Il barone atrabiliare

Walter Lapini, professore ordinario di letteratura greca all’università di Genova, è noto per ritenersi l’unico in grado di garantire l’insegnamento del greco e del latino al liceo classico, grazie a opere dal piglio virile quali “Il culo non esiste solo per andare di corpo” e “Cochlear Dei“, un’ode al “capitano Totti” che “latinizza parole italiane [per es. Tottis] e inglesi”.
Stando alle mail che mi sono arrivate, fra i giovani ricercatori italiani finanziati dallo European Research Council, è noto solo per un editoriale dal piglio altrettanto virile uscito l’altro ieri sul Corriere della Sera.
A suo avviso i finanziamenti ERC sono facilissimi da ottenere. Chissà come mai sono così rari e destinati principalmente a cervelli in fuga.

  • Tutti cercano di accaparrarsi la gallina dalle uova d’oro, o magari di allevarsela in casa… con cicli di lezioni, in cui ti aiutano a infiocchettare il tuo progetto scegliendo il titolo più intrigante, l’acronimo più figo, le formule più cool,

Per esempio “PURA – PURism in Antiquity: Theories of Language in Greek Atticist Lexica and their Legacy“?

  • destinate a fare colpo su valutatori che saranno per lo più di altri settori, e che del tuo non hanno idea, o peggio ce l’hanno sbagliata.

Non sono di altri settori, ovviamente.

  •  Il tutto naturalmente in inglese, la vaselina dei popoli. 

La solita fissazione. In una facoltà umanistica, come la sua, quel “finanziamento abnorme è dirompente” detta

  • la gallina dalle uova d’oro non scodella gratis: ti «porta» il suo Erc ma vuole in cambio il posto fisso, magari il più alto, una bella cadrega da ordinario. Piomba in un dipartimento e scardina la programmazione, salta la fila, taglia la strada ai tanti che attendevano laboriosamente il loro turno.

La gallina che ha vinto un finanziamento ERC perché

  • ha saputo esprimere in un brillante curriculese una serie di buoni propositi e di parole in voga tipo «gender» o «sostenibilità», vola senza colpo ferire su una cattedra di fatto comprata.

Invece di provare a ingraziarsi un Lapini per decenni.

Aggiunge S. Z., destinatario seriale di finanziamenti ERC:

  • Per fortuna da domani ritorno a leggere la Suddeutsche Zeitung dove il livello culturale degli editorialisti è un po’ più elevato.

Agg. 7/01 – Mini-rassegna stampa

54 commenti

  1. Altro commento all’editoriale sul Corriere.
    Mi sembrano interessanti anche i precedenti post citati che trattano della “fila” e dei “tanti che attendevano laboriosamente il loro turno”.

  2. Si può benissimo criticare il prof. Lapini per il suo articolo, ma dopo essersi informati su chi realmente è (i libri che lei cita sono pubblicati CON UNO PSEUDONIMO, proprio perché divertissement: ma vorrei vedere qualsiasi altro grecista saper fare altrettanto).
    Non è così difficile, via! Ha una pagina su Academia dove ha messo una parte (piccola) delle sue pubblicazioni scientifiche: https://unige-it1.academia.edu/WalterLapini
    Non entro nel merito dell’articolo, perché sono ormai anni luce lontana dal mondo dell’università (sono solo “laureata”), ma una presentazione del genere mi fa pensare che tutte le critiche che gli vengono mosse siano infondate, perché partono da un presupposto assolutamente falso.
    Io l’ho avuto in passato solo come docente di Lingua e civiltà greca e lo ricordo come il più preparato e disponibile dei professori di Genova.
    Cordialmente Sara

    1. Sara Martino,
      a quanto mi risulta, la notorietà del prof. Lapini deriva da quelle opere, non dalle sue pubblicazioni in riviste specializzate.
      E se un giorno leggerà oltre il primo paragrafo del mio post, vedrà che il tema non è il cv del prof. Lapini bensì i contenuti di un suo editoriale.

  3. La “notorietà”??? Ma che concetto è? Non facciamo giochini da asilo infantile. Il professore in questione scrive in quanto professore di università. Citi pure i suoi lavori di filologia filosofica o gli scritti su Posidippo. E vedrà che non la disturbo più

  4. @ Sara Martino
    Io l’ho avuto in passato solo come docente di Lingua e civiltà greca e lo ricordo come il più preparato e disponibile dei professori di Genova.
    Questo e’ un po’ un paradosso dell’universita’ italiana: pur selezionando i docenti attraverso criteri che premiamo la fedelta’ e non la preparazione, e’ comunque piena di docenti estremamente validi.
    Io stesso ho avuto degli ottimi professori che pero’ erano degli autentici “baroni”, ovvero erano estremamente consapevoli (e a volte anche entusiasticamente orgogliosi) del loro potere, nel selezionare chi avrebbe potuto intraprendere la (o progredire nella) carriera accademica.
    Comunque, forse lei ha anche ragione a criticare la nostra ospite riguardo al richiamo a opere del suo professore che non sono piu’ di tanto rilevanti riguardo all’argomento in questione.
    Ma non sono d’accordo sul fatto che sia importante “essersi informati su chi realmente e'” prima di “criticare il prof. Lapini per il suo articolo”.
    No.
    Mi dispiace.
    L’articolo del prof. Lapini e’ criticabile a prescindere.
    E il prof. Lapini e’ criticato, in questo post come in quello di Briguglia che ho citato e che la invito a leggere, per quello che ha scritto nel suo articolo.
    Vorrei puntare la sua attenzione sulla seguente frase:
    la gallina dalle uova d’oro non scodella gratis: ti «porta» il suo Erc ma vuole in cambio il posto fisso, magari il più alto, una bella cadrega da ordinario. Piomba in un dipartimento e scardina la programmazione, salta la fila, taglia la strada ai tanti che attendevano laboriosamente il loro turno.
    Questo modo di ragionare e’ quello che, personalmente, trovo inquietante.
    Non metto in dubbio che il prof. Lapini sia ottimo grecista e un eccellente insegnante.
    Ma la frase di cui sopra mette in evidenza che e’ il prodotto di un sistema che premia non le eccellenze, non il pensiero creativo, non l’innovazione, bensi’ la pura e semplice attesa del proprio turno. Premia la pazienza e la fedelta’, non la bravura.
    Un sistema che ha fatto si’ che i migliori tra i miei compagni di universita’ siano andati a insegnare in Francia e negli Stati Uniti.
    Un sistema che aveva proposto a me un dottorato di ricerca (che ho ovviamente rifiutato), come inizio di una carriera universitaria, non perche’ fossi eccellente ma perche’ ero un amico di famiglia di un professore universitario, in un ambito completamente diverso dal mio, a sua volta amico di un “barone” mio docente (per altro valido).
    E quella frase mette in evidenza anche che il prof. Lapini non e’ solo il prodotto di tale sistema, ma che — arrivatone al vertice — lo considera *giusto*. E che disprezza chi, abbastanza bravo da riuscirci, si ribella a questo sistema e “salta la fila”.
    E’ per questo che viene criticato.
    I lavori di filologia filosofica o gli scritti su Posidippo non hanno nessuna rilevanza sulle critiche che la nostra ospite e altri rivolgono al suo professore.

    1. Armand Milieu,
      grazie, mi sembra meritato! L’ho aggiunto nel post, invece il mio intervento non va aggiunto da nessuna pare, è solo un fact-checking.
      – – –
      Sara Martino,
      La “notorietà”??? Ma che concetto è?
      E’ il concetto che porta il direttore o capo-redattore del Corriere a chiedere a una persona di esprimere opinioni su temi che esulano dalla sua competenza professionale.
      Citi pure i suoi lavori di filologia filosofica o gli scritti su Posidippo.
      Sarebbero fuori tema, non riguardano i finanziamenti europei per la ricerca.
      Lapini è un grandissimo studioso, non ha nulla a che vedere con quella specie di caricatura che viene qui tratteggiata.
      Però si addice a quell’editoriale, una caricatura di migliaia di giovani ricercatori, degli esperti che ne valutano le proposte per l’ERC e dei dipartimenti universitari nei quali la carriera non dipende dall’anzianità di servizio.
      Provi a mettersi nei panni della prof. associata dal 2017, che tre mesi fa ha ottenuto un finanziamento europeo – unica italiana in campo umanistico. Le piacerebbe vedersi descritta in un modo così insultante e menzognero?

  5. @E.K.Hornbeck
    Non credevo che il mio post meritasse una risposta tanto articolata: la ringrazio.
    Allora, se avete pazienza, provo ad articolare meglio il mio punto di vista, che è una semplice opinione di lettrice, di Lapini e del blog che mi sta ospitando.
    Liberissimo ovviamente di non credermi, ma il prof. Lapini è esattamente l’opposto del barone che lei descrive, anzi ha avuto una carriera – a quanto sapevo io – particolarmente difficile proprio perché vittima dei baroni, in quanto appunto “cane sciolto” (lui stesso si definiva così!). Se non ricordo male, è stato ricercatore di Filosofia antica, associato di Filologia classica e infine ordinario di Letteratura greca: già per questo, chapeau.
    Mi dispiace, ma non so entrare nel merito di quanto ha scritto nell’articolo, ma ricordo altri suoi interventi sul Corriere proprio contro i baroni e le baronie. Mi permetto un’esegesi da “ignorante” della frase incriminata: certo lei ha più esperienza di me e mi potrà correggere. Quando uno vince un ERC da “esterno” e arriva in un’università italiana, entra senza concorso, cioè quella procedura che è obbligatoria per tutti gli altri, dal dottorato in poi (anche io avevo accarezzato l’idea, poi ho trovato per fortuna lavoro). Diventa dunque subito professore in un settore nel quale magari c’è già un ricercatore, magari precario, che aspettava il suo momento per diventare professore, ed era in attesa della programmazione del suo dipartimento/ateneo, che dunque salta per l’arrivo “a sorpresa” del nuovo arrivato che porta una ricca dote. io ho inteso così.
    mentre scrivevo ho cercato l’articolo cui facevo riferimento: è qui:
    https://www.corriere.it/opinioni/19_giugno_10/nostra-universita-ha-bisogno-aiuto-a3604330-8b94-11e9-89a9-d9b502b0b46e.shtml
    Tuttavia, questo pezzo di OcaSapiens, che ammiro e seguo da tanto, mi ha dato fastidio per l’incipit, perché è del tutto falso, tendenzioso e unilaterale. Ha scritto cose gravi, tipo “è noto per ritenersi l’unico in grado di garantire l’insegnamento del greco e del latino al liceo classico, grazie a opere dal piglio virile quali “Il culo non esiste solo per andare di corpo” e “Cochlear Dei”, un’ode al “capitano Totti” che “latinizza parole italiane [per es. Tottis] e inglesi”. Che falsità!
    Incuriosita ho letto anche Briguglia, e ho trovato il suo articolo critico sì, ma rispettoso e onesto.
    Lapini è un grandissimo studioso, non ha nulla a che vedere con quella specie di caricatura che viene qui tratteggiata.
    Le uniche opere citate saranno anche quelle più note al grande pubblico del web (e immagino citate da chi lo critica perché fa comodo non dire che è un filologo con pochi rivali in Europa e probabilmente nel mondo), ma a parte il fatto che non c’è chi sappia come lui scrivere in greco antico, per la prima opera ha vinto il Premio Viareggio Satira (sono virili, sì, ma perché sono una vera denuncia civile: leggete i Presidi, o proprio un pezzo che si chiama “I ricercatori”, in cui Platone è bocciato a un concorso a favore del tirapiedi del barone anche se come prova è uscito un brano di una sua opera. Magnifico, mi creda).
    Insomma, in questo pezzo ocasapiens mi ha deluso perché traccia un profilo assolutamente falso dell’autore, che deriva solo dalla lettura (a mio avviso mal compresa) di un pezzo e da quello che i suoi informatori le hanno detto. Se non avesse messo l’incipit, forse questa conversazione non sarebbe neppure iniziata. Sugli ERC ognuno ha diritto di esprimere la propria opinione, credo.
    Cordialmente Sara Martino

  6. @ Sara Martino
    Non conosco assolutamente Lapini. Fortunatamente conoscerlo è del tutto ininfluente in questo caso, dato che il Lapini stesso non si esprime in termini relativi (alla sua esperienza) ma assoluti, con un linguaggio che più che provocatorio (che avrei capito/accettato) risulta volgare, denigrante. Pur possedendo i mezzi per sostenere una posizione, per quanto magari discutibile, decide, in totale libertà ed evidentemente consapevolezza, di usare i toni peggiori, perdendo agli occhi del lettore medio anche quel poco che poteva risultare interessante. La scelta di, in quella sede, piangersi addosso e insultare è inconciliabile con il ruolo di educatore. Mia modesto parere.

  7. @Elia Marin
    Io veramente sono rimasta allibita dall’incipit dell’articolo di ocasapiens, per la sua tendenziosità e falsità. Quello criticavo, e auspico che anche chi è critico come lei riconosca che deforma gravemente il resto. Tutto qui. Le assicuro che come professore Lapini è eccezionale, ma a lezione insegna la sua materia, non fa il polemista. Giuro che non intervengo più, ma è stata un’esperienza interessante.
    Grazie
    Sara Martino

  8. Mi scusi non resisto. Come con le ciliegie…
    Invece i suoi scritti satirici (nemmeno firmati con il suo nome) riguardano gli ERC?
    Quanto alla associata dal 2017, vedo che è stata abilitata nel 2017, e ha subito preso servizio. Cioè ha fatto un concorso in Italia. Poi ha vinto l’erc. Benissimo, sarà sicuramente bravissima ma non è certo questa la tipologia descritta. E perché mai dovrebbe prendersela con una giovane collega? Lui non ha rivali nel suo campo.
    E comunque leggo che è allieva di un collega che Lapini stimava tantissimo, a mia memoria.
    È un voler vedere ovunque il marcio dove non c’è.
    Insistendo a non voler ammettere di aver fatto un errore ha perso la mia stima.
    Arrivederci
    Sara Martino

    1. Sara Martino,
      Invece i suoi scritti satirici (nemmeno firmati con il suo nome) riguardano gli ERC?
      Li ha rivendicati e promossi con il proprio nome. Sono il motivo della sua notorietà e pertanto di un editoriale su una questione che non conosce.
      Insistendo a non voler ammettere di aver fatto un errore ha perso la mia stima.
      Non ho ancora capito quali falsità ho scritto.
      non è certo questa la tipologia descritta.
      La descrizione è quella, ma la tipologia esiste sono per chi crede che gli esperti dell’ERC siano tutti degli ignoranti e l’ERC finanzi soltanto progetti ridicoli di ricercatori inetti che rubano il pane a tradimento.
      E perché mai dovrebbe prendersela con una giovane collega?
      Dovrebbe chiederlo a lui. Fra gli ERC dell’anno scorso, nelle facoltà umanistiche è l’unica gallina che rientri nella “tipologia descritta”: usa un “curriculese” perfetto, scrive in “vaselina dei popoli”, ha scelto “l’acronimo più figo” (omissis) e studia perfino il “gender”… Non le manca nulla per comprarsi una “bella cadrega di ordinario”.
      Lui non ha rivali nel suo campo.
      Forse, ma per avere un’idea di quanto un accademico sia influente nella propria disciplina, conviene guardare quanto viene citato, su quali riviste e da quali editori pubblica. Dalle citazioni, risulta sembra averne parecchi perfino in Italia.

      E.K.Hornbeck,
      la carriera che mi descrive mi sembra la classica “fila”
      Magari! Ricercatore nel 1999, prof. associato nel 2004, ordinario nel 2011 e il tutto senza un dottorato.

