmi qualcosa di significativo, ma chiaramente io no so coglierlo, ‘nnaggia. (se non puoi parlare con me di uguaglianza farei meglio a star zitto)

  7. Oggi siamo tutti pronti, me compreso, a cantare la Marsigliese che in questo momento rappresenta una serie di valori che condividiamo. Cantandola vogliamo esprimere tante cose; solidarietà ai francesi, orrore per l’accaduto, rivendicazione di certi valori condivisi, etc..
    Un imam, intervistato ad una delle tante manifestazioni, a domanda esplicita ha risposto che lui, da uomo di pace, non poteva cantarla perché è una chiamata alle armi.
    Voglio dire, il punto fermo, “la pretesa di universalità di una convinzione”, è il rifiuto incondizionato dell’uccisione di gente innocente. Come manifestarlo, come combatterlo, gli obiettivi a breve e le priorità sono invece discutibili; ed è qui deve operare l’inclusione.
    Certo non è facile e più o meno frequentemente ci si scontra con l’indisponibilità dell’altro. Non dimentichiamo, ad esempio, che noi italiani non molto tempo fa abbiamo praticato il respingimento in mare dei migranti. Che vuoi farci, siamo uomini e fallibili. Ma ciò non toglie che dobbiamo perseverare.
    Tempo fa lessi la storiella di un uccellino che mentre tutti gli animali della foresta fuggivano davanti ad un incendio, lui andava verso il fuoco con una gocciolina d’acqua nel becco; interrogato dal Re Leone in fuga rispose che faceva la sua parte per fermare l’incendio. Anche noi dobbiamo comunque continuare a fare la nostra parte.

  8. Sergio,
    Levare il “mi sembra” eleva (ai miei occhi 😉 ) il concetto espresso ad una “pretesa di universalità”
    anche ai miei occhi, trovo che sia il minimo indispensabile per vivere in società – rif. la riposta di Riccardo, una civiltà non uccide gli innocenti, non li opprime ecc.
    incoerenza: la do per scontata, la mia per prima. A volte suggerisce pure la soluzione. La Francia è uno stato laico da secoli, ma fino a pochi anni fa, per legge i negozi chiudevano la domenica. Tra le tante eccezioni, fioristi pasticcieri ecc. non c’erano i negozi halal o kasher. Per togliere l’incoerenza – l’ingiustizia – è bastato definire in termini laici l’orario di lavoro.
    qui mi perdo del tutto
    colpa mia, non che sia molto significativo! Mi riferivo alla distinzione “noi e loro” che è anche il riconoscimento di circostanze diverse. Nel caso dell’uguaglianza (stessi diritti/doveri per uomini e donne, o per negozianti cristiani o meno), se facciamo una distinzione senza discriminare – non per togliere diritti a “loro” – possiamo ritrovarci d’accordo per es.sulla definizione di orario di lavoro, o sul congedo parentale invece del solo congedo di maternità. Avere ragione entrambi in pratica.

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