Esce su una rivista dell’editore Frontiers, ne parlo spesso male; estrae correlazioni da sequenziamenti di massa detti Genome Wide Association Studies sui quali leggo critiche un anno sì e l’altro pure; usa una valanga di statistiche e quando mai non ho da ridire…
Bref, ero un tantino prevenuta. Invece
(ri-link così cliccate, fainéants) è un capolavoro (non male anche il capitolo precedente, ma più tecnico e condensato).
Dall’introduzione ai ringraziamenti finali, riflette esattamente le intenzioni della ricerca, rispetta la dignità e l’intelligenza dei volontari/partecipanti, è attento alle piccole e grandi differenze culturali e sociali, al senso di giustizia che dovrebbe sottendere gli Scopi per lo sviluppo sostenibile, alla sicurezza alimentare dei più poveri in tempo di cambiamenti climatici (nota 1), al contesto locale e globale (l’introduzione è fantastica).
Foto: Eat Globe (?)
È uno scambio tra pari: da un lato le conoscenze accumulate nei secoli da 60 piccoli contadini etiopi sulle varietà locali (land races) di Triticum turgidum subs. durum, dall’altro quelle scientifiche di Matteo Dell’Acqua, un post-doc all’Istituto di Scienze della Vita della Scuola Superiore Sant’Anna, dei suoi dottorandi etiopi, di altri ricercatori della Sant’Anna, dell’università di Bologna e di Bioversity International.
Da un lato il breeding partecipativo: sono stati i contadini e le contadine a indicare le caratteristiche di cui hanno bisogno sugli altipiani dell’Amhara e del Tigray, a due diverse altitudini, e a valutare quante erano presenti nelle 400 varietà di cui 28 “moderne”, che non avevano mai usato e che poi sono state coltivate. (La descrizione del protocollo per la valutazione è emozionante: il voto è espresso in semi, da 1 a 5, e di nascosto per evitare il group-think.)
Dall’altro la potenza della genomica e della genetica quantitativa: sono stati i ricercatori e le ricercatrici ad identificare e correlare quelle caratteristiche a determinati geni, tenendo conto dei limiti dei vari “filtri” statistici (cosa posso chiedere di più?).
The high heritability scored by FTs [Farmers’ Traits] suggests that smallholder farmers’ traditional knowledge may indeed be used to guide genetic gain through quantitative methods such as QTL [quantitative trait loci] mapping, marker assisted selection, and genomic selection.
[…] Our results show that it is feasible to involve farming communities to directly evaluate broad collections of genotypes using a selected set of summary traits previously agreed. In fact, during the 2016 growing season, with an effort requiring 2 weeks of field work, smallholder farmers from a third community in the Amhara region of Ethiopia evaluated 1,200 recombinant inbred lines we produced from the diversity panel here employed.
Abbiamo solo iniziato a scavare, dicono gli autori, il frumento ha una marea di geni. E non abbiamo nemmeno tentato di valutarne la farina. Sì, ma hanno creato un metodo per selezionare rapidamente le varietà più adatte per i piccoli contadini ai quali l’oligopolio delle sementi non pensa, e un precedente per ricerche analoghe – non solo sui cereali.
Matteo Dell’Acqua – coordinatore anche del prossimo capitolo (la “stagione 2016”) – sembra aver studiato il durum etiope con Stefano Bocchi, della Statale, che ne sa tutto o quasi.*** Di sicuro conosce bene il lavoro di Salvatore Ceccarelli e Stefania Grando, all’ICARDA. Ieri ero così entusiasta che ho mandato loro il paper – e mi son dimenticata di dire che anche Matteo Dell’Acqua era stato premiato all’Expo 2015…
*** Sbagliavo: lo ha studiato con Mario Enrico Pè, ideatore del progetto. Scusi prof, e complimenti anche a lei.
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(1) Ai lettori giovani, segnalo il paper di Jim Hansen e varie star, “Young people’s burden: requirement of negative CO2 emissions“; e il quiz di Stefan Rahmstorf, “The climate has always changed, what do you conclude?”
Salve,
volevo segnalarvi un piccolo refuso. Il nome corretto di una delle organizzazioni coinvolte nello studio e’ Bioversity International, non Biodiversity International. Grazie
corretto, grazie Nora