  9. @ Sara Martino
    Non credevo che il mio post meritasse una risposta tanto articolata: la ringrazio.
    No… e’ che… andavo di fretta e non sono riuscito a essere sintetico.
    Liberissimo ovviamente di non credermi, ma il prof. Lapini è esattamente l’opposto del barone che lei descrive, anzi ha avuto una carriera – a quanto sapevo io – particolarmente difficile proprio perché vittima dei baroni, in quanto appunto “cane sciolto” (lui stesso si definiva così!). Se non ricordo male, è stato ricercatore di Filosofia antica, associato di Filologia classica e infine ordinario di Letteratura greca: già per questo, chapeau.
    Ora… la carriera che mi descrive mi sembra la classica “fila” che ritroviamo nell’articolo del prof. Lapini.
    Lei dice “chapeau” per questo?
    A me sembra che lo stesso intervento di Lapini metta in ombra una carriera di questo tipo.
    Io sono molto piu’ portato a dire “chapeau” a chi la “cadrega da ordinario” la conquista (non la compra) partendo dalla vittoria di un Erc.
    O a quei giovani che, appena laureati, ottengono dalle universita’ americane incarichi che qui avrebbero dopo 20 anni di paziente “fila”.
    Con questo non voglio dire che Lapini non sia eccellente (diciamo pur anche eccezionale) nel suo campo.
    Intendo dire che non e’ il fatto che sia stato ricercatore, poi associato e infine ordinario, che lo prova poiche’ ho conosciuto fior fior di mediocri che hanno fatto lo stesso percorso.
    Quando uno vince un ERC da “esterno” e arriva in un’università italiana, entra senza concorso, cioè quella procedura che è obbligatoria per tutti gli altri, dal dottorato in poi
    Per quanto ho capito, leggendo Briguglia, vincere un Erc e’ vincere un concorso.
    O, per lo meno, e’ considerato tale in Italia.
    Diventa dunque subito professore in un settore nel quale magari c’è già un ricercatore, magari precario, che aspettava il suo momento per diventare professore, ed era in attesa della programmazione del suo dipartimento/ateneo, che dunque salta per l’arrivo “a sorpresa” del nuovo arrivato che porta una ricca dote. io ho inteso così.
    Si’… anch’io l’ho inteso cosi’.
    E, in un certo senso, credo sia oggettivamente cosi’, se trascuriamo che la “programmazione” non dovrebbe essere considerata tale (lo e’ di fatto ma non credo proprio di diritto) visto che il precario, per diventare professore, dovrebbe vincere un concorso (perche’ no? magari proprio un Erc) ma non “programmato”, ovvero non un concorso del quale e’ il vincitore predestinato.
    Il problema e’ se questo (il fatto che il vincitore Erc diventi subito professore, scardinando la “programmazione” del dipartimento/ateneo) lo vogliamo considerare positivo o negativo.
    Io lo considero positivo e dico “ce ne fossero di vincitori Erc che scardinano la programmazione”.
    Lapini mi sembra dica il contrario.
    Ho forse frainteso cosa intende?
    Forse Lapini si limita a descrivere lo sconcerto del baronato e dei “poverini” in “fila” di fronte all’imprevisto arrivo di un elemento disturbatore e non omogeneo al sistema di selezione delle carriere in atto?
    Ma senza condividere questo sconcerto e, sopratutto, senza vedere come giusto il sistema della “fila”?
    E’ possibile.
    Se, come lei ci dice, e’ davvero un ex-cane sciolto che ha molto sofferto per il sistema delle baronie, e’ decisamente possibile.
    E l’articolo del 2010 che lei ci riporta — da cui ricavo un’impressione, dell’autore e del suo atteggiamento riguardo al sistema baronale, completamente differente — mi alimenta questo sospetto.
    Se e’ cosi’ pero’… certo che Lapini poteva anche spiegarsi meglio visto che siamo in tanti ad aver letto nel suo recente intervento un disprezzo per i vincitori degli Erc e un’esaltazione dell’attuale sistema baronale.
    (ebbene si’… andavo di fretta anche adesso… scusi)

  10. Mi sento invadente e pedante e mi scuso per questo.
    Volevo solo precisare che la carriera è stata fatta su diverse discipline, non è stato un percorso standard. Per questo ho scritto chapeau. L’articolo è del giugno scorso (2019), sei mesi fa!
    Sulla “programmazione” credo occorra approfondire, io stessa non so molto: ma riguarda il fabbisogno dei Dipartimenti per creare i corsi di laurea, le materie e non le persone. Ma mi informo meglio.
    Grazie SM

  11. @ Sara Martino
    Volevo solo precisare che la carriera è stata fatta su diverse discipline, non è stato un percorso standard. Per questo ho scritto chapeau.
    Be’… insomma… non e’ che ha fatto il ricercatore in storia, l’associato in fisica e l’ordinario in economia.
    L’articolo è del giugno scorso (2019), sei mesi fa!
    Giusto: ho confuso giorno con anno.
    Sulla “programmazione” credo occorra approfondire, io stessa non so molto: ma riguarda il fabbisogno dei Dipartimenti per creare i corsi di laurea, le materie e non le persone. Ma mi informo meglio.
    Sono cose molto diverse.
    L’istituzione di un corso di laurea e’ una cosa, la promozione annunciata di una ben precisa persona e’ tutt’altro.
    Comunque, la “fila” di cui si parla nell’intervento del prof. Labini e’ chiaramente la seconda.
    Che poi il prof. la consideri giusta… lei mi ha fatto venire il dubbio ma la prima impressione era proprio quella.

  12. Vedo che ragionare con lei è impossibile. Me ne sto. Ribadendo che ha preso un granchio enorme nel valutare il professore che è l’esatto opposto a quello che pensa lei: mi faccia il piacere di informarsi meglio prima di sputare sentenze su un argomento che LEI non conosce (giudicare un letterato sulla base delle citazioni non lo fa nessuno, nemmeno il ministero! Si chiamano aree non bibliometriche, guardi, lo so perfino io!). Il dottorato c’è eccome, ma badi di non fare la gradassa perché è stato introdotto in Italia da circa 35 anni, non da 100.
    Tutti gli ERC sono fatti nello stesso modo; questa vincitrice non è particolare rispetto agli altri.
    I libri satirici sono firmati con pseudonimo e non sono rilevanti.
    Io non sono l’avv difensore di Lapini: è la rozzezza e la FALSITÀ del ritratto che lei ne fa, e la sua protervia nel difenderlo che mi fanno orrore. Altro che fact-checker! Disonestà intellettuale! Sono amareggiata, mi creda. Io ho conosciuto Lapini, ho letto i suoi libri, quelli satirici e quelli scientifici, conosco la sua storia e la sua carriera e a quanto pare conosco anche le regole del gioco meglio di lei. Lei ne ha letto un articolo di giornale e pensa di avere in mano la verità.
    Siete tutti la Bestia.
    La saluto

    1. Sara Martino,
      è impossibile ragionare perché continua a credere che il mio post sia un saggio sulla persona e le opere di Lapini. Per esempio:
      ha preso un granchio enorme nel valutare il professore. … è la rozzezza e la FALSITÀ del ritratto che lei ne fa, e la sua protervia nel difenderlo che mi fanno orrore.
      Non mi sogno di far un ritratto o di valutare un professore di cui non conosco né l’attività di docente né la produzione accademica. Ho accennato all’attività mediatica per la quale è noto fra i cronisti (come me) e i loro lettori, nella quale rientra l’editoriale del Corriere. Sarò stata rozza, superficiale, sbrigativa ecc. ma non ho scritto falsità.
      giudicare un letterato sulla base delle citazioni non lo fa nessuno, nemmeno il ministero
      Dovrebbe dirlo a Lapini, è convinto del contrario.
      Comunque me ne son ben guardata. Ho usato una bibliometria minima per mettere in discussione il giudizio che lei ha espresso. In generale credo che sia molto difficile dire di una persona che “non ha rivali” in campo scientifico o umanistico.
      Il dottorato c’è eccome
      Lo so, ma mi riferivo al cv di Lapini.
      Tutti gli ERC sono fatti nello stesso modo; questa vincitrice non è particolare rispetto agli altri.
      In realtà ci sono cinque tipi di ERC, ognuno fatto in modo diverso. Se intende dire che di solito sono meritati, mi pare che noi “la Bestia” siamo tutti d’accordo. E’ per questo motivo che critichiamo quell’editoriale e io non capisco la protervia con la quale lei lo difende.
      Io ho conosciuto Lapini, ho letto i suoi libri, quelli satirici e quelli scientifici, conosco la sua storia e la sua carriera e a quanto pare conosco anche le regole del gioco meglio di lei.
      Non ne dubito, ma penso che i ricercatori che mi hanno segnalato quell’editoriale conoscano le regole del gioco quanto lei.
      Lei ne ha letto un articolo di giornale e pensa di avere in mano la verità. Siete tutti la Bestia.
      Affermazioni false ma mi hanno fatto ridere: sono vent’anni che mi definisco un’oca…

  13. Mi sono detta: resisti,resisti,resisti. E invece, niente, è più forte di me.
    Le righe false sono queste:
    Walter Lapini […] è noto per ritenersi l’unico in grado di garantire l’insegnamento del greco e del latino al liceo classico [il link è a un (acido) articolo altrui, non si può dire RITENERSI riferito a Lapini: un fact checker avrebbe citato anche l’originale di Lapini: qui: http://www.leparoleelecose.it/?p=24387%5D, grazie a opere dal piglio virile [il link è a un articolo su una terza operetta satirica, per avvicinare i ragazzi al greco in modo divertente, ma non c’entra con i titoli che lei riporta] quali “Il culo non esiste solo per andare di corpo” [non è “virile”, ma premio Viareggio Satira 2017: https://lucaboschi.nova100.ilsole24ore.com/2017/09/13/il-premio-satira-politica-2017-sabato-prossimo-alla-capannina/; le consiglio almeno di leggere le recensioni qui: https://www.ibs.it/culo-non-esiste-solo-per-libro-alvaro-rissa/e/9788869830044%5D e “Cochlear Dei”, un’ode al “capitano Totti” che “latinizza parole italiane [per es. Tottis] e inglesi” [l’esempio è ovviamente per banalizzare al massimo, brava: ottima scelta].
    Non cita però un altro lavoro, che le consiglio sinceramente di guardare (Afghana in limina missus): https://www.ibs.it/afghana-in-limina-missus-guerra-libro-moammed-sceab/e/9788869830563
    Allora, vogliamo dire che questa presentazione faziosa e parziale corrisponde DAVVERO (IN VERITA’) alle ragioni per cui L. è stato “scelto” dal Corriere per scrivere sugli ERC? FALSO!
    Sul Corriere, e altrove, è stato chiamato a intervenire altre volte, perfino intervistato, sia per le sue discipline di studio, sia su questioni di politica universitaria: qui tutti gli interventi https://walterlapini.academia.edu/
    Invece, su queste naturalmente un magnifico SILENZIO, eh.
    L’immagine deve risultare quella che lei costruisce, non quella che è davvero, altrimenti finisce il gioco.
    giudicare un letterato sulla base delle citazioni non lo fa nessuno, nemmeno il ministero
    Dovrebbe dirlo a Lapini, è convinto del contrario.
    Forse è LEI a non avere letto l’articolo di Lapini, che dice “Detto grossolanamente, l’Impact Factor è il numero di volte in cui un articolo viene menzionato (non importa se in bene o in male) all’interno di un certo set di riviste specialistiche. Più ti citano e più sei bravo. Dicono che nelle «scienze dure» l’Impact Factor funziona. Buon per loro. Ma per me resta un mistero come si possa anche solo pensare di utilizzare un indicatore che non distingue fra citazioni positive e citazioni negative, e che fatalmente finirà per creare un mercato del reciproco sostegno, del cito ut cites fra gruppi alleati, o viceversa di congiure del silenzio ai danni di studiosi bravi e non allineati.”
    Mi pare che Lei abbia la tendenza a mettere link a cose di cui legge solo il titolo.
    “Ho usato una bibliometria minima per mettere in discussione il giudizio che lei ha espresso. In generale credo che sia molto difficile dire di una persona che “non ha rivali” in campo scientifico o umanistico.”
    Mi limito a chiederle se ha provato con l’italiano: https://scholar.google.com/scholar?hl=it&as_sdt=0%2C5&q=walter+lapini&btnG=
    Sa, negli studi umanistici la lingua italiana è ancora considerata una lingua scientifica (insieme a inglese, francese, tedesco e spagnolo). Ognuno in linea di massima scrive nella propria lingua e legge quelle degli altri. A differenza che nel mondo scientifico, negli studi classici esiste ancora un certo multilinguismo; sono solo gli americani a non sapere altre lingue. Gli inglesi invece, in quanto europei, le conoscono, almeno per leggerle. Peraltro, anche noi studenti all’università leggevamo per gli esami articoli in francese, inglese e spagnolo (in tedesco, confesso, un po’ meno, almeno io).
    E’ molto difficile, ammetto, dire di una persona “che non ha rivali”, in qualsiasi campo: credo che valga anche per Lapini, ma il confronto che lei faceva con la giovane che gli contrapponeva non sta in piedi, e neppure in cielo né in terra. Non è contro di lei quel pezzo, ne sono assolutamente convinta. E’ pure allieva di un suo amico, suvvia.
    A questo punto, credo dovrò aprire un blog mio, perché ho occupato tutto il suo. Mi scusi l’accanimento, ma la post-verità non è sopportabile. non da lei, credevo. Forza, un atto di coraggio: chiunque può sbagliare.
    Quanto all’oca, è un animale meraviglioso e non una Bestia. Ovviamente.
    Grazie per lo spazio, spero di non essere bannata.
    SM

  14. avevo inviato un commento alle 18.01. Non è stato pubblicato. Capisco che lei voglia avere l’ultima parola sul suo blog, ma non è molto fair. Può certo non pubblicarlo, ma per me è fondamentale che LEI – che credevo donna intelligente – capisca che ha commesso un grave errore di valutazione di una persona, sulla scia di commenti e mail. Non è fact-checking, è proprio la Bestia. Dia un’occhiata, le chiedo solo questo, ai link che erano nel mio commento. E si faccia un’idea un po’ meno basata su preconcetti.
    In ogni caso, per me la cosa finisce qui. con il suo COLPEVOLE silenzio, e con un’ultima parola che ultima in realtà non è.
    La saluto

  15. @ Sara Martino
    avevo inviato un commento alle 18.01. Non è stato pubblicato. […] Dia un’occhiata, le chiedo solo questo, ai link che erano nel mio commento
    Link?
    Quanti link?
    Se erano piu’ di due, il suo commento e’ incappato nella moderazione automatica.
    Deve dare il tempo alla nostra ospite (che e’ un essere umano, ha una vita anche fuori da questo blog e non e’ a nostro servizio h24) di intervenire per liberarlo.

  16. mi spiace, proprio non sapevo di questo. me ne scuso, anche con la moderatrice reale. sì ci sono molti link, sì. ma sono soprattutto per lei, se le va di guardarli.

  17. @ Sara Martino
    Ho letto “l’originale di Lapini” (il primo link che ci segnala) e l’opinione che me ne sto facendo e’ decisamente peggiorata.
    Sicuramente abbiamo opinioni inconciliabili: lui si lamenta dell'”anticlassicismo trinariciuto che da mezzo secolo serpeggia come la peste nera nella scuola italiana avrà raggiunto il suo scopo”, mentre io, da giovane, sono stato tremendamente danneggiato dal classicismo che, colonizzato il liceo scientifico, mi ha fatto sprecare (letteralmente sprecare) cinque anni della mia vita, durante i quali ero impossibilitato ad approfondire le materie scientifiche (nelle quali ottenevo la sufficienza, o anche voti di eccellenza, senza studiare) poiche’, per essere promosso, dovevo impiegare tutto il mio tempo e tutte le mie energie per studiare il latino, riuscendo a ottenere una sufficienza molto stentata.
    Ma pazienza: la differenza di opinioni e’ il motore dello sviluppo culturale.
    Mi domando pero’ quanto il prof. Lapini sia in grado di tollerare la differenza di opinioni. Perche’ dire che e’ “noto per ritenersi l’unico in grado di garantire l’insegnamento del greco e del latino al liceo classico” e’ magari una iper-semplificazione, ma mi sembra descriva efficacemente l’atteggiamento di palese disprezzo — nei riguardi dei “riformatori degli studi umanistici in Italia” e di molti altri — che gronda da quell’intervento.
    Ma quello che piu’ mi incuriosisce e’ il seguente brano
    Detto grossolanamente, l’Impact Factor è il numero di volte in cui un articolo viene menzionato (non importa se in bene o in male) all’interno di un certo set di riviste specialistiche. Più ti citano e più sei bravo. Dicono che nelle «scienze dure» l’Impact Factor funziona. Buon per loro. Ma per me resta un mistero come si possa anche solo pensare di utilizzare un indicatore che non distingue fra citazioni positive e citazioni negative, e che fatalmente finirà per creare un mercato del reciproco sostegno, del cito ut cites fra gruppi alleati, o viceversa di congiure del silenzio ai danni di studiosi bravi e non allineati
    Francamente non capisco il legame tra la mancata distinzione “fra citazioni positive e citazioni negative” e l’inevitabile “mercato del reciproco sostegno” (il prof. pensa forse che il “mercato” non si svilupperebbe in presenza di distinzione? ammesso, e per nulla concesso, che una tale distinzione sia praticamente realizzabile?), e pur rilevando un implicito disprezzo per le “scienze dure” (che, entro certi limiti, ci sta in un classicista), ma mi piacerebbe capire cosa propone, in alternativa.
    Comunque — e puo’ essere che, in quanto anti-classicista militante, il mio parere sia profondamente prevenuto — da questo frammento (magari leggendolo nel suo contesto l’impressione puo’ cambiare) mi si rafforza l’immagine di una persona che si ritiene depositaria della verita’ assoluta sul come deve essere organizzato l’insegnamento in Italia. Per lo meno, a partire dalle scuole superiori.

    1. E.K.Hornbeck,
      Mi domando pero’ quanto il prof. Lapini sia in grado di tollerare la differenza di opinioni.
      mi sta venendo il dubbio che insegni a non tollerare alcuna opinione diversa dalla sua.

  18. Tutto questo flood di testo scollegato a quello che è il contenuto importante del post è davvero necessario? State discutendo in merito alle uniche 4 righe del testo che davvero non portano nessun messaggio.

    1. Elia,
      per certi versi sono d’accordo, tone trolling pur di non parlare del tema. Però questo è il paese di Croce e Gentile. E vorrei capire perché difendere giovani e brave ricercatrici dagli attacchi ingiustificati di un maschio alpha susciti “orrore”.

