Le muffe di Chernobyl e i ferrovieri svizzeri

Su PLoS One, c’è un lavoro interessante di Ekaterina Dadachova, Arturo Casadevall e altri dell’Albert Einstein College of Medicine, nel Bronx a New York (al College, ci tengono molto a far sapere che