Reso a Cesare

Science pubblica – sintesi gratis per non abbonati – una stima della sensitività della temperatura globale a un raddoppio della CO2 di Andreas Schmittner, un esperto di paleo-birra, et al. tra i quali la brava bella simpatica Natalie Mahowald di Cornell. Che ha appena pubblicato un fantastico paper sugli aerosol già strombazzato dall’oca il 13 novembre.

Invece delle temperature dall’Ottocento in poi, hanno usato proxies, dati derivati dalle carote di ghiaccio, sedimenti lacustri, marini, da pollini ecc. dell’ultimo minimo – o massimo, è uguale – glaciale, tra 23 e 19 mila anni fa perché

grandi differenze rispetto al clima pre-industriale e concentrazioni molto più basse di CO2 atmosferica (185 ppm rispetto a 280 ppm) danno un rapporto favorevole tra il segnale e il rumore di fondo; sia le forzanti radiative che le temperature superficiali sono abbastanza ben vincolate da estese ricostruzioni e da modelli del paleoclima; in quel periodo il clima era vicino all’equilibrio, il che evita le incertezze legate all’assorbimento transitorio del calore negli oceani.

Dal modello pre-esistente, con dentro nuovi sotto-modelli, risultano

temperature dell’aria sulla superficie terrestre inferiori di 3.0 K (probabilità 60%);  sulla superficie marina di 1,7 K (prob. 60%),

compreso il caldo in più dovuto all’abbassamento del livello del mare. Di converso, un raddoppio della CO2 porterebbe a 1,7-2,6 K in più (prob. 66%) e a un limite superiore di 3,2 K.

Tradotto in centigradi, la stima migliore è di 2,2-2,3° invece dei 3° calcolati dalla maggioranza delle simulazioni. Nella loro ricostruzione, l’ultimo mini-max glaciale sarebbe stato un po’ più caldo di quanto stimato in precedenza, cioè si sarebbe raffreddato di meno con la diminuzione della CO2. Ma potrebbe essere dovuto a dati incompleti e molto regionali.

La parte più interessante, trovo, è la valutazione del modello. Il vantaggio è che dà una forbice molto piccola. Però non ha la complessità di quelli globali, scrivono gli autori. Manca l’evoluzione delle calotte glaciali, della vegetazione ecc.; sottovaluta il contrasto tra le stime di sensibilità parecchio più alta per le terre emerse che per gli oceani. Una contraddizione che è nei dati. E siccome scarseggiano per l’Australia, l’Asia centrale, il Sud America e il Pacifico Nord, il lavoro riguarda un 26% del pianeta.

Alla fine il risultato viene un po’ “liscio”, per esempio

nei modelli complessi, i feedback non lineari delle nubi rendono il rapporto tra ultimo minimo glaciale e sensibilità del clima a un raddoppio della CO2 più ambiguo di quanto appare nel nostro insieme di modelli semplificati. Ci vuole più lavoro…

Troppa modestia. Va bene elencare i known unknowns e le incertezze da ancora da quantificare, ma hanno dissodato un bel po’ di terreno. E non è vero che avrei pregiudizi favorevoli perché
– è un altro omaggio a Cesare Emiliani;
– usano statistiche bayesiane;
– spingono gli “scettici” a proclamare che proxies e modelli sono affidabili
– e a cancellare dalla figura 3.A due curve su tre per “gonfiare il declino”;
– quei maschilisti di Real Climate, Skeptical Science, Climalteranti ecc. non citano mai Natalie M.

Energia nucleare
Secondo il sondaggio post-Fukushima della BBC, gli unici che la ritengono più sicura che nel 2005 sono i britannici.