      Sara Martino,
      Lei cita un articolo che avevo letto e ricordavo. Conferma l’opinione che Lapini ha degli sforzi dei suoi colleghi, e quel “piglio virile” che secondo lei è obbligatorio ammirare.
      un fact checker avrebbe citato anche l’originale di Lapini.
      E avrebbe subito perso il lavoro.
      A quanto ha scritto E.K.Holbeck sulla citazione che lei riporta, aggiungo un fact-checking. L’IF è il totale di citazioni di una rivista, diviso per il numero di articoli che ha pubblicato in due anni per es. The Lancet: IF 59,102. Non dice nulla sull’importanza o meno di un articolo o di un autore.
      Probabilmente intendete parlare del Citation index di un articolo, per esempio S. Pollock “Future Philology”: 211; o di un autore, per es. George K. Zipf: oltre 40.000 (per restare in filologia).
      qui tutti gli interventi https://walterlapini.academia.edu/ Invece, su queste naturalmente un magnifico SILENZIO, eh.
      Certo. Non ho scritto una bibliografia né intendo farlo solo perché secondo lei è l’unico modo di dire la VERITA’ tutta la VERITA’ e niente altro che la VERITA’ su Lapini.
      Avevo inserito “Walter Lapini” su Scholar ma il confronto tra le citazioni, le riviste e gli editori era ancora meno lusinghiero. Non confronto le persone né le valuto, nonostante quello che lei si ostina a ripetere.
      Non è contro di lei quel pezzo, ne sono assolutamente convinta.
      Così com’è convinta che un fact-checker deve aggiungere l’intera bibliografia di ogni persona menzionata nell’articolo di cui verifica i fatti? O che il mio post sia un saggio bibliografico su Lapini?
      Allora, vogliamo dire che questa presentazione faziosa e parziale corrisponde DAVVERO (IN VERITA’) alle ragioni per cui L. è stato “scelto” dal Corriere per scrivere sugli ERC? FALSO!
      Lo lascio dire a lei che ha in mano la VERITA’ senza aver letto o capito la mia risposta alla sua domanda su “noto”, parola che ho usato nell’unica frase che lei ha letto e in base alla quale lei mi giudica “COLPEVOLE”.
      Vede, sulle scelte editoriali ho l’ardire di credermi informata perché tra radio, riviste e giornali negli ultimi 50 anni ho partecipato a centinaia di riunioni di redazione in cui si scelgono gli opinionisti.
      E lei?
      qui tutti gli interventi https://walterlapini.academia.edu/ Invece, su queste naturalmente un magnifico SILENZIO, eh.
      Per fortuna. Se un giorno cambierà idea e leggerà il post che sta commentando, forse si renderà conto che non è un saggio bibliografico.
      L’immagine deve risultare quella che lei costruisce, non quella che è davvero, altrimenti finisce il gioco.
      LOL. Mi capita di montarmi la testa, ma non al punto voler costruire “l’immagine” di un professore universitario che
      Sul Corriere, e altrove, è stato chiamato a intervenire altre volte, perfino intervistato, sia per le sue discipline di studio, sia su questioni di politica universitaria
      Succede a parecchia gente, sa. Anch’io sono stata “chiamata” e perfino intervistata su questioni che studiavo.
      negli studi umanistici la lingua italiana è ancora considerata una lingua scientifica… Ognuno in linea di massima scrive nella propria lingua e legge quelle degli altri.
      Ah sì? Oh bella! Pensi che per anni ho insegnato alla Statale, alla SISSA e altrove che nelle discipline umanistiche le lingue sono tutte “scientifiche” e oggetto di ricerche altrettanto scientifiche.
      E anche i dialetti, i gerghi, le lingue che nessuno parla più da secoli e millenni.

  19. @ Oca Sapiens
    mi sta venendo il dubbio che insegni a non tollerare alcuna opinione diversa dalla sua
    Non mi ci faccia pensare che, quando leggo cose come “anticlassicismo trinariciuto che da mezzo secolo serpeggia come la peste nera nella scuola italiana” (e mi torna anche in mente come Croce definiva la scienza), rischiano di emergere i miei peggiori istinti.
    Rischio di trasformarmi nella caricatura dell’imitazione che Crozza fa di Forchielli.

  20. @ocasapiens
    Mi arrendo: del resto, com’è quel famoso aforisma attribuito ad Einstein? “it is harder to crack prejudice than an atom”.
    Ma non posso non notare la capziosità dell’ultima osservazione, laddove mi sciorina la sua esperienza professionale, quando la sua intelligenza le aveva già detto che – per brevità – avevo scritto “lingua scientifica” invece di “lingua della comunicazione scientifica”. Credo che il multilinguismo della scienza e della ricerca sia una risorsa e non un handicap.
    Mi dispiace essere stata presa per un troll, mi scuso con tutti.
    SM

    1. Sara Martino,
      l’aforismo le si addice: ha espresso chiaramente i suoi pregiudizi contro di me e qualunque cosa io scriva o non scriva.
      Passanti occasionali,
      A proposito delle scienze umane, intendo proprio dire che la loro “comunicazione scientifica” avviene in tutte le lingue.
      Provate a dare un’occhiata a questa rivista di studi gaddiani, alle Annales delle Annales, o – a proposito di “vaselina dei popoli” – a Cantatrix Sopranica L.

  21. Gentile Sylvie Coyaud,
    La seguivo al tempo delle “Oche di Lorenz” su Radio 3; non pensavo di ritrovarmi a leggere scambi infuocati di tal genere, viziati, a mio parere, dal Suo piglio iniziale (per usare le Sue parole, non meno “virile” di quello di Walter Lapini), che a mio parere giustamente Sara Martino ha trovato non azzeccato.
    Due parole su di me, solo per spiegare perché credo di poter dire qualcosa in merito: mi trovo nella fortunata (o meno: ognun giudichi) posizione di conoscere Walter Lapini dai tempi in cui eravamo studenti dello stesso liceo a Firenze, pur in classi diverse (sono di un anno più giovane) e ho avuto modo di frequentarlo poi all’università, avendo noi seguito percorsi simili e condiviso quegli anni in un gruppo coeso, capace o fortunato (anche qui: ognun giudichi), gran parte del quale ha fatto poi carriera nell’università, in settori umanistici assai diversi tra loro: tutti, nella stragrande maggioranza, fuori dalla nostra sede, matrigna quant’altra mai (io ho fatto studi di semitistica e dopo una carriera iniziata a Napoli, dove sono rimasto come professore associato fino al 2009, sono ora professore ordinario ad Amburgo dal 2009: non per questo sentendomi in alcun modo un “cervello in fuga”, che è etichetta di comodo sotto la quale si nascondono le situazioni più diverse: solo questo meriterebbe un discorso troppo lungo qui). Non avendolo quasi mai più visto o sentito negli ultimi venti anni per rispettive vicende personali, se non per brevi e sporadici scambi, credo di avere anche la distanza giusta per dire qualcosa senza implicazioni passionali o sentimentali.
    Mi ritrovo anche ad avere ottenuto un ERC Advanced Grant (2014-2019), ricevuto dopo un primo tentativo non riuscito, e ad aver diretto e a dirigere o codirigere progetti cooperativi nazionali italiani (PRIN) e tedeschi (progetti DFG e di altre fondazioni), ed anche europei: European Science Foundation (2009-2014), e a partecipare ad altri progetti ERC di formato diverso dal Grant. Da ultimo (2019–), sono co-direttore di un Cluster of Excellence (finanziato dalla DFG) ad Amburgo, ottenuto dopo lunghissima procedura e valutato nel merito da commissioni esclusivamente internazionali, con tanto di “ispezione” (“Begehung”, qualcosa di inaudito nella mia esperienza in Italia, dove pure ho partecipato a bandi, e anche ottenuto, finanziamenti PRIN, sia per la procedura sia per il volume di finanziamento, che è di circa 50 milioni di euro per ogni Cluster).
    Mi spiace per Lei, ma quello che Sara Marino scrive è tutto vero: Walter Lapini è, se non un genio, almeno uno studioso geniale, senza rivali nel suo campo; ed è anche uno strenuo difensore dell’aspetto più “duro” degli studi classici: la competenza linguistica. Quest’aspetto essenziale (lo si voglia o meno, ma ovviamente non è possibile qui ricapitolare una discussione che non si può semplificare e che altri hanno già fatto) è in effetti seriamente minacciato in alcune delle proposte di riforma avanzate (si veda per un panorama ben documentato e assai lucido e onesto, non apologetico nonostante il titolo, Federico Condello, “La scuola giusta: in difesa del liceo classico” (Milano: Mondadori, 2018), che dà tutti i meriti che giustamente si devono anche agli altri licei e specialmente al liceo scientifico). Parrà strano, ma troverà, se ben si documenta, che le argomentazioni di Lapini non sono molto lontane da quelle di Don Milani, che non aveva anche lui sempre maniere gentili, non con gli studenti, ma con chi faceva finta di non capire (non ho spazio e modo di argomentare nel dettaglio qui). Tutte le opere che Sara cita sono formidabili, per arte e contenuto, e sono solo la produzione non scientifica di Walter; consiglierei di leggere anche la devastante incursione e denuncia nel “gotha” dell’editoria italiana (la collana Mondadori “I Meridiani”), nel suo splendido “Spinoza e le inezie puerili”, Opuscula, 188 (Genova: Il melangolo, 2010), anche scaricabile dal sito academia.edu di Walter.
    Sul merito dell’impatto dei finanziamenti ERC sull’università italiana: per la precisione, i fondi ERC sono budget aggiuntivo al FFO (Fondo di finaziamento ordinario) e le chiamate relative dei vincitori a posti in ruolo o a posti di fascia superiore non intaccano i punti organico, perché (almeno quelle ad ordinario) risultano, una volte approvate dal Ministero, per “chiara fama” e quindi considerate a parte; una volta coperta la materia (SSD: settore scientifico-disciplinare), però, non c’è abitualmente più spazio per chiamate sullo stesso settore; e quindi indirettamente tali chiamate interferiscono con la programmazione che ogni dipartimento è tenuto a stilare: anche perché i dipartimenti, pur di accaparrarsi un vincitore che porta soldi e prestigio, interpreteranno assai estensivamente le declaratorie dei settori stessi (casi specifici potrebbero essere citati), la cui scelta è peraltro influenzata anche da diversi altri parametri (per esempio, la sostenibilità della didattica, che richiede la copertura di specifici settori).
    Quindi, in sostanza – e questo intendeva Walter – non sono i finanziamenti ERC in sé, ovviamente, il problema, ma il miserevole contesto finanziario delle università italiane in cui vanno ad impattare e i meccanismi che inevitabilmente innescano. Ho l’impressione che, volendo stigmatizzare essenzialmente questo aspetto, Walter abbia dato l’impressione di accettare ogni altra stortura: il che ovviamente non è. Il problema è che, anche in presenza di titoli e carte in regola, chi non tenta una via come quella di un progetto ERC (in sostanza, di una legittimazione internazionale che superi i limiti del sottofinanziato sistema ordinario), raramente ottiene quel che merita, quando sarebbe giusto, sia in termini di immissione in ruolo sia in termini di inquadramento. (Mi limito a questo, anche se mi è chiaro che il punto solleverebbe ulteriori distinguo, troppo tecnici in questa sede.)
    Gli altri punti relativi ai progetti ERC – il “darwinismo”, i temi “modaioli”, l’obbligo (non la leggitimità del tema, ma quasi l’obbligo) della prospettiva “gender” (che è ben altra cosa dal tema serissimo della parità di genere nei ruoli accademici), l’uso esclusivo dell’inglese, i criteri di valutazione ecc. – sono troppa roba per affrontare tutto con le dovute precisazioni nelle parole che Walter aveva a disposizione, ma non sono temi che non meritino riflessione.
    Per prenderne uno, l’inglese: nelle discipline umanistiche e negli studi classici in particolare, è comunemente accettato che si scriva, pubblichi e parli ognuno in una delle lingue europee ammesse per consuetudine (francese, tedesco, spagnolo, italiano, talvolta ancor più che l’inglese: che non è comunemente ammesso per esempio nei convegni internazionali di paleografa greca, dove forse sono più accetti russo e greco moderno): queste lingue, uno studioso serio è tenuto a saper almeno leggere.
    L’obbligo dell’inglese, le cui ragioni posso benissimo comprendere (nella mia università io insegno in tedesco nel BA e in inglese nel MA, che è internazionale), anche per essere professionalmente in contatto con studenti e istituzioni di paesi africani dove l’inglese è l’unica lingua straniera insegnata, non evita storture pericolose ed effetti a catena: avendo io stesso valutato progetti ERC, posso dire che non è raro imbattersi in alcuni dove l’unica bibliografia considerata è appunto quella in inglese e dove prestigiose tradizioni di studi sono completamente ignorate. E siccome accade (come accade e come posso testimoniare) che anche progetti di tal tipo vengano approvati, il dubbio sulla qualità della valutazione è più che lecito. Un sistema di completa trasparenza potrebbe essere quello, con l’autorizzazione dei proponenti, di pubblicare integralmente, non solo i risultati, ma anche tutta la documentazione (giudizi dei revisori e giudizio finale della commissione) relativa sia ai progetti approvati sia a quelli non approvati.
    Naturalmente, in positivo, se anche io ho fatto (avendo già un posto da professore ordinario, W3 secondo l’ordinamento vigente in Germania) una proposta per un progetto ERC, è perché vedo come essenziale un altro aspetto della ricerca (oltre la promozione personale: in termini economici, esiste una premialità “una tantum”, che nel privato apparirebbe ridicola e che non determina alcun incentivo), che è ovvio nelle scienze, ma non lo è affatto nelle discipline umanistiche: e questo è quello della ricerca cooperativa. Solo finanziamenti di questa entità la permettono; e questo aspetto davvero apre nuove prospettive – attenzione – a patto di non mettere in discussione le premesse di base (le competenze “dure”).
    Mi spiace che un intervento che ha sollevato, in modo forse troppo provocatorio, questioni serie, e che ha il solo difetto (a mio parere) di averne messe insieme troppe e di non averne precisate alcune, abbia incontrato reazioni così violente e partigiane in questo blog, con attacchi che appaiono “ad personam”, e che Walter Lapini non merita.
    Se vorrà pubblicare il mio intervento, leggerò volentieri le reazioni.
    Grazie e cordiali saluti,
    Alessandro Bausi

