Dieci giorni fa, Nature pubblicava il genoma dell’ape da miele e si scopriva di aver più “geni ortologhi” con lei che con il moscerino della frutta o la zanzara anofele, un vero piacere. D’altronde lei e noi siamo animali sociali e lui no.
Ma come fa a sopravvivere un insetto stracarico di patogeni perché non può evitare quelli dei vicini, stipati come sono nell’arnia, se ha così pochi geni per il sistema immunitario? E come mai ha meno geni del moscerino della frutta anche se ha molto più cervello, circa un milione di neuroni?
Neanche il tempo di capire i paradossi dell’ape che venerdì scorso usciva su Science il genoma del riccio, anche lui pieno di geni uguali ai nostri – e tanti a confermare la parentela evolutiva con i vertebrati – e questa volta di quelli che rafforzano il sistema immunitario. Una buona notizia.
E quasi tutte le riviste scientifiche commentano, alcune molto scettiche e altre no, l’esperimento pubblicato on-line la settimana scorsa dai Proceedings of the National Academy of Sciences. L’ha fatto Cheng Li, un post-dottorando all’università della California a San Francisco, con l’i-Rna, un pezzo piccolo di Rna specifico che è noto per “spegnere” un gene, vedi il Nobel per la medicina di quest’anno. A volte pare che lo accenda. Cheng Li ha inserito un pezzo di i-Rna in cellule cancerogene (prostata) e ha attivato un gene di “soppressione del tumore” tant’è che la cellula si è messa a produrre la proteina corrispondente. Il primo a rimanere sbalordito è stato lui.