Non so se come cliché sia più appropriato il sasso in piccionaia o non ci son più le mezze stagioni signora mia, ma su Nature Climate Change – lettura gratis – l’ultimo paper del gruppo di Reto Knutti all’ETH di Zurigo inizia così:
- “Il clima è quello che ti aspetti, il tempo è quello che ti spetta.” A lungo, nella discussione pubblica e mediatica questa distinzione proverbiale tra il tempo [atmosferico] e il clima è servita agli scienziati da punto di partenza per distinguere la variabilità meteo giorno per giorno dalla risposta forzata a lungo termine del cambiamento climatico. Pertanto il paradigma ‘il clima non è il meteo’ viene tipicamente invocato per spiegare fenomeni che possono essere percepiti come contraddittori, come fredde giornate invernali in un clima che si riscalda.
Contrordine, compagni. Salto altri preliminari e arrivo alla notizia che dovrebbe portare i bollettini meteo nel ventunesimo secolo:
- sulla base delle temperature e dell’umidità registrate quotidianamente in tutto il mondo, identifichiamo l’impronta digitale del cambiamento climatico forzato [“externally driven”] giorno per giorno dalla primavera del 2012 alla fine del 2018.
Ogni giorno, la media delle fluttuazioni locali superava i confini della variabilità naturale osservata nel periodo di riferimento 1951-1980. Usando dati annuali, hanno trovato la stessa cosa a partire dal 1999.
Con l’aiuto di un programma di apprendimento statistico, oltre all’umidità e alle temperature hanno confrontato anche il bilancio energetico rispetto allo stesso giorno dell’anno precedente. Poi hanno verificato il tutto con due modelli di circolazione dell’atmosfera: uno con e uno senza la tendenza globale del riscaldamento o dell’evaporazione. “L’impronta” è identificabile anche senza, ed è molto più evidente fra i Tropici dove c’è meno variabilità stagionale:
- Il tempo globale quotidiano è quindi emerso dallo sfondo della variabilità e il contenuto totale di energia del pianeta continua ad aumentare.
Tra le possibili implicazioni scrivono che
- Il nostro approccio apre una prospettiva e un contesto più ampio per comunicare eventi meteo regionali in un contesto di riscaldamento climatico.
Non sarebbe male; gli uffici meteo trovano il sistema nei materiali supplementari. Nel frattempo in tv potrebbero usare le previsioni di Climate Reanalyzer, il progetto dell’università del Maine, e mostrare che oggi la temperatura mondiale supererà di 0,8 °C quella media per il 4 gennaio dal 1979 al 2000.
(Un altro periodo di riferimento, pietà!
- Quel periodo di 22 anni viene usato al posto del più comune 1981-2010 del “normale climatico” perché il 1979-2000 rappresenta condizioni precedenti al rapido riscaldamento e alla perdita di ghiaccio marino nell’Artico.)
Agg. 5/01: altre info e altri paper in “controtendenza” (per es. quello di Michael Mann et al. in open access) nel nuovo post di Steph.
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- Temperature a Cabramurra, nelle “Snowy Mountains” dell’Australia;
- La Scandinavia ha battuto il suo record di caldo invernale;
- l’Agenzia meteo giapponese ha stimato l’anomalia delle temperature del 2019 (secondo anno più caldo registrato, h/t Zeke Hausfather).
Bello lo studio, lo attendevo da un po’, secondo me di notevole impact, you bet?
Altra relativa novità: secondo questo recente studio, , le oscillazioni multi-decennali (AMO, PDO) – alla base di molti mantra che sopravvalutano la variabilità interna – sono solo variazioni non molto diverse dal rumore di fondo (vedi nei commenti di CA).
For several decades the existence of interdecadal and multidecadal internal climate oscillations has been asserted by numerous studies based on analyses of historical observations, paleoclimatic data and climate model simulations. Here we use a combination of observational data and state-of-the-art forced and control climate model simulations to demonstrate the absence of consistent evidence for decadal or longer-term internal oscillatory signals that are distinguishable from climatic noise.
Per l’AMO già da tempo c’era il sospetto si trattasse di un’oscillazione di natura più statistica che fisica. Per esempio.
Per entrambe (AMO e PDO) c’è da aggiungere la relativa sorpresa emersa la scorsa estate in occasione della pubblicazione di questo studio (vedi anche qui )
che evidenzia l’identificazione di due nuovi bias nelle temperature oceaniche di superficie (SST) rilevate nella prima parte del secolo dalle navi tedesche nel nord atlantico e da quelle giapponesi nel pacifico. L’effetto è di ridurre il trend nel nord atlantico e di aumentarlo nel nord pacifico specie occidentale, questo porta le SST sottocosta maggiormente in linea con le osservazioni delle stazioni costiere; l’ovvia conseguenza è anche che le SST sono maggiormente in linea con l’evoluzione storica dei forcing radiativi e si riduce quindi il ruolo della variabilità interna.
steph,
you bet?
be’ con un incipit così… – ups, avevo dimenticato il link alla citazione. Quando vedi quelli dell’ETH, per favore lo ringrazi per la lettura gratis?
Avevo visto i papers su Nature, adesso leggo l’AMO. Le variabilità decennali care ai ciclisti sembrano scomparire una dopo l’altra.
Un post un po’ lunghetto sul mio blog sul tema…
Lettura gratis: ok.
Grazie, lunghetto ma anche più sostanzioso – ho messo il link sopra.
Il link dell’articolo dell’ETH su Nature Climate Change oggi è a pagamento
https://www.nature.com/articles/s41558-019-0666-7.epdf
Si vede la prima pagina ma le altre sono sfumate. Costa da 8.99 a 32$ a seconda delle opzioni.
Anche qui
https://www.nature.com/articles/s41558-019-0666-7
in basso si vede che è a pagamento.
colpa mia, zoomx, adesso dovrebbe funzionare.
GRAZIE!
E grazie anche al steph per il suo post.