  22. Gentile Sylvie Coyaud,
    Le rinvio ancora il mio intervento di ieri (12 gennaio 2019), che non ha voluto pubblicare subito, nel caso voglia farlo adesso.
    La seguivo al tempo delle “Oche di Lorenz” su Radio 3; non pensavo di ritrovarmi a leggere scambi infuocati di tal genere, viziati, a mio parere, dal Suo piglio iniziale (per usare le Sue parole, non meno “virile” di quello di Walter Lapini), che a mio parere giustamente Sara Martino ha trovato non azzeccato.
    Due parole su di me, solo per spiegare perché credo di poter dire qualcosa in merito: mi trovo nella fortunata (o meno: ognun giudichi) posizione di conoscere Walter Lapini dai tempi in cui eravamo studenti dello stesso liceo a Firenze, pur in classi diverse (sono di un anno più giovane) e ho avuto modo di frequentarlo poi all’università, avendo noi seguito percorsi simili e condiviso quegli anni in un gruppo coeso, capace o fortunato (anche qui: ognun giudichi), gran parte del quale ha fatto poi carriera nell’università, in settori umanistici assai diversi tra loro: tutti, nella stragrande maggioranza, fuori dalla nostra sede, matrigna quant’altra mai (io ho fatto studi di semitistica e dopo una carriera iniziata a Napoli, dove sono rimasto come professore associato fino al 2009, sono ora professore ordinario ad Amburgo dal 2009: non per questo sentendomi in alcun modo un “cervello in fuga”, che è etichetta di comodo sotto la quale si nascondono le situazioni più diverse: solo questo meriterebbe un discorso troppo lungo qui). Non avendolo quasi mai più visto o sentito negli ultimi venti anni per rispettive vicende personali, se non per brevi e sporadici scambi, credo di avere anche la distanza giusta per dire qualcosa senza implicazioni passionali o sentimentali.
    Mi ritrovo anche ad avere ottenuto un ERC Advanced Grant (2014-2019), ricevuto dopo un primo tentativo non riuscito, e ad aver diretto e a dirigere o codirigere progetti cooperativi nazionali italiani (PRIN) e tedeschi (progetti DFG e di altre fondazioni), ed anche europei: European Science Foundation (2009-2014), e a partecipare ad altri progetti ERC di formato diverso dal Grant. Da ultimo (2019–), sono co-direttore di un Cluster of Excellence (finanziato dalla DFG) ad Amburgo, ottenuto dopo lunghissima procedura e valutato nel merito da commissioni esclusivamente internazionali, con tanto di “ispezione” (“Begehung”, qualcosa di inaudito nella mia esperienza in Italia, dove pure ho partecipato a bandi, e anche ottenuto, finanziamenti PRIN, sia per la procedura sia per il volume di finanziamento, che è di circa 50 milioni di euro per ogni Cluster).
    Mi spiace per Lei, ma quello che Sara Marino scrive è tutto vero: Walter Lapini è, se non un genio, almeno uno studioso geniale, senza rivali nel suo campo; ed è anche uno strenuo difensore dell’aspetto più “duro” degli studi classici: la competenza linguistica. Quest’aspetto essenziale (lo si voglia o meno, ma ovviamente non è possibile qui ricapitolare una discussione che non si può semplificare e che altri hanno già fatto) è in effetti seriamente minacciato in alcune delle proposte di riforma avanzate (si veda per un panorama ben documentato e assai lucido e onesto, non apologetico nonostante il titolo, Federico Condello, “La scuola giusta: in difesa del liceo classico” (Milano: Mondadori, 2018), che dà tutti i meriti che giustamente si devono anche agli altri licei e specialmente al liceo scientifico). Parrà strano, ma troverà, se ben si documenta, che le argomentazioni di Lapini non sono molto lontane da quelle di Don Milani, che non aveva anche lui sempre maniere gentili, non con gli studenti, ma con chi faceva finta di non capire (non ho spazio e modo di argomentare nel dettaglio qui). Tutte le opere che Sara cita sono formidabili, per arte e contenuto, e sono solo la produzione non scientifica di Walter; consiglierei di leggere anche la devastante incursione e denuncia nel “gotha” dell’editoria italiana (la collana Mondadori “I Meridiani”), nel suo splendido “Spinoza e le inezie puerili”, Opuscula, 188 (Genova: Il melangolo, 2010), anche scaricabile dal sito academia.edu di Walter.
    Sul merito dell’impatto dei finanziamenti ERC sull’università italiana: per la precisione, i fondi ERC sono budget aggiuntivo al FFO (Fondo di finaziamento ordinario) e le chiamate relative dei vincitori a posti in ruolo o a posti di fascia superiore non intaccano i punti organico, perché (almeno quelle ad ordinario) risultano, una volte approvate dal Ministero, per “chiara fama” e quindi considerate a parte; una volta coperta la materia (SSD: settore scientifico-disciplinare), però, non c’è abitualmente più spazio per chiamate sullo stesso settore; e quindi indirettamente tali chiamate interferiscono con la programmazione che ogni dipartimento è tenuto a stilare: anche perché i dipartimenti, pur di accaparrarsi un vincitore che porta soldi e prestigio, interpreteranno assai estensivamente le declaratorie dei settori stessi (casi specifici potrebbero essere citati), la cui scelta è peraltro influenzata anche da diversi altri parametri (per esempio, la sostenibilità della didattica, che richiede la copertura di specifici settori).
    Quindi, in sostanza – e questo intendeva Walter – non sono i finanziamenti ERC in sé, ovviamente, il problema, ma il miserevole contesto finanziario delle università italiane in cui vanno ad impattare e i meccanismi che inevitabilmente innescano. Ho l’impressione che, volendo stigmatizzare essenzialmente questo aspetto, Walter abbia dato l’impressione di accettare ogni altra stortura: il che ovviamente non è. Il problema è che, anche in presenza di titoli e carte in regola, chi non tenta una via come quella di un progetto ERC (in sostanza, di una legittimazione internazionale che superi i limiti del sottofinanziato sistema ordinario), raramente ottiene quel che merita, quando sarebbe giusto, sia in termini di immissione in ruolo sia in termini di inquadramento. (Mi limito a questo, anche se mi è chiaro che il punto solleverebbe ulteriori distinguo, troppo tecnici in questa sede.)
    Gli altri punti relativi ai progetti ERC – il “darwinismo”, i temi “modaioli”, l’obbligo (non la leggitimità del tema, ma quasi l’obbligo) della prospettiva “gender” (che è ben altra cosa dal tema serissimo della parità di genere nei ruoli accademici), l’uso esclusivo dell’inglese, i criteri di valutazione ecc. – sono troppa roba per affrontare tutto con le dovute precisazioni nelle parole che Walter aveva a disposizione, ma non sono temi che non meritino riflessione.
    Per prenderne uno, l’inglese: nelle discipline umanistiche e negli studi classici in particolare, è comunemente accettato che si scriva, pubblichi e parli ognuno in una delle lingue europee ammesse per consuetudine (francese, tedesco, spagnolo, italiano, talvolta ancor più che l’inglese: che non è comunemente ammesso per esempio nei convegni internazionali di paleografa greca, dove forse sono più accetti russo e greco moderno): queste lingue, uno studioso serio è tenuto a saper almeno leggere.
    L’obbligo dell’inglese, le cui ragioni posso benissimo comprendere (nella mia università io insegno in tedesco nel BA e in inglese nel MA, che è internazionale), anche per essere professionalmente in contatto con studenti e istituzioni di paesi africani dove l’inglese è l’unica lingua straniera insegnata, non evita storture pericolose ed effetti a catena: avendo io stesso valutato progetti ERC, posso dire che non è raro imbattersi in alcuni dove l’unica bibliografia considerata è appunto quella in inglese e dove prestigiose tradizioni di studi sono completamente ignorate. E siccome accade (come accade e come posso testimoniare) che anche progetti di tal tipo vengano approvati, il dubbio sulla qualità della valutazione è più che lecito. Un sistema di completa trasparenza potrebbe essere quello, con l’autorizzazione dei proponenti, di pubblicare integralmente, non solo i risultati, ma anche tutta la documentazione (giudizi dei revisori e giudizio finale della commissione) relativa sia ai progetti approvati sia a quelli non approvati.
    Naturalmente, in positivo, se anche io ho fatto (avendo già un posto da professore ordinario, W3 secondo l’ordinamento vigente in Germania) una proposta per un progetto ERC, è perché vedo come essenziale un altro aspetto della ricerca (oltre la promozione personale: in termini economici, esiste una premialità “una tantum”, che nel privato apparirebbe ridicola e che non determina alcun incentivo), che è ovvio nelle scienze, ma non lo è affatto nelle discipline umanistiche: e questo è quello della ricerca cooperativa. Solo finanziamenti di questa entità la permettono; e questo aspetto davvero apre nuove prospettive – attenzione – a patto di non mettere in discussione le premesse di base (le competenze “dure”).
    Mi spiace che un intervento che ha sollevato, in modo forse troppo provocatorio, questioni serie, e che ha il solo difetto (a mio parere) di averne messe insieme troppe e di non averne precisate alcune, abbia incontrato reazioni così violente e partigiane in questo blog, con attacchi che appaiono “ad personam”, e che Walter Lapini non merita.
    Se vorrà pubblicare il mio intervento, leggerò volentieri le reazioni.
    Grazie e cordiali saluti,
    Alessandro Bausi

  23. Gentile Sylvie Coyaud,
    vedo che non vuole pubblicare il mio intervento: è curioso che nel Suo blog non voglia dar voce a chi almeno un ERC Grant l’ha vinto. Ma avrà i Suoi motivi. Da parte mia, ne terrò conto per il futuro.
    La seguivo al tempo delle “Oche di Lorenz” su Radio 3; non pensavo di ritrovarmi a leggere scambi infuocati di tal genere, viziati, a mio parere, dal Suo piglio iniziale (per usare le Sue parole, non meno “virile” di quello di Walter Lapini), che a mio parere giustamente Sara Martino ha trovato inappropriato.
    Due parole su di me, solo per spiegare perché credo di poter dire qualcosa in merito: mi trovo nella fortunata (o meno: ognun giudichi) posizione di conoscere Walter Lapini dai tempi in cui eravamo studenti dello stesso liceo a Firenze, pur in classi diverse (sono di un anno più giovane) e ho avuto modo di frequentarlo poi all’università, avendo noi seguito percorsi simili e condiviso quegli anni in un gruppo coeso, capace o fortunato (anche qui: ognun giudichi), gran parte del quale, senza alcun supporto familiare (nella mia sono, non solo il primo laureato, ma il primo ad aver mai avuto la possibilità di studiare in una scuola media, visto che prima c’era “l’Avviamento”) ha fatto poi carriera nell’università, in settori umanistici assai diversi tra loro: tutti, nella stragrande maggioranza, fuori dalla nostra sede, matrigna quant’altra mai (io ho fatto studi di semitistica e dopo una carriera iniziata a Napoli, dove sono rimasto come professore associato fino al 2009, sono ora professore ordinario ad Amburgo dal 2009: non per questo sentendomi in alcun modo un “cervello in fuga”, che è etichetta di comodo sotto la quale si nascondono le situazioni più diverse: solo questo meriterebbe un discorso troppo lungo qui). Non avendolo quasi mai più visto o sentito di persona negli ultimi venti anni per rispettive vicende personali, se non per brevi e occasionali scambi, pur mlegghendo le sue cose, credo di avere anche la distanza giusta per dire qualcosa senza implicazioni passionali o sentimentali.
    Ho ottenuto anche un ERC Advanced Grant (2014-2019), ricevuto dopo un primo tentativo non riuscito, e ad aver diretto e a dirigere o codirigere progetti cooperativi nazionali italiani (PRIN) e tedeschi (progetti DFG e di altre fondazioni), ed anche europei: European Science Foundation (2009-2014), e a partecipare ad altri progetti ERC di formato diverso dal Grant. Da ultimo (2019–), sono co-direttore di un Cluster of Excellence (finanziato dalla DFG) ad Amburgo, ottenuto dopo lunghissima procedura e valutato nel merito da commissioni esclusivamente internazionali, con tanto di “ispezione” (“Begehung”, qualcosa di inaudito nella mia esperienza in Italia, dove pure ho partecipato a bandi, e anche ottenuto, finanziamenti PRIN, sia per la procedura sia per il volume di finanziamento, che è di circa 50 milioni di euro per ogni Cluster).
    Mi spiace per Lei, ma quello che Sara Marino scrive è tutto vero: Walter Lapini è, se non un genio, almeno uno studioso geniale, senza rivali nel suo campo; ed è anche uno strenuo difensore dell’aspetto più “duro” degli studi classici: la competenza linguistica. Quest’aspetto essenziale (lo si voglia o meno, ma ovviamente non è possibile qui ricapitolare una discussione che non si può semplificare e che altri hanno già fatto) è in effetti seriamente minacciato in alcune delle proposte di riforma di esame di maturità avanzate (si veda per un panorama ben documentato e assai lucido e onesto, non apologetico nonostante il titolo, Federico Condello, “La scuola giusta: in difesa del liceo classico” (Milano: Mondadori, 2018), che dà tutti i meriti che giustamente si devono anche agli altri licei e specialmente al liceo scientifico). Parrà strano, ma troverà, se ben si documenta, che le argomentazioni di Lapini non sono molto lontane da quelle di Don Milani, che non aveva anche lui sempre maniere gentili, non con gli studenti, ma con chi faceva finta di non capire (non ho spazio e modo di argomentare nel dettaglio qui, ma la rivendicazione dell’aspetto duro e integrale ANCHE del sapere classico è un tema squisitamente milaniano).
    Tutte le opere che Sara Martino cita sono formidabili, per arte e contenuto, e sono solo la produzione non scientifica di Walter; consiglierei di leggere anche la devastante incursione e denuncia (che non ha avuto repliche) nel “gotha” dell’editoria italiana (la collana Mondadori “I Meridiani”), nel suo splendido “Spinoza e le inezie puerili”, Opuscula, 188 (Genova: Il melangolo, 2010), anche scaricabile dal sito academia.edu di Walter.
    Sul merito dell’impatto dei finanziamenti ERC sull’università italiana: per la precisione, i vincitori di progetti ERC possono essere chiamati con budget aggiuntivo al FFO (Fondo di finaziamento ordinario) e le chiamate relative dei vincitori a posti in ruolo o a posti di fascia superiore non intaccano i punti organico, perché (almeno quelle ad ordinario) risultano, una volte approvate dal Ministero, per “chiara fama” e quindi considerate a parte; una volta coperta la materia (SSD: settore scientifico-disciplinare), però, non c’è abitualmente più spazio per chiamate sullo stesso settore; e quindi indirettamente tali chiamate interferiscono di fatto con la programmazione che ogni dipartimento è tenuto a stilare: anche perché i dipartimenti, pur di accaparrarsi un vincitore che porta soldi e prestigio, interpreteranno assai estensivamente le declaratorie dei settori stessi (casi specifici potrebbero essere citati), la cui scelta è peraltro influenzata anche da diversi altri parametri (per esempio, la sostenibilità della didattica, che richiede la copertura di specifici settori).
    Quindi, in sostanza – e questo intendeva Walter – non sono i finanziamenti ERC in sé, ovviamente, il problema, ma il miserevole contesto finanziario delle università italiane in cui vanno ad impattare e i meccanismi che in un tale contesto inevitabilmente innescano. Ho l’impressione che, volendo stigmatizzare essenzialmente questo aspetto, Walter abbia dato l’impressione di accettare ogni altra stortura: il che ovviamente non è. Il problema è che, anche in presenza di titoli e carte in regola, chi non tenta una via come quella di un progetto ERC (in sostanza, di una legittimazione internazionale che superi i limiti del sottofinanziato sistema ordinario), raramente ottiene quel che merita, nel tempo ragionevole in cui sarebbe giusto aspettarselo, sia in termini di immissione in ruolo sia in termini di inquadramento. (Mi limito a questo, anche se mi è chiaro che il punto solleverebbe ulteriori distinguo, troppo tecnici in questa sede.)
    Gli altri punti relativi ai progetti ERC – il “darwinismo”, i temi “modaioli”, l’obbligo (non la leggitimità del tema, ma quasi l’obbligo) della prospettiva “gender” (che è ben altra cosa dal tema serissimo della parità di genere nei ruoli accademici), l’uso esclusivo dell’inglese, la trasparenza dei criteri di valutazione ecc. – sono troppa roba per affrontare tutto con le dovute precisazioni nelle parole che Walter aveva a disposizione, ma non sono certo temi che non meritino riflessione.
    Per prenderne uno, l’inglese: nelle discipline umanistiche e negli studi classici in particolare, è comunemente accettato che si scriva, pubblichi e parli ognuno in una delle lingue europee ammesse per consuetudine (francese, tedesco, spagnolo, italiano, talvolta ancor più che l’inglese: che non è comunemente ammesso per esempio nei convegni internazionali di paleografa greca, dove forse sono più accetti russo e greco moderno): queste lingue, uno studioso serio è tenuto a saper almeno leggere, e alcune almeno anche a parlarne.
    L’obbligo dell’inglese, le cui ragioni posso benissimo comprendere (nella mia università io insegno in tedesco nel BA e in inglese nel MA, che è internazionale), anche per essere professionalmente in contatto con studenti e istituzioni di paesi africani dove l’inglese è l’unica lingua straniera insegnata, non evita storture pericolose ed effetti a catena: avendo io stesso valutato progetti ERC, posso dire che non è raro imbattersi in alcuni dove l’unica bibliografia considerata è appunto quella in inglese e dove prestigiose tradizioni di studi sono completamente ignorate. E siccome accade (come accade e come posso testimoniare) che anche progetti di tal tipo vengano approvati, il dubbio sulla qualità della valutazione è più che lecito. Un sistema di completa trasparenza potrebbe essere quello, con l’autorizzazione dei proponenti, di pubblicare integralmente, non solo i risultati, ma anche tutta la documentazione (giudizi dei revisori e giudizio finale della commissione) relativa sia ai progetti approvati sia a quelli non approvati.
    Naturalmente, in positivo, se anche io ho fatto (avendo già un posto da professore ordinario, W3 secondo l’ordinamento vigente in Germania) una proposta per un progetto ERC, è perché vedo come essenziale un altro aspetto della ricerca (oltre la promozione personale: in termini economici, esiste una premialità “una tantum”, che nel privato apparirebbe ridicola e che non determina alcun incentivo), che è ovvio nelle scienze, ma non lo è affatto nelle discipline umanistiche: e questo è quello della ricerca cooperativa. Solo finanziamenti di questa entità la permettono; e questo aspetto davvero apre nuove prospettive – attenzione – a patto di non mettere in discussione le premesse di base (le competenze “dure”).
    Mi spiace che un intervento che ha sollevato, in modo forse troppo provocatorio, questioni serie, e che ha il solo difetto (a mio parere) di averne messe insieme troppe e di non averne precisate alcune, abbia incontrato reazioni così violente e partigiane in questo blog, con attacchi che appaiono “ad personam”, e che Walter Lapini non merita.
    Se vorrà pubblicare il mio intervento, leggerò volentieri le reazioni.
    Grazie e cordiali saluti,
    Alessandro Bausi

    1. Alessandro Bausi,
      vedo che non vuole pubblicare il mio intervento: è curioso che nel Suo blog non voglia dar voce a chi almeno un ERC Grant l’ha vinto. Ma avrà i Suoi motivi. Da parte mia, ne terrò conto per il futuro.
      I commenti con un nuovo IP sono sospesi automaticamente, e uno dei suoi commenti era finito nello spam. Non so perché.

  24. @Alessandro Bausi
    Grazie, Professore, per le sue parole. Sono stata definita troll, dileggiata (vd. ultima risposta ricevuta), trattata con sarcasmo, nonostante la mia buona fede e la totale assenza di interesse personale. Avevo rinunciato, con una certa amarezza, a scrivere ancora.
    Il suo magnifico intervento, autorevolissimo e informato, fa giustizia e ripristina la verità. Spero che Ocasapiens la ascolti.
    SM

  25. Gentile Sylvie Coyaud,
    La ringrazio di aver pubblicato il mio intervento – con una dilazione, come mi spiega, per motivi tecnici – che ha comportato da parte mia l’invio di versioni successive appena divergenti, pur sempre con qualche refuso di cui mi scuso. (Qui sotto riporto di nuovo il mio intervento, spero più corretto.)
    Volevo precisare ancora solo un punto, a proposito della Sua evocazione di Croce (questo una espressione di Walter Lapini Le ha fatto venire in mente), soprattutto per mostrare che le Sue posizioni sono molto più prossime a quelle di Walter Lapini (che faccio anche mie) di quanto forse Lei stessa non creda:
    se in Italia, entro le discipline umanistiche, vi è stato un movimento e una reazione anticrociana e antiidealistica profonda (e a tratti addirittura eccessiva, come ha scritto perfino un filologo e storico della cultura come Luciano Canfora), ebbene, questo si deve a grandi classicisti (da Girolamo Vitelli fino a Giorgio Pasquali, entrambi di formazione tedesca e come “tedescofili” ferocemente accusati di positivismo e antipatriottismo), che hanno operato (specie nell’Università di Firenze: consiglio la lettura del recentemente ripubblicato pamphlet di Girolamo Vitelli, “Filologia classica … e romantica”, Introduzione di Luciano Canfora con una Postilla di Rosario Pintaudi, Saggi (Lavis (TN): La Finestra Editrice, 2018)), nella prima metà del Novecento; e che hanno sottolineato, in polemica con la maggior parte dei classicisti italiani, l’importanza essenziale delle conoscenze tecniche, le più “scientifiche” in ambito umanistico (padronanza assoluta di lingua, stile e metrica degli autori e dei documenti che si studiano, pratica di un metodo critico-testuale rigoroso, centralità della linguistica storica e comparativa, conoscenza delle istituzioni e del diritto del mondo antico, considerazione delle evidenze epigrafiche e papirologiche ecc.) per lo studio dell’antichità classica: quanto cioè vi sia di più vicino allo studio delle “sciences” in ambito umanistico.
    Fare quindi, per allusione, di uno studioso come Walter Lapini, che sicuramente da questa tradizione discende e degnamente rappresenta, un crociano cantore della poesia pura o un nostalgico di un innocuo e simpatico classicismo da hobby o da salotto (a questo a tanti piacerebbe oggi ridurre gli studi classici), è quanto meno una forzatura. Le cose sono un po’ più articolate.
    Grazie ancora e cordiali saluti,
    Alessandro Bausi
    * * *
    Gentile Sylvie Coyaud,
    vedo che non vuole pubblicare il mio intervento: è curioso che nel Suo blog non voglia dar voce a chi almeno un ERC Grant l’ha vinto. Ma avrà i Suoi motivi. Da parte mia, ne terrò conto per il futuro.
    La seguivo al tempo delle “Oche di Lorenz” su Radio 3; non pensavo di ritrovarmi a leggere scambi infuocati di tal genere, viziati, a mio parere, dal Suo piglio iniziale (per usare le Sue parole, non meno “virile” di quello di Walter Lapini), che a mio parere giustamente Sara Martino ha trovato inappropriato.
    Due parole su di me, solo per spiegare perché credo di poter dire qualcosa in merito: mi trovo nella fortunata (o meno: ognun giudichi) posizione di conoscere Walter Lapini dai tempi in cui eravamo studenti dello stesso liceo a Firenze, pur in classi diverse (sono di un anno più giovane) e ho avuto modo di frequentarlo poi all’università, avendo noi seguito percorsi simili e condiviso quegli anni in un gruppo coeso, capace o fortunato (anche qui: ognun giudichi), gran parte del quale, senza alcun supporto familiare (nella mia sono, non solo il primo laureato, ma il primo ad aver mai avuto la possibilità di studiare in una scuola media, visto che, solo mio padre, aveva potuto frequentare solo l'”Avviamento (al lavoro)”) ha fatto poi carriera nell’università, in settori umanistici assai diversi tra loro: tutti, nella stragrande maggioranza, fuori dalla nostra sede, matrigna quant’altra mai (io ho fatto studi di semitistica e dopo una carriera iniziata a Napoli, dove sono rimasto come professore associato fino al 2009, sono ora professore ordinario ad Amburgo dal 2009: non per questo sentendomi in alcun modo un “cervello in fuga”, che è etichetta di comodo sotto la quale si nascondono le situazioni più diverse: solo questo meriterebbe un discorso troppo lungo qui). Non avendolo quasi mai più visto o sentito di persona negli ultimi venti anni per rispettive vicende personali, se non per brevi e occasionali scambi, pur leggendo le sue cose, credo di avere anche la distanza giusta per dire qualcosa senza implicazioni passionali o sentimentali.
    Ho ottenuto anche un ERC Advanced Grant (2014-2019), dopo un primo tentativo non riuscito, e ho diretto e dirigo o codirigo progetti cooperativi nazionali italiani (PRIN) e tedeschi (progetti DFG e di altre fondazioni), ed anche europei: European Science Foundation (2009-2014), e partecipo ad altri progetti ERC di formato diverso dal Grant. Da ultimo (2019–), sono co-direttore di un Cluster of Excellence (finanziato dalla DFG) ad Amburgo, ottenuto dopo lunghissima procedura e valutato nel merito da commissioni esclusivamente internazionali, con tanto di “ispezione” (“Begehung”, qualcosa di inaudito nella mia esperienza in Italia, dove pure ho partecipato a bandi, e anche ottenuto, finanziamenti PRIN, sia per la procedura sia per il volume di finanziamento, che è di circa 50 milioni di euro per ogni Cluster).
    Mi spiace per Lei, ma quello che Sara Marino scrive è tutto vero: Walter Lapini è, se non un genio, almeno uno studioso geniale, senza rivali nel suo campo; ed è anche uno strenuo difensore dell’aspetto più “duro” degli studi classici: la competenza linguistica. Quest’aspetto essenziale (lo si voglia o meno, ma ovviamente non è possibile qui ricapitolare una discussione che non si può semplificare e che altri hanno già fatto) è in effetti seriamente minacciato in alcune delle proposte di riforma dell’esame di maturità avanzate (si veda per un panorama ben documentato e assai lucido e onesto, non apologetico nonostante il titolo, Federico Condello, “La scuola giusta: in difesa del liceo classico” (Milano: Mondadori, 2018), che dà tutti i meriti che giustamente si devono anche agli altri licei e specialmente al liceo scientifico). Parrà strano, ma troverà, se ben si documenta, che le argomentazioni di Lapini non sono molto lontane da quelle di Don Milani, che non aveva anche lui sempre maniere gentili, non con gli studenti, ma con chi faceva finta di non capire (non ho spazio e modo di argomentare nel dettaglio qui, ma la rivendicazione dell’aspetto duro e integrale ANCHE del sapere classico è un tema squisitamente milaniano).
    Tutte le opere che Sara Martino cita sono formidabili, per arte e contenuto, e sono solo la produzione non scientifica di Walter; consiglierei di leggere anche la devastante incursione e denuncia (che non ha avuto repliche) nel “gotha” dell’editoria italiana (la collana Mondadori “I Meridiani”), nel suo splendido “Spinoza e le inezie puerili”, Opuscula, 188 (Genova: Il melangolo, 2010), anche scaricabile dal sito academia.edu di Walter.
    Sul merito dell’impatto dei finanziamenti ERC sull’università italiana: per la precisione, i vincitori di progetti ERC possono essere chiamati con budget aggiuntivo al FFO (Fondo di finanziamento ordinario) e le chiamate relative dei vincitori a posti in ruolo o a posti di fascia superiore non intaccano i punti organico, perché (almeno quelle ad ordinario) risultano, una volte approvate dal Ministero, per “chiara fama” e quindi considerate a parte; una volta coperta la materia (SSD: settore scientifico-disciplinare), però, non c’è abitualmente più spazio per chiamate sullo stesso settore; e quindi indirettamente tali chiamate interferiscono di fatto con la programmazione che ogni dipartimento è tenuto a stilare: anche perché i dipartimenti, pur di accaparrarsi un vincitore che porta soldi e prestigio, interpreteranno assai estensivamente le declaratorie dei settori stessi (casi specifici potrebbero essere citati), la cui scelta è peraltro influenzata anche da diversi altri parametri (per esempio, la sostenibilità della didattica, che richiede la copertura di specifici settori).
    Quindi, in sostanza – e questo intendeva Walter – non sono i finanziamenti ERC in sé, ovviamente, il problema, ma il miserevole contesto finanziario delle università italiane in cui vanno ad impattare, e i meccanismi che in un tale contesto inevitabilmente innescano. Ho l’impressione che, volendo stigmatizzare essenzialmente questo aspetto, Walter abbia dato l’impressione di accettare ogni altra stortura: il che ovviamente non è. Il problema è invece che, anche in presenza di titoli e carte in regola, chi non tenta una via come quella di un progetto ERC (in sostanza, di una legittimazione internazionale che superi i limiti del sottofinanziato sistema ordinario), raramente ottiene quel che merita nel tempo ragionevole in cui gli sarebbe docuto, sia in termini di immissione in ruolo sia in termini di inquadramento. (Mi limito a questo, anche se mi è chiaro che il punto necessiterebbe di ulteriori distinguo, troppo tecnici in questa sede.)
    Gli altri punti relativi ai progetti ERC – il “darwinismo”, i temi “modaioli”, l’obbligo (non la leggitimità del tema, ma quasi l’obbligo) della prospettiva “gender” (che è ben altra cosa dal tema serissimo della parità di genere nei ruoli accademici), l’uso esclusivo dell’inglese, la trasparenza dei criteri di valutazione ecc. – sono troppa roba per affrontare tutto con le dovute precisazioni nelle parole che Walter aveva a disposizione, ma non sono certo temi che non meritino riflessione.
    Per prenderne uno, l’inglese: nelle discipline umanistiche e negli studi classici in particolare, è comunemente accettato che si pubblichi e anche parli ognuno in una delle lingue europee ammesse per consuetudine (francese, tedesco, spagnolo, italiano, talvolta ancor più che l’inglese: che non è comunemente ammesso per esempio nei convegni internazionali di paleografa greca, dove forse sono più accetti russo e greco moderno): queste lingue, uno studioso serio è tenuto a saper almeno leggere, e almeno diverse anche a parlarle.
    L’obbligo dell’inglese, le cui ragioni posso benissimo comprendere (nella mia università io insegno in tedesco nel BA e in inglese nel MA, che è internazionale), anche per essere professionalmente in contatto con studenti e istituzioni di paesi africani dove l’inglese è l’unica lingua straniera insegnata, non evita storture pericolose ed effetti a catena: avendo io stesso valutato progetti ERC, posso dire che non è raro imbattersi in alcuni dove l’unica bibliografia considerata è appunto quella in inglese e dove prestigiose tradizioni di studi sono completamente ignorate. E siccome può accadere (come credo che accada) che anche progetti di tal tipo vengano approvati, il dubbio sulla qualità della valutazione è più che lecito. Un sistema di completa trasparenza potrebbe essere quello, con l’autorizzazione dei proponenti, di pubblicare integralmente, non solo i risultati, ma anche tutta la documentazione (progetto, giudizi dei revisori e giudizio finale della commissione) relativa sia ai progetti approvati sia a quelli non approvati.
    Naturalmente, in positivo, se anche io ho fatto (avendo già un posto da professore ordinario, W3 secondo l’ordinamento vigente in Germania) una proposta per un progetto ERC, è perché vedo come essenziale un altro aspetto della ricerca (oltre la promozione personale: in termini economici, esiste una premialità “una tantum”, che nel privato apparirebbe ridicola e che non determina alcun incentivo), che è ovvio nelle scienze, ma non lo è affatto nelle discipline umanistiche: e questo è quello della ricerca cooperativa. Solo finanziamenti di questa entità la permettono; e questo aspetto davvero apre nuove prospettive – attenzione – a patto di non mettere in discussione le premesse di base (le competenze “dure”).
    Mi spiace che un intervento che ha sollevato, in modo forse troppo provocatorio, questioni serie, e che ha il solo difetto (a mio parere) di averne messe insieme troppe e di non averne precisate alcune, abbia incontrato reazioni così violente e partigiane in questo blog, con attacchi che appaiono “ad personam”, e che Walter Lapini non merita.
    Se vorrà pubblicare il mio intervento, leggerò volentieri le reazioni.
    Grazie e cordiali saluti,
    Alessandro Bausi

  26. @ Alessandro Bausi
    leggerò volentieri le reazioni.
    Non intendevo “reagire” — trovo il suo intervento molto interessante e, per quanto dissenta su alcuni punti, ben argomentato — ma… visto che lo chiede…
    non pensavo di ritrovarmi a leggere scambi infuocati di tal genere […] Mi spiace che un intervento che ha sollevato, in modo forse troppo provocatorio, questioni serie, e che ha il solo difetto (a mio parere) di averne messe insieme troppe e di non averne precisate alcune, abbia incontrato reazioni così violente e partigiane in questo blog, con attacchi che appaiono “ad personam”, e che Walter Lapini non merita
    Io, francamente, queste fiamme e questa violenza proprio non riesco a vederle.
    Forse perche’, abituato a confrontarmi con negazionisti del riscaldamento climatico, dibelliani, sostenitori della fusione fredda, antivaccinisti, tifosi di Stamina e del recentemente scomparso Vannoni, omeopati, scia-chiministi, creazionisti e sostenitori delle piu’ improbabili e surreali pseudomedicine — dai quali, in questo blog, siamo abituati a ricevere insulti e l’augurio di prendersi un cancro, nel migliore dei casi, minacce di querele, mediamente, minacce di morte, nei casi peggiori — ma il confronto con la dott.ssa Martino non mi e’ sembrato particolarmente infuocato.
    Qui riceviamo insulti personali anche dalle persone che cerchiamo di aiutare, come di recente e’ successo al prof. Marin.
    Sul fatto che il prof. Lapini abbia incontrato reazioni partigiane, posso anche concordare. Le mie, sopratutto le ultime, lo erano indubbiamente. Fieramente partigiane.
    Ma che siano “violente”… suvvia, professore… non esageriamo. Forse lei e’ abituato ad ambienti molto piu’ ovattati di quelli che frequento io ma, francamente, il suo mi sembra vittimismo per procura.
    Sul fatto che queste reazioni non siano meritate… be’… per quanto sospetto che ci sia un parziale equivoco dietro, mi sembra siano meritare eccome.
    Del resto, anche lei si ritrova, per quanto malvolentieri, a convenire sulla provocatorieta’ dell’intervento del prof. Lapini.
    Stando cosi’ le cose, mi sembra che, al piu’, possa accusarci di essere caduti nella provocazione, non che possa ragionevolmente sostenere che le reazioni non fossero meritate.
    mi trovo nella fortunata (o meno: ognun giudichi) posizione di conoscere Walter Lapini dai tempi in cui eravamo studenti dello stesso liceo a Firenze […] e ho avuto modo di frequentarlo poi all’università […]
    Grazie per la precisazione ma, spero converra’, anche il suo intervento (come quelli della dott.ssa Martino) puo’ essere classificato come “partigiano”.
    Complimenti, comunque, per la sua carriera.
    Mi fa venir nostalgia dei tempi nei quali l’ascensore sociale era ancora in funzione.
    Mi spiace per Lei, ma quello che Sara Marino scrive è tutto vero: Walter Lapini è, se non un genio, almeno uno studioso geniale, senza rivali nel suo campo;
    Vede… io sono intervenuto, replicando alla dott.ssa Martino, poiche’ questa sembrava voler negare legittimita’ alle critiche all’intervento del prof. Lapini (quello sul Corriere, del 4 gennaio scorso) se non provenienti da profondi conoscitori della carriera e delle opere del professore.
    Vedo che anche lei insiste sulla genialita’ del prof. Lapini.
    Non la metto in dubbio, mi compiaccio di condividere la cittadinanza con un tale talento e non capisco perche’ la nostra ospite (o lei, per riflesso) debba dispiacersene per questo.
    Ma, ribadisco, questo e’ irrilevante.
    L’intervento del prof. Lapini e’ criticabile a prescindere dalla carriera o dalla genialita’ dello stesso.
    Sono le affermazioni, le valutazioni, i toni, le insinuazioni e le denigrazioni del prof. Lapini, in quel preciso intervento, a essere criticabili e principalmente criticati.
    E nulla di questo ha a che fare con la carriera o le competenze dell’autore.
    Quindi, in sostanza – e questo intendeva Walter – non sono i finanziamenti ERC in sé, ovviamente, il problema, ma il miserevole contesto finanziario delle università italiane in cui vanno ad impattare e i meccanismi che in un tale contesto inevitabilmente innescano
    Lei, parlandoci di sostanza, sorvola sulla forma.
    E, sulla sostanza di cui sopra, credo siamo tutti d’accordo.
    Ma la forma era particolarmente denigratoria, nei confronti dei vincitori ERC, descritti come dei miracolati, che imbrogliano un sistema di selezione incapace di riconoscere il merito e che, se gia’ non l’hanno, si *comprano* la cattedra a danno di altri che fanno pazientemente la “fila”.
    Ho l’impressione che, volendo stigmatizzare essenzialmente questo aspetto, Walter abbia dato l’impressione di accettare ogni altra stortura: il che ovviamente non è
    Si’… leggendo un altro intervento, segnalato dalla dott.ssa Martino, sono arrivato a pensare che lei possa avere ragione.
    Ma se lei ha ragione, non ho equivocato solo io; l’abbiamo fatto in tanti.
    Lei dice “ovviamente non e'”. Ovviamente per lei, forse. Non per i lettori di quell’intervento che avevano tutto il diritto di leggerlo senza avere il dovere di leggere i precedenti interventi dell’autore e men che meno la sua opera omnia.
    Se il prof. Lapini ha dato volontariamente l’idea di accettare (io direi persino “approvare”) le altre storture, allora le critiche conseguenti mi sembrano decisamente giustificate.
    Se il prof. Lapini ha dato quell’idea involontariamente, forse le critiche sono meno giustificate… ma sorgono dei seri dubbi sulle sue capacita’ espressive. Il che mi sembra alquanto negativo, per un docente.
    Il problema è che, anche in presenza di titoli e carte in regola, chi non tenta una via come quella di un progetto ERC […] raramente ottiene quel che merita, nel tempo ragionevole in cui sarebbe giusto aspettarselo, sia in termini di immissione in ruolo sia in termini di inquadramento
    “E’ un mondo difficile.”
    “E’ vita intensa. Felicita’ a momenti e futuro incerto.”
    Subiamo piu’ o meno tutti, di tanto in tanto, dei danni (che ognuno di noi tende a considerare ingiusti) a causa del comportamento assolutamente legittimo di altre persone e, piu’ in generale, dell’imprevedibilita’ degli eventi.
    Ma:
    1) non mi sembra un buon motivo per descrivere in maniera denigratoria i vincitori degli ERC e i loro selezionatori
    2) non mi sembra sia un titolo di merito il non tentare la via dell’ERC
    3) se non capisco male (mi corregga se sbaglio) l’arrivo di un progetto ERC apre ulteriori opportunita’, per chi davvero “merita”
    4) non mi sembra che il prof. Lapini parli di merito o di ragionevoli aspettative; ricordo pero’ chiaramente che parla di “fila” e di “turno”, il che da’ l’idea (temo corrispondente alla realta’, in moltissimi casi) di un meccanismo di selezione (quello “standard”, quello terremotato dall’arrivo di un vincitore ERC) che garantisce l’immissione in ruolo e l’inquadramento non sulla base del merito ma sulla base del tempo trascorso in attesa (che poi il prof. Lapini approvi o meno il meccanismo della “fila”, e’ un’altra questione).
    Per prenderne uno, l’inglese: nelle discipline umanistiche e negli studi classici in particolare, è comunemente accettato che si scriva, pubblichi e parli ognuno in una delle lingue europee ammesse per consuetudine
    Pero’… professore… siamo nel 2020… ancora non riusciamo ad accettare il fatto che l’uso della lingua inglese e’ ormai essenziale per comunicare a livello internazionale?
    Riusciremo a farlo prima che venga sostituita dal mandarino?
    Che poi lei lamenti il rischio di appiattirsi sulla lingua inglese, nell’ambito delle discipline umanistiche, posso capirlo e mi rendo conto che possa essere un problema. Anche grosso.
    Ma non mi sembra un buon motivo per definirla “vasellina dei popoli”.
    Non mi sembra un buon motivo per considerare un imbroglione (perche’, sostanzialmente, e’ cosi’ che viene descritto il vincitore ERC) chi ne fa uso per prevalere nella selezione.
    Volevo precisare ancora solo un punto, a proposito della Sua evocazione di Croce (questo una espressione di Walter Lapini Le ha fatto venire in mente), soprattutto per mostrare che le Sue posizioni sono molto più prossime a quelle di Walter Lapini (che faccio anche mie) di quanto forse Lei stessa non creda
    Anche qui… per quanto mi riguarda, il problema non sono tanto (non principalmente, almeno) le posizioni del prof. Lapini.
    Il problema sono i toni provocatori, insultati e denigratori che usa per esprimerle.
    Seguendo un interessante intervento, segnalatoci dalla dott.ssa Martino, mi sono imbattuto nella seguente frase
    Con il che l’anticlassicismo trinariciuto che da mezzo secolo serpeggia come la peste nera nella scuola italiana avrà raggiunto il suo scopo
    Nonostante io sia stato, da bambino, un avido lettore di Guareschi, le assicuro che — in quanto vittima del classicismo che ha pesantemente colonizzato il liceo scientifico — ho fatto fatica a continuare la lettura.
    Che poi, leggendo l’intero intervento, ho trovato (nei limiti della mia incompetenza) anche convincenti le argomentazioni del prof. Lapini, inquadrandole come difesa della qualita’ dell’insegnamento delle lingue classiche nel liceo classico (e del liceo classico in quanto tale) e depurandole dagli eccessi polemici.
    Il problema e’ che gli eccessi polemici ci sono. Pesanti. Quello che le riporto sopra e’ solo un esempio spettacolare.
    Il problema non e’ che il prof. Lapini presenta una sua idea di liceo classico che e’ ostile alle posizioni dei “riformatori degli studi umanistici in Italia”. Il problema e’ che il prof. Lapini attacca le *persone* che hanno posizioni diverse dalle sue, definendoli “zeloti”, descrivendoli come saltimbanchi, mettendone in discussione la buona fede.
    Il problema e’ anche che (“Se mi si dice che la poesia non serve più, posso anche crederci e rassegnarmi. Ma deve dirmelo Dante, nessuno che sia da meno di lui.”) sembrerebbe che il prof. Lapini non riconosca, in altre persone viventi, autorevolezza anche solo lontanamente paragonabile alla propria.
    Riassumendo, professore: pur ammirando la sua abilita’ come avvocato difensore, ho la netta impressione che la sua sintesi/interpretazione dell’intervento del suo vecchio amico sia alquanto edulcorata e che, per quanto ammettendoli, cerchi di farci dimenticare gli elementi che hanno causato le reazioni “violente” e cerchi di scaricare su altri la responsabilita’ di una polemica scaturita da provocazioni (altrettanto “violente” delle reazioni, se non di piu’, a mio irrilevante parere), presumo consapevoli e compiaciute, del prof. Lapini.

  27. @ Sara Martino
    Sono stata definita troll, dileggiata (vd. ultima risposta ricevuta), trattata con sarcasmo
    Davvero ha il coraggio di lamentarsi di questo?
    Lei e’ venuta qui cercando di dirottare l’attenzione dall’articolo di cui discutiamo alla preparazione e alla bravura del prof. Lapini che, ribadisco, e’ assolutamente irrilevante ai fini della discussione sull’articolo in questione.
    Nel farlo ha insultato tutti gli altri suoi interlocutori (me compreso) affermando piu’ volte che siamo “la Bestia”. Sapra’ poi lei se si riferiva alla macchina di propaganda dell’attuale Lega (ex) Nord, all’Anticristo dell’Apocalisse o a chissa’ cos’altro. Francamente, non mi interessa neppure saperlo.
    Si e’ lamentata fin dall’inizio, cercando di negare legittimita’ alle critiche di chi non conosceva vita morte e miracoli del suo professore.
    Oltre a dimostrarsi una campionessa di vittimismo, ha costantemente assunto un atteggiamento rissoso, denigratorio, ipercritico e malfidente nei confronti della nostra ospite.
    Qualche esempio ?
    Si può benissimo criticare il prof. Lapini per il suo articolo, ma dopo essersi informati su chi realmente è (traduzione: zitti voi che non ci capite un piffero)
    Non facciamo giochini da asilo infantile.
    questo pezzo di OcaSapiens, che ammiro e seguo da tanto, mi ha dato fastidio per l’incipit, perché è del tutto falso, tendenzioso e unilaterale. Ha scritto cose gravi […] Che falsità!
    Vedo che ragionare con lei è impossibile. […] mi faccia il piacere di informarsi meglio prima di sputare sentenze su un argomento che LEI non conosce […] badi di non fare la gradassa […] è la rozzezza e la FALSITÀ del ritratto che lei ne fa, e la sua protervia nel difenderlo che mi fanno orrore. Altro che fact-checker! Disonestà intellettuale! […] Lei ne ha letto un articolo di giornale e pensa di avere in mano la verità. Siete tutti la Bestia.
    per me è fondamentale che LEI – che credevo donna intelligente – capisca che ha commesso un grave errore di valutazione di una persona, sulla scia di commenti e mail. Non è fact-checking, è proprio la Bestia. […] si faccia un’idea un po’ meno basata su preconcetti.
    E non ricordo, nei suoi interventi, anche solo un mezzo riconoscimento del fatto (ammesso immediatamente, per quanto a malincuore, dal prof. Bausi) che l’articolo del prof. Lapini e’ alquanto provocatorio.
    Sia chiaro: qui siamo abituati a molto, molto peggio. Considero il dialogo con lei amichevole (rispetto agli standard), rilassante e, a tratti, interessante.
    Ma che *lei* si lamenti di essere stata dileggiata e trattata con sarcasmo e’, francamente, surreale.
    Lei era, e credo sia tutt’ora, gradita ospite in questo blog. Ma se alza i toni, urlando e impugnando la sciabola, non si aspetti di affrontare interlocutori armati di sorrisi e garofani.
    Avevo rinunciato, con una certa amarezza, a scrivere ancora.
    Piu’ volte.
    Troppe volte:
    vedrà che non la disturbo più
    Giuro che non intervengo più
    Mi scusi non resisto. Come con le ciliegie…
    Mi sento invadente e pedante e mi scuso per questo
    Mi sono detta: resisti,resisti,resisti. E invece, niente, è più forte di me […] Grazie per lo spazio, spero di non essere bannata
    A questo punto, credo dovrò aprire un blog mio, perché ho occupato tutto il suo.
    per me la cosa finisce qui
    Mi arrendo […] Mi dispiace essere stata presa per un troll, mi scuso con tutti
    Un suggerimento stilistico: gli addii si praticano, non si annunciano.
    Annunciati piu’ di una volta, fanno perdere credibilita’: fanno venire in mente una scena di “Ecce Bombo”, di Nanni Moretti: “Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?”

  28. Gentile E.K.Hornbeck,
    non essendo abituato a interventi su blog, non avrò la misura di cosa normalmente succede. Vorrei comunque rassicurarLa che non mi aggiro in frac per salotti altolocati; e che mi trova dalla Sua parte per quanto riguarda il riscaldamento climatico e tutto il resto. Detto questo, considerazioni che non possono che definirsi attacchi “ad personam” mi pare che ci siano state; e “partigiano” ha anche un senso positivo (e ci mancherebbe!); dipende solo se, per affermare la propria parte, si esagera e ci si accanisce; riconosco che per evitare ambiguità avrei dovuto dire “fazioso”.
    Ho l’impressione comunque che dal polverone iniziale cominci a emergere una situazione gradualmente più chiara. Sgombrato il campo dall’ipotesi che il prof. Walter Lapini sia il capofila o il prototipo dei baroni antimeritocratici, mi pare che siamo d’accordo che l’intervento, in tutti i punti che tocca, nel contenuto, sollevi delle domande serie: su cui ciascuno avrà l’opinione che crede.
    Si può anche gradire o meno il tono e il genere (il “registro”) dell’intervento: ma l’autore ha ritenuto di usare quello; e questo è un punto di partenza essenziale, che si può, come ho detto, gradire o meno, o anche trovare intollerabile (e per Oscar Wilde il moralismo era appunto l’atteggiamento che si ha verso coloro che ci stanno antipatici, “Morality is simply the attitude we adopt towards people we personally dislike”); confondere però, nella valutazione di merito, tono e contenuto non ci porta lontano. Qual è il tono? più che “virile” (come ha scritto Sylvie Coyaud), è un tono drammatico-satirico-grottesco: quello (come lo definisce Wikipedia) di “Brutti sporchi e cattivi”, cui l’autore – ce lo dice lui spesso – si ispira (“la pensione de nonna”).
    Ma chi definisce, come fa Walter Lapini, l’Italia “concorsofoba”, Le pare possa essere un sostenitore del sistema della “fila”? (senza dire di suoi interventi espliciti sul punto che poi anche Lei ha letto; il problema è semmai come si fanno i concorsi; e c’è un caso recente che ha investito un mio carissimo amico che grida vendetta, in un grande ateneo italiano). Insomma, chi si è scatenato ciecamente contro, non ha fatto alcuno sforzo di comprensione e decodifica; ha visto quel che voleva vedere; e non ha visto invece che a furia di affermazioni malintese e dunque palesemente contraddittorie, il discorso non filava. E il fraintendimento palese, e temo in molti volontario, ha fatto comodo: ha additato al pubblico ludibrio – finalmente! – il mostro ringhiante, sprezzante e “atrabiliare”: il prototipo dei baroni antimeritocratici che non vogliono i finanziamenti agli outsider (“i cani sciolti”) perché nulla sfugga al loro controllo, venuto finalmente allo scoperto in tutta la sua rabbiosa alterigia e inattualità. (Vedi il fantasma di Croce e la discussione sui licei, su cui davvero rimando al libro di Condello.)
    In questa luce si deve leggere anche uno dei passi più controversi:
    “E così il giovanotto intraprendente e opportunamente addestrato che ha saputo esprimere in un brillante curriculese una serie di buoni propositi e di parole in voga tipo «gender» o «sostenibilità», vola senza colpo ferire su una cattedra di fatto comprata”.
    Conoscendo per esperienza mia diretta e di altri, quanto impegno e sforzo costi mettere insieme un progetto credibile, e anche quanto poi questo sia comunque utile a svilupparne altri, anche in caso di insuccesso, è chiaro che non si può ridurre tutto al “brillante curriculese”: vuol dire però questo che anche in questa affermazione, di tono paradossale non ci sia del vero?
    Il fatto è che l'”eccellenza” e l'”intraprendenza” che i progetti ERC premiano è oggettivamente assai difficile da valutare (dico almeno nel campo umanistico che conosco: ma alcuni nelle loro reazioni in rete l’hanno dichiarato apertamente); e lo dico ben sapendo che questo non necessariamente riguarda solo i progetti ERC. Per di più, coniugare i criteri della realizzabilità del progetto con la parola d’ordine dell’ “high-gain / high-risk” aumenta esponenzialmente l’arbitrarietà.
    Anche il rischio della proliferazione di temi “modaioli” e di parole d’ordine obbligatorie non sono una fantasia, come confermano le esperienze di revisori del tutto sorpresi dall’approvazione (legittima peraltro) di progetti contro i propri pareri: si dirà che fa parte delle regole comunemente accettate della “peer review”, che conta anche la capacità di catturare l’attenzione di una platea più ampia, indubbiamente: ma esprimere il dubbio che il carattere “catchy” e “appealing” delle proposte possa pesare troppo non è una bestemmia.
    Che proliferino uffici universitari, agenzie, eventi che curano la cosmetica dei progetti è anche vero. Su queste premesse prolifera un detestabile sottobosco di agenzie varie che si spacciano per “convenzionate” con l’ERC e che con l’ERC non hanno niente a che vedere, che, nell’intenzione di spillare soldi ai progetti approvati, promettono di far loro pubblicità nell'”establishment” che conta e di rendere ben visibile il progetto ai “decision makers”, come si esprimono; l’ERC ha formalmente diffidato dal dar loro credito, ma il fatto che questi soggetti ci provino e sollecitino certe corde è fortemente indicativo del peso che alle PR si ritiene debba essere attribuito.
    I “decision makers”: se non è vaselina questa! l’inglese lo diamo per scontato, non si preoccupi, ma come mezzo per capirsi, e anche per pubblicare; e poi magari aggiungiamoci due o tre altre lingue, che non guasta, in cui anche sarà degno pubblicare. Ricordo le “3 I” di Berlusconi; e non è vero che ogni banalità espressa in inglese pare diventare un’idea brillante, con esiti talvolta ridicoli? e poi le ripeto quel che ho detto: ci sono settori (parrà strano) in cui una terminologia inglese adeguata nemmeno esiste. (In codicologia uno stimatissimo studioso olandese, Peter Gumbert, ha pensato bene di rimediare, con il suo Words for codices, ma è purtroppo venuto meno prima di chiudere l’opera; se vuole Le mando il PDF.)
    Questo non vuol dire affatto che coloro che hanno avuto successo lo debbano necessariamente a mezzucci; ma che la parte “cosmetica” debba essere curata al meglio si percepisce oramai come un requisito quasi obbligatorio. Io non ho fatto uso di professionisti del “ritocco”, ma ho ripresentato nella sostanza, con pochi cambiamenti anche “cosmetici” ma fatti in proprio, il progetto che l’anno prima, con un acronimo più goffo, ma con tutti gli stessi elementi di contenuto, era stato bocciato: vincendo nel 2013, anno in cui solo il mio istituto (Asien-Afrika-Institut) si è visto assegnare 3 ERC Advanced Grants, elaborati in totale e completa indipendenza l’uno dall’altro, per settori diversissimi (nessuno di noi nemmeno sapeva che i colleghi presentavano nella stessa tornata).
    Le decisioni finali, raccolti i pareri degli esperti di settore, vengono prese da una commissione in cui inevitabilmente solo alcuni saperi sono rappresentati; devo dire che questa parte finale della valutazione, che è quella decisiva, resta la meno trasparente.
    Con tutto questo, non sarò certo io a dire che i progetti ERC, in sé, sono un problema (come non lo dice Walter Lapini, che li inquadra in un più ampio contesto): sono ovviamente importanti, anche e forse soprattutto per le scienze umane, perché finanziamenti consistenti permettono – ovviamente! – di fare cose straordinarie e di organizzare gruppi di lavoro che sono fertili di nuove idee e di ulteriori progetti: ma nel contesto italiano in cui paiono diventare l’unica opportunità di far carriera e ricerca, non è legittimo interrogarsi sul contesto sul quale vanno a impattare?
    Si torna al centro dell’intervento di Walter Lapini: che è il meccanismo della automatica proiezione in cattedra, magari la “cadrega” più alta, di un vincitore ERC, nel contesto universitario italiano, anche in assenza di precedenti qualificazioni interne (l’Abilitazione scientifica nazionale, ASN, che è il presupposto per la fascia di inquadramento secondo il percorso ordinario): su questo si possono avere opinioni e posizioni diverse (ho anche la mia), ma sul punto credo sia lecito anche esprimere un intervento critico, se pure in un tono che alcuni trovano esecrabile. E non esistono regole e prassi comuni in Europa (in Germania, dai casi che so, direi che non basta).
    E questo, fatto salvo il merito dei casi menzionati: a partire dalla prof.ssa Olga Tribulato, evocata in questo blog e che io non conosco, e che mi pare, per quel che posso giudicare da quel che leggo, una bravissima collega, che meritatamente ha vinto il suo ERC Grant e cui auguro sinceramente ogni successo.
    Cordiali saluti,
    Alessandro Bausi

    1. Prof. Bausi,
      mi sembra che il suo parere sia quello di Sara Martino. In breve: il prof. Lapini ha ragione di accusare ricercatori, revisori, università coinvolti negli ERC di disonestà, ignoranza ecc. perché è un genio. Quindi sono “faziosa” e rea di lesa-genialità per aver parodiato il suo tono in una frase, e di averne citato errori e insulti,
      Pazienza, almeno non mi tratta da idiota. Mi piacerebbe se mi indicasse cosa avrei scritto di violento. Magari sbaglio, ma ho l’impressione di aver risposto a Sara Martino con cortesia.
      una bravissima collega, che meritatamente ha vinto il suo ERC Grant
      Meritatamente come lei, Stefano Z. che preferisce leggere la Suddeustsche Zeitung e tutti gli ERC che mi hanno parlato di quell’editoriale.
      Nella sostanza, dissento perché do per scontato che ogni forma di selezione sia altrettanto imperfetta di chi ci partecipa – almeno stando alle montagne di ricerche sull’educazione dalle materne alle università, le continue proposte di riforma, le richieste di trasparenza e anche di ricerche “gender-based”.
      Sono questioni politiche – nel senso di polis, policy e potere per semplificare – quindi trovo giusto e normale che se ne discuta. Non solo sulla base di esperienze personali però. Lei crede che tutti i revisori cambino parere davanti a un acronimo accattivante?
      Io no, credo che lei abbia fatto una buona proposta che per due volte ha avuto rivali valide.
      il meccanismo della automatica proiezione in cattedra, magari la “cadrega” più alta, di un vincitore ERC,
      Con tante eccezioni, anche perché i due terzi stanno all’estero, magari con un contratto di tre o cinque anni. Comunque non capisco perché i quattro gatti che restano in Italia sarebbero un problema maggiore di concorsi ad personam, nepotismo, carriere fatte con pubblicazioni scadenti sulla rivista del barone di turno, plagiate o falsificate…
      Sull’inglese (e non solo) sono d’accordo con E.K.Hornbeck. Perché le conoscenze umanistiche dovrebbero essere confinate nella lingua materna di un ricercatore? Nel caso dei classici, sarebbe la loro condanna a morte no?
      non è vero che ogni banalità espressa in inglese pare diventare un’idea brillante, con esiti talvolta ridicoli?
      Sì, ma è divertente. E l’evoluzione è inevitabile, affascinante, piena di storia, incontri, scontri o lei non farebbe quelle ricerche.
      Mi resta una curiosità. Nel suo campo con quali criteri si stabilisce che qualcuno è “senza rivali”? Nelle scienze, ho l’impressione che si dica solo di pochi matematici.

  29. Gentile Sylvie Coyaud,
    Le rispondo ora, senza però prometterLe di rispondere ancora. Il lavoro aspetta anche me!
    Il prof. Walter Lapini è il professore che è, un’autorità incontrastata nel suo campo, che è quello di cui può farsi un’idea precisa dal suo CV e dalle sue pubblicazioni. Io naturalmente non sono un grecista, ma chieda ai grecisti (esiste la Consulta Universitaria del Greco) e vedrà; anche riguardo ai criteri per stabilire il merito nel settore. E i classicisti italiani sono senza alcun dubbio, nel loro insieme (le eccezioni non mancano mai), i migliori al mondo; i miei colleghi tedeschi fanno a gara ad accaparrarsi dottorandi e postdoc italiani, che hanno un livello di conoscenza linguistica e una cultura generale, specialmente storica, come all’estero talvolta nemmeno lo studio universitario conferisce (tutta colpa dei licei e nello specifico del liceo classico!). E i classicisti italiani all’estero sono legione, a tutti i livelli di inquadramento.
    Nel tono che ha ritenuto opportuno Walter Lapini ha sollevato delle questioni che hanno senso, anche se il tono, oltre alle posizioni, può non piacere: tono e opinioni vanno però compresi. Rilegga a mente fresca il Suo blog e vedrà che per quattro quinti le impressioni negative e le critiche sono dovute a incomprensione del tono e a fraintendimento dell’argomentazione.
    Quando ora scrive
    “il prof. Lapini ha ragione di accusare ricercatori, revisori, università coinvolti negli ERC di disonestà, ignoranza ecc. perché è un genio”
    nuovamente semplifica, come ho cercato di spiegare. Ma non posso adesso ritornare da capo su ogni punto.
    Di violento trovo (a proposito di una vincitrice ERC) che Lei abbia scritto che ha fatto bene a far così “[i]nvece di provare a ingraziarsi un Lapini per decenni”; peggio ancora, lo ha definito un “maschio alpha”, con insinuazioni ovvie di maschilismo o anche peggio (“Però questo è il paese di Croce e Gentile. E vorrei capire perché difendere giovani e brave ricercatrici dagli attacchi ingiustificati di un maschio alpha susciti “orrore”.”); e su Croce e Gentile (ahimè! ma posso capire che non tutti abbiano presenti certe questioni e ovviamente io stesso non ne ho presente tante altre di più: a ognuno il suo mestiere) Le ho già detto e può informarsi (è proprio come Le ho scritto: non ci sono stati anticrociani più decisi di filologici classici come Vitelli e Pasquali); ma non per questo penso che Lei sia un’idiota.
    Ogni forma di selezione sarà sempre imperfetta, vero: ma sarà o no legittimo discutere quelle che ci sono, specie se si ha ragione di credere che rientrino in un disegno, in una visione del mondo, in una politica della educazione, istruzione, ricerca, università, dei valori di riferimento, se vuole in un disegno politico (sì, ha ragione: proprio politico) più generale, che si condivide poco o per niente? o no?
    “Comunque non capisco perché i quattro gatti che restano in Italia sarebbero un problema maggiore di concorsi ad personam, nepotismo, carriere fatte con pubblicazioni scadenti sulla rivista del barone di turno, plagiate o falsificate…”
    Hanno un significato emblematico; e indicano il modello sociale e politico di riferimento. Ovviamente tutte le altre questioni ci sono – ma chi mai le ha negate? (Questa è una critica viziata di “benaltrismo”, si dice così?)
    “Sull’inglese (e non solo) sono d’accordo con E.K.Hornbeck. Perché le conoscenze umanistiche dovrebbero essere confinate nella lingua materna di un ricercatore? Nel caso dei classici, sarebbe la loro condanna a morte no?”
    Ma nessuno si sogna che l’inglese non debba essere usato! credo che sempre dovremmo sforzarci di usare ANCHE l’inglese – e aggiungo – ogni altra lingua utile a far conoscere le nostre ricerche. Guardi, io dirigo un progetto a lungo termine su manoscritti e testi etiopici presso l’Accademia di Amburgo, che lavora in inglese per i dati (su dati che sono etiopico classico e amarico), ma anche in tedesco per la parte più generale accessibile a un pubblico nazionale; e stiamo pensando ora (utilizzando ogni strumento che permetta di lavorare a distanza nella nostra piattaforma) di creare pagine di linee guida e informazioni almeno parziali anche in amarico e in arabo. Ma usare l’inglese non vuol dire che ogni lavoro o pubblicazione in altra lingua sia cartastraccia e che quel che non è in inglese non abbia alcun valore.
    E credo che, proprio come europei, dovremmo tenerci caro un modello plurilinguistico di produzione di sapere e di cultura, e che non dovremmo rinunciare al nostro patrimonio straordinario, che arricchisce la nostra comprensione di noi stessi e del mondo. Ricordo che alle scuole medie (una scuola della periferia fiorentina devastata dalla cementificazione) fui impressionato da quel che ci disse una nostra insegnante (anni settanta), che una persona di cultura media doveva almeno conoscere due lingue straniere; mi pareva allora, cimentandomi con un po’ d’inglese, solo quella un’impresa inconcepibile. Mi rendo conto ora che aveva peccato per difetto; e che non è impossibile usare tre o quattro lingue di lavoro oltre la propria. E venga pure il mandarino o il cantonese, ma oltre al resto!
    Grazie ancora e cordiali saluti,
    Alessandro Bausi

    1. Grazie di aver preso il tempo di rispondermi, prof. Bausi, immagino che sia impegnato, per questo tendo a essere stenografica.
      La mia frase violenta riassume un dato di fatto, noto a chi mi legge abitualmente: la stragrande maggioranza dei precari deve ingraziarsi un barone pena il non rinnovamento del contratto. O meglio, è un dato statistico. I sondaggi fra i ricercatori, l’ultimo uscito ieri, mostrano tutti una stretta correlazione tra aumento della precarietà e delle prepotenze.
      Anche il mio benaltrismo è una costatazione: le università erano disastrate prima degli ERC. Mi piacerebbe leggere una valutazione dei loro effetti. Di quanto hanno peggiorato la situazione? La burocrazia UE non sarà il solito capro espiatorio? Ecc. ecc.
      Le ho chiesto quali sono i criteri per dire “senza rivali” perché l’espressione implica l’assenza di una scuola di pensiero, di giovani “bausiani” che rivoluzionano una disciplina – o due.
      Ma usare l’inglese non vuol dire che ogni lavoro o pubblicazione in altra lingua sia cartastraccia
      Non ci piove, ma per attribuire una valore a una pubblicazione la comunità di riferimento deve poterla leggere. Il suo giudizio sulla maggior competenza degli ellenisti italiani – e quindi del prof. Lapini – è sicuramente obiettivo, chissà se sono d’accordo quelli inglesi di Cambridge o americani di Stanford…
      E credo che, proprio come europei, dovremmo tenerci caro un modello plurilinguistico di produzione di sapere e di cultura.
      Applausi in sala.

  30. Buongiorno a tutti,
    Forse il mio intervento non apporterà molto alla discussione, ma volevo comunque condividere alcune considerazioni. Io credo che la ricezione dell’articolo abbia subito delle distorsioni, sulla base, non lo escludo, di valutazioni generali sul tono e di passi che possono apparire controversi. Ma così facendo si sta insistendo su una parte specifica del discorso (e a mio avviso la si sta travisando), perdendo di vista l’orizzonte generale che le riflessioni di Lapini, che ritengo per gran parte condivisibili, vorrebbero toccare.
    Il problema, mi pare, nonché il motivo scatenante di quell’articolo è la condizione disastrata degli Atenei italiani, già più volte menzionata dai commentatori precedenti, e la difficoltà oggettiva che hanno oggi ricercatori e studiosi giovani di trovare una posizione al loro interno. Nei Dipartimenti di area umanistica, che sono sempre più grandi e comportano situazioni del tutto diverse dal passato, ci sono decine di giovani studiosi meritevoli che cercano di dare il loro apporto alla didattica e alla ricerca in discipline bersagliate da tagli sistematici e sempre più gravi, discipline per cui potremmo essere all’avanguardia in Europa (e non solo) grazie alla solidità della nostra formazione secondaria, che per fortuna, talora miracolosamente, ancora regge. Se l’immagine della “fila” è infelice, non è detto che le persone che cercano di fare una carriera ‘normale’, all’interno del quadro istituzionale nazionale, siano per forza dei “poverini” che portano le borse al barone di turno: ci sono persone oneste, capaci – io ne conosco non poche – che hanno a cuore la ricerca e che si impegnano per ottenere risultati importanti e talora ci riescono, che coniugano la loro propria formazione a una produzione scientifica che cerca e trova rilievo, e che ormai hanno nel loro curriculum esperienze internazionali e un riconoscimento del loro valore ben oltre l’orticello di casa, eppure sono costretti – quando riescono – a lavorare da precari, talora con contratti assurdi, per mancanza oggettiva di risorse. Sarà ragionevole che non tutti vogliano giocare alla lotteria, o tentare l’accesso al mondo accademico in altri paesi (cosa che peraltro non è così agevole come si potrebbe, generalizzando, dire)?
    O che anche se accettano di raccogliere l’orizzonte ERC come sfida, di buon grado o di malavoglia, siano ben coscienti che è una stortura affidare a un procedimento di selezione che ha in sé naturalmente una componente aleatoria la migliore occasione per realizzare le loro ambizioni?
    Schematizzando troppo nel senso di alcuni interventi, verrebbe da pensare che i dipartimenti italiani siano pieni di fannulloni e che l’ERC sia una sorta di rimedio ai clientelismi che, per carità, saranno anche tuttora presenti qua e là ma che è un cliché ingeneroso attribuire al sistema nel suo complesso. Ora, almeno mi sia concesso che l’ERC non è questo, né peraltro credo voglia esserlo.
    Mi sembra che sia più che logico anche per un giovane nutrire dei dubbi su questa situazione, e l’articolo di Lapini dà voce, credo, a molti di essi, sia pure a partire dal punto di vista di un Professore.
    Cordiali saluti,
    Marco Donato

    1. Marco Donato,
      grazie anche a lei di aver preso il tempo di intervenire.
      Sottoscrivo in parte la sua descrizione del problema. Però ne converrà anche lei, penso, tutti i meccanismi per destinare risorse limitate – quando mai sono illimitate? – sono in parte aleatori, nascono da compromessi, linee-guida o norme discutibili, rapporti di potere e così via.
      Gli ERC e i concorsi non fanno eccezione.
      Non credo che i giovani ricercatori siano così ingenui da ritenere gli ERC e gli altri finanziamenti a progetto *la* soluzione alla mancanza di risorse delle università. Comunque non si meritano di essere tutti quanti denigrati e insultati pubblicamente. Le storture – che ci sono – vanno denunciate in modo puntuale.
      Ma chi le denuncia in modo puntuale è quasi sempre un “esterno” e viene puntualmente querelato, con il silenzio-assenso dei cattedratici che avrebbero dovuto farlo al posto suo.

  31. @ Alessandro Bausi
    Si può anche gradire o meno il tono e il genere (il “registro”) dell’intervento: ma l’autore ha ritenuto di usare quello; e questo è un punto di partenza essenziale, che si può, come ho detto, gradire o meno, o anche trovare intollerabile
    Si puo’ anche gradire o meno il tono e il genere delle repliche: gli intervenuti hanno ritenuto di usare quello.
    Criticando proprio il tono e il genere dell’autore, in larga parte.
    confondere però, nella valutazione di merito, tono e contenuto non ci porta lontano
    Benissimo.
    Io sono interessato a criticare il tono (e gli eccessi polemici, le insinuazioni, le denigrazioni) del prof. Lapini.
    Sono interessato anche a difendere il diritto a cadere (consapevolmente o meno) nelle provocazioni e a reagire sullo stesso registro. Reazioni che hanno stupito lei ma che a me sembrano assolutamente prevedibili e consequenziali.
    E sono interessato a difendere il diritto (poiche’ questo diritto e’ stato messo in discussione, dalla dott.ssa Martino) di criticare l’editoriale del prof. Lapini per quello che e’. Senza la necessita’ del lettore (o anche critico) occasionale di informarsi sulla carriera e senza leggere l’opera omnia del prof. Lapini.
    Lei si lamenta del fatto che dallo stesso intervento del prof. Lapini era possibile rilevare una critica verso il sistema della “fila”?
    Benissimo. E allora perche’ un docente cosi’ affermato e geniale non ha voluto (perche’ do per scontato fosse in grado di farlo) esprimersi senza generare equivochi?
    Si lamenta delle reazioni equivocanti e rabbiose?
    Diretta conseguenza di un editoriale volutamente equivoco e denigratorio.
    Lei punta l’attenzione verso il termine “concorsofoba”, da cui avremmo dovuto rilevare l’ostilita’ del prof. Lapini verso il meccanismo della “fila”.
    Buon punto.
    Pero’ osservi anche in quali circostanze e’ usato: per criticare la burocrazia che mette a ruolo il vincitore di un ERP, ovvero (come osservava il prof. Briguglia) il vincitore di quello che e’, sostanzialmente, un concorso.
    Il fatto è che l'”eccellenza” e l'”intraprendenza” che i progetti ERC premiano è oggettivamente assai difficile da valutare […] esprimere il dubbio che il carattere “catchy” […] Su queste premesse prolifera un detestabile sottobosco di agenzie varie che si spacciano per “convenzionate” con l’ERC e che con l’ERC non hanno niente a che vedere, che, nell’intenzione di spillare soldi ai progetti approvati, promettono di far loro pubblicità nell'”establishment” che conta e di rendere ben visibile il progetto ai “decision makers”, come si esprimono […] I “decision makers”: se non è vaselina questa! […] Le decisioni finali, raccolti i pareri degli esperti di settore, vengono prese da una commissione in cui inevitabilmente solo alcuni saperi sono rappresentati;
    Tutto questo mi sembra ragionevole e degno di dibattito e valutazione.
    Osservo solo che, come del resto anche lei rilevava, che tutto questo non vale solo per il progetti ERC. Mi sembra che questo descriva il mondo contemporaneo, e non solo. Mi sembra descriva la politica e, piu’ in generale, la vita di relazione.
    Mi permetta pero’ di osservare che quell’uso dell’inglese, che lei definisce “vasellina”, e’ una moda che oggi coinvolge l’inglese, domani probabilmente il mandarino, ma che in passato (tutt’ora oggi, in alcuni ambienti) ha coinvolto pesantemente le lingue classiche. Il fatto che un classicista come il prof. Lapini se ne lamenti mi sembra alquanto bizzarro.
    Il discorso sarebbe ampio da affrontare in questa sede ma, nel senso che lei segnala, l’intera cultura (per fare degli esempi: la lingua, la letteratura, lo sport, persino le regole sul come stare a tavola) e’ stata sempre (ed e’ tutt’ora) usata come “vasellina” (ma anche come randello) nei confronti degli ignoranti e dei piu’ poveri.
    Questo non vuol dire affatto che coloro che hanno avuto successo lo debbano necessariamente a mezzucci […] Con tutto questo, non sarò certo io a dire che i progetti ERC, in sé, sono un problema
    Appunto.
    Ma e’ proprio quella l’impressione che si ricava leggendo l’articolo del prof. Lapini.
    Ed e’ proprio quello che ha causato le reazioni “violente” di cui lei si lamentava.
    Gli argomenti trattati dal prof. Lapini sono interessanti e degni di valutazione. Ma affrontandoli con quel tono (ecc.), finiscono inevitabilmente sullo sfondo.
    Si torna al centro dell’intervento di Walter Lapini: che è il meccanismo della automatica proiezione in cattedra, magari la “cadrega” più alta, di un vincitore ERC, nel contesto universitario italiano, anche in assenza di precedenti qualificazioni interne (l’Abilitazione scientifica nazionale, ASN, che è il presupposto per la fascia di inquadramento secondo il percorso ordinario): su questo si possono avere opinioni e posizioni diverse (ho anche la mia), ma sul punto credo sia lecito anche esprimere un intervento critico, se pure in un tono che alcuni trovano esecrabile.
    “Est modus in rebus” (per tornare alla vasellina).
    Certo che e’ lecito esprimere un intervento critico!
    E’ lecito farlo anche in tono esecrabile.
    Come e’ lecito ululare alla Luna.
    Ma usando toni esecrabili si ottengono (altrettanto legittime) reazioni con toni, molto vari, ma che possono essere anche quelli esecrabili.
    Usando toni esecrabili, gli interlocutori perdono di vista la sostanza e i dettagli e il dibattito si concentra sui toni.
    Volete ragionare su quei temi?
    Fatelo pure e io (che temo di non essere all’altezza di intervenire scrivendo cose significative) cerchero’ di seguirvi.
    Ma se questo e’ l’obiettivo, il “la” dato dal prof. Lapini e’ risultato usa solenne stonatura.

  32. @ Marco Donato
    Escludendo il travisamento dell’articolo del prof. Lapini, sono sostanzialmente d’accordo con quanto scrive.
    Dissento giusto sulla sua valutazione secondo la quale i clientelismi siano un fenomeno marginale che non rappresenta il sistema universitario nel suo complesso.
    Temo che lei sia ottimista a riguardo, che il fenomeno sia tutt’altro che marginale e che, anzi, costituisca le norma.
    D’altro canto, io sono notoriamente un pessimista fieramente militante, quindi spero che abbia ragione lei.
    Pero’, avendo letto questo suo frammento,
    Se l’immagine della “fila” è infelice, non è detto che le persone che cercano di fare una carriera ‘normale’, all’interno del quadro istituzionale nazionale, siano per forza dei “poverini” che portano le borse al barone di turno: ci sono persone oneste, capaci – io ne conosco non poche – che hanno a cuore la ricerca e che si impegnano per ottenere risultati importanti e talora ci riescono, che coniugano la loro propria formazione a una produzione scientifica che cerca e trova rilievo, e che ormai hanno nel loro curriculum esperienze internazionali e un riconoscimento del loro valore ben oltre l’orticello di casa, eppure sono costretti – quando riescono – a lavorare da precari, talora con contratti assurdi, per mancanza oggettiva di risorse
    vorrei puntualizzare un aspetto di quanto sostiene il prof. Briguglia (perche’ se usa il termine “poverini”, a quello presumo si riferisca) che puo’ esserle sfuggito (non era presente nell’articolo che ho suggerito ma in uno precedente, referenziato dal primo).
    Il prof. Briguglia non sostiene (e credo nessuno lo faccia) che il sistema universitario basato sulla “fila” promuova solo incompetenti e lavativi. Anzi.
    Briguglia scrive infatti
    Ciò vuol dire che in Italia sono tutti scarsi? No. In Italia ci sono anche ricercatori eccellenti. Ma non sono stati scelti perché sono eccellenti. E ne avrebbero avuto il diritto. Questo è il punto che mi preme sottolineare, perché è il nodo culturale di tutta la faccenda e dice qualcosa dell’Italia.
    Quindi siamo tutti convinti (credo) che nelle universita’ italiane ci siano delle persone estremamente capaci “che hanno a cuore la ricerca e che si impegnano per ottenere risultati importanti e talora ci riescono” (ecc.).
    Il problema e’ che queste persone capaci, quando vige il meccanismo della “fila” — che il prof. Briguglia descrive nel dettaglio –, non vengono selezionate (quando vengono selezionate) perche’ capaci ma perche’ fedeli.

  33. @E.K. Hornback
    “E sono interessato a difendere il diritto (poiche’ questo diritto e’ stato messo in discussione, dalla dott.ssa Martino) di criticare l’editoriale del prof. Lapini per quello che e’. Senza la necessita’ del lettore (o anche critico) occasionale di informarsi sulla carriera e senza leggere l’opera omnia del prof. Lapini.”
    Dal momento che vengo chiamata in causa, ancora, mi limito ad osservare, anzi a ribadire, che sono stata indotta a intervenire su questo blog perché sconcertata dall’incipit del post, che recita:
    “Walter Lapini, professore ordinario di letteratura greca all’università di Genova, è noto per ritenersi l’unico in grado di garantire l’insegnamento del greco e del latino al liceo classico, grazie a opere dal piglio virile quali “Il culo non esiste solo per andare di corpo” e “Cochlear Dei”, un’ode al “capitano Totti” che “latinizza parole italiane [per es. Tottis] e inglesi”.
    Una simile presentazione, a beneficio del lettore occasionale, e di fatto intesa a mettere in ridicolo, nella scelta del tono – “ritenersi l’unico in grado di garantire l’insegnamento… grazie a…” – e degli exempla (Tottis per Totti), lavori che nulla hanno a che fare con il contenuto dell’editoriale, né con le ragioni per cui il Prof. Lapini scrive talvolta sul Corriere, né con il suo profilo scientifico e accademico, mi è parsa volutamente denigratoria e soprattutto immotivata e ingiustificata.
    Non occorre che il lettore (critico) occasionale conosca gli opera omnia dell’autore dell’articolo, ovviamente. Ma dato che di fatto viene informato su chi sia attraverso una asserzione falsa (non si ritiene affatto “l’unico in grado” etc) e la menzione di alcune opere – che comunque sono pubblicate con uno pseudonimo – , la “selezione” operata milita a favore di un tentativo di screditare l’autore dell’articolo per giustificare, a maggior gloria, le critiche alle sue posizioni.
    Cordialità
    SM

  34. @ Sara Martino
    Non occorre che il lettore (critico) occasionale conosca gli opera omnia dell’autore dell’articolo, ovviamente
    Pero’ lei e’ intervenuta affermando “Si può benissimo criticare il prof. Lapini per il suo articolo, ma dopo essersi informati su chi realmente è”
    A me, questa, continua a sembrare una pretesa eccessiva: l’articolo del prof. Lapini puo’ essere criticato semplicemente per quanto e’ scritto nell’articolo in quanto tale.
    Non trovo nulla, in quell’articolo, che richiede, per essere compreso, la conoscenza dei dettagli della carriera o dell’opera dell’autore.
    Ma dato che di fatto viene informato su chi sia attraverso una asserzione falsa (non si ritiene affatto “l’unico in grado” etc)
    Dissento: quell’asserzione e’ corretta.
    O, almeno, e’ giustificata dalle parole dello stesso prof. Lapini.
    Proprio in un intervento che lei ci ha segnalato, Lapini ha scritto
    Se mi si dice che la poesia non serve più, posso anche crederci e rassegnarmi. Ma deve dirmelo Dante, nessuno che sia da meno di lui.
    In altre parole, Lapini non riconosce nessuno, a parte Dante (che e’ leggermente indisposto), alla sua altezza.
    Ovvero (leggendo anche l’articolo da cui quella frase e’ tratta), Lapini non riconosce a nessuno (vivente) l’autorevolezza per modificare l’impostazione del Liceo Classico, se in dissenso con lui.
    Lapini scherzava? O, almeno, estremizzava provocatoriamente?
    Lo credo e voglio sperarlo.
    Ma, come che sia, mi sembra evidente che quella frase (e, ancor piu’, l’articolo del quale e’ la chiusura) giustifica perfettamente (come contro-provocazione, se vuole) la frase, della nostra ospite, “è noto per ritenersi l’unico in grado di garantire l’insegnamento del greco e del latino al liceo classico”.

  35. @E.K. Hornbeck
    Al netto del fatto che nell’articolo che lei ricorda la polemica era nei confronti dei riformatori del Liceo classico che non hanno mai messo piede in un liceo, per questo post come giustifica allora la motivazione “unico a ritenersi etc… GRAZIE A” con quel che segue? Ne converrà che è del tutto ingiustificato e ininfluente ai fini della discussione successiva.
    SM

  36. @ Sara Martino
    Al netto del fatto che nell’articolo che lei ricorda la polemica era nei confronti dei riformatori del Liceo classico che non hanno mai messo piede in un liceo
    E chi lo dice che i riformatori in questione non hanno mai messo piede in un liceo?
    Ha degli elementi oggettivi per sostenerlo?
    O si tratta di denigrazione gratuita?
    Non mi sembra che (almeno in quell’articolo) il prof. Lapini sostenga nulla del genere.
    Gli unici che cita, se non erro, sono “non pochi membri dell’AMA (l’AMA di Siena, cioè Antropologia del Mondo Antico […])”.
    A quali “non pochi membri”, esattamente, si riferiva, non saprei dirlo. Ma, guardando la lista di docenti del centro, sono alquanto sorpreso che si possa anche solo ipotizzare che non abbiano mai messo piede in un liceo.
    In ogni caso, la frase
    Se mi si dice che la poesia non serve più, posso anche crederci e rassegnarmi. Ma deve dirmelo Dante, nessuno che sia da meno di lui
    mi sembra chiara.
    Messo piede in un liceo o meno, premio nobel in letteratura o meno, Lapini non e’ disposto a prendere in considerazione il parere di nessuno, se difforme dal suo.
    per questo post come giustifica allora la motivazione “unico a ritenersi etc… GRAZIE A” con quel che segue? Ne converrà che è del tutto ingiustificato e ininfluente ai fini della discussione successiva
    Di questo, pero’, lei si e’ lamentata in seguito.
    Il suo primo intervento inizia con “Si può benissimo criticare il prof. Lapini per il suo articolo, ma dopo essersi informati su chi realmente è”.
    Intendiamoci: se lei intende sostenere che la descrizione, con cui la nostra ospite introduce l’autore, e’ inutile, posso anche darle ragione.
    Questo lo affermo dal mio primo intervento, se ci ha fatto caso.
    Ma lei ha pesantemente insistito sulla genialita’ e sulla rilevanza del prof. Lapini.
    Se considera inutile la descrizione della nostra ospite, poiche’ ininfluente ai fini della discussione successiva, perche’ insistere sulle opere e sulla carriera del professore, altrettanto ininfluente?

  37. Il bersaglio polemico in effetti era l’ex ministro Berlinguer, promotore della riforma della maturità (oltreché responsabile di quella universitaria nota come 3+2) che non è mai stato docente al liceo. Però ho controllato per sicurezza e ho visto la sua voce Wikipedia, e mi sono fatta una sincera risata sul disclaimer dei redattori dell’enciclopedia gratuita.
    Gli affiliati del centro AMA, credo, sono in gran parte docenti liceali, ma la direzione è di docenti universitari; il direttore, Prof. Maurizio Bettini, ha una voce Wikipedia dove è elencata la carriera, dal posto di assistente universitario a quello di direttore, appunto, dell’AMA. L’eventuale insegnamento nella scuola secondaria non è ricordato: considerato il fatto che non è attività infamante, ne deduco che non abbia insegnato nei licei.
    Per venire alla sua ultima domanda: ho insistito perché la presentazione, nei termini in cui è stata fatta, era ingiusta, falsata dal riferimento a opere non rilevanti, a uno scampolo (unilaterale) di una polemica con il suddetto Bettini, e nel complesso volutamente denigratoria.

  38. @ Sara Martino
    Il bersaglio polemico in effetti era l’ex ministro Berlinguer, promotore della riforma della maturità (oltreché responsabile di quella universitaria nota come 3+2) che non è mai stato docente al liceo.[…] L’eventuale insegnamento nella scuola secondaria non è ricordato: considerato il fatto che non è attività infamante, ne deduco che non abbia insegnato nei licei.
    Siamo passati da “non ha mai messo piede in un liceo” a “non e’ mai stato docente al liceo”.
    Spero si renda conto che c’e’ una certa qual lieve differenza.
    Quanto a Berlinguer, e’ stato ministro dell’istruzione 20 anni fa… l’articolo di Lapini — quello con Dante, intendo — e’ del 2016…
    Ancora si preoccupa di Berlinguer? Bisogna saper aggiornare, oltre che le artiglierie, anche i bersagli.
    Poi… perche’ considerare sminuente, per un docente universitario, non aver insegnato al liceo?
    Il buon vecchio “ubi maior minor cessat”, che fine ha fatto?
    Ma anche fosse… il fatto che il centro AMA sia composto da docenti universitari e docenti liceali, dovrebbe garantire ai primi, qualora avessero bisogno dell’esperienza dei secondi, di poterli consultare.
    ho insistito perché la presentazione, nei termini in cui è stata fatta, era ingiusta, falsata dal riferimento a opere non rilevanti, a uno scampolo (unilaterale) di una polemica con il suddetto Bettini, e nel complesso volutamente denigratoria.
    Se fosse come dice lei, sarebbe una presentazione perfettamente in linea con lo stile di Lapini (e anche di Bettini, in effetti, avendone letto una replica).
    Avrebbe potuto considerarla un omaggio al prof.

  39. Non mi piacciono le ripetizioni: in ogni caso intendevo in entrambi i casi chi non ha mai avuto esperienza diretta di insegnamento nella secondaria (o magari l’ha avuta negli anni 70, quando la situazione era diversa). Vedo però l’attenzione per le minuzie del mio lessico, e mi fa sorridere.
    I fatti cui si fa riferimento sono del 2016; Berlinguer continuava a imperversare: https://www.corriere.it/scuola/secondaria/16_aprile_29/futuro-liceo-classico-disputa-traduzioni-latino-greco-maturita-seconda-prova-60b98ffa-0dfc-11e6-91a4-bd67d1315537.shtml
    Le problematiche dell’insegnamento nelle superiori sono assai diverse da quelle di chi insegna (anche la stessa disciplina) all’università, per una serie di motivi che qui non è possibile elencare. Chi non ha esperienza diretta della scuola spesso fa proposte che non tengono conto delle realtà dove dovrebbero essere applicate. Le consiglierei di non parlare di maior e minor: potrebbe offendere i docenti delle superiori, che sono solo mal pagati e per questo vengono ritenuti di serie B. tutti gli insegnanti di ogni ordine e grado hanno la stessa dignità e la preparazione adeguata alle esigenze e alle possibilità di apprendimento dei loro studenti. Molti dei miei compagni insegnano a scuola e continuano a studiare e alcuni anche a fare ricerca a livello universitario. E subiscono sulla loro pelle le riforme dei politici alla Berlinguer.
    Quanto all’omaggio, guardi, forse ha ragione: i chiarimenti del Prof. Bausi sono stati una lettura meravigliosa.

  40. @ Sara Martino
    Non mi piacciono le ripetizioni: in ogni caso intendevo in entrambi i casi chi non ha mai avuto esperienza diretta di insegnamento nella secondaria
    Buono a sapersi.
    Ma quello che ha inizialmente scritto era tutt’altra cosa.
    (o magari l’ha avuta negli anni 70, quando la situazione era diversa)
    Terza versione.
    Prima si filtrano quelli che non hanno messo piede in un liceo (quindi accettando anche gli studenti, come fu il ministro Berlinguer).
    Poi quelli che non hanno insegnato in un liceo.
    Poi quelli che hanno insegnato ma negli anni ’70.
    Non e’ che sta cercando di ridurre l’insieme di quelli che hanno diritto di occuparsi di riforme per includere quelli che hanno idee come le sue ed escludere gli altri?
    Attendo i prossimi filtri.
    Vedo però l’attenzione per le minuzie del mio lessico, e mi fa sorridere.
    Minuzie?
    La differenza di significato tra “non ha mai messo piede in un liceo” e “non e’ mai stato docente al liceo” le sembra una “minuzia”?
    Dovrebbe prendersela con i suoi abituali interlocutori, se non la rispettano abbastanza da prendere le sue parole per quello che significano e da farle notare le incongruenze. Altro che “sorridere”.
    Le consiglierei di non parlare di maior e minor: potrebbe offendere i docenti delle superiori, che sono solo mal pagati e per questo vengono ritenuti di serie B. tutti gli insegnanti di ogni ordine e grado hanno la stessa dignità e la preparazione adeguata alle esigenze e alle possibilità di apprendimento dei loro studenti
    Se parliamo di *dignita’*, non vedo perche’ non metterci anche i bidelli, il personale amministrativo, ecc.
    Non so per lei ma, per quanto mi riguarda, un netturbino fa un lavoro dignitoso quanto quello il presidente della Repubblica.
    Se parliamo pero’ di gerarchie o di prestigio, il discorso cambia: mi sembra evidente che il ruolo di professore universitario e’ piu’ prestigioso del ruolo di docente liceale.
    Se parliamo di *preparazione*, l’insegnamento universitario richiede una laurea di terzo livello; l’insegnamento in licei e altre scuole, solo di secondo livello. Quindi, oggettivamente, l’insegnante universitario ha, se non una qualifica superiore, per lo meno dei requisiti di preparazione superiori.
    Poi… lei ha certamente ragione nel criticare il mio “cessat” e nel sostenere l’importanza del parere dei docenti liceali, nell’ipotesi di riformare il sistema scolastico: sono loro che, concretamente, insegnano e sono loro che hanno il polso della situazione.
    Ma lei ha certamente torto se considera irrilevante il parere di chi insegna all’universita’ e non ha mai insegnato al liceo: gli insegnanti universitari sono coloro che prendono in carico gli studenti usciti dai licei e si rendono concretamente conto dei loro punti di forza e di debolezza. Da studente, ne ho sentiti parecchi lamentarsi della preparazione fornita dai licei. A volte anche a ragione.
    Mi sembra quindi evidente che una valida ipotesi di riforma debba passare non dal parere di una sola persona, ma dal contributo di esperienze diverse.
    Proprio per questo, un’istituzione come il centro AMA mi sembrerebbe (in prima approssimazione) avere le carte in regola per occuparsene.
    Poi… puo’ essere benissimo che abbiate ragione, lei e il prof. Lapini, e che le riforme che propongono siano disastrose.
    Ma, date le circostanze, suggerirei di criticare la riforma proposta in quanto tale; non i titoli di chi la propone.

  41. Non ha mai messo piede in un liceo: ovviamente intendevo come docente!! Non in assoluto: adesso capisco il senso della sua critica… del resto avendo avuto certi ministri dell’istruzione il dubbio poteva venire.
    A mio modesto avviso, i riformatori sono mossi soprattutto dal desiderio di lasciare il proprio nome alla Storia: gente come Berlinguer e la Gelmini per ora (nel breve periodo italiano) ci sono riusciti, ma i loro nomi sono ricordati insieme a una valutazione negativa e come simbolo di fallimento.
    La riforma della seconda prova della maturità è poi avvenuta secondo il modello Bettini: a quello che ne avevo letto, non ha riscosso molto successo, né fra i docenti né fra i maturandi. Ma vedremo le prossime puntate. Io ho già i pop corn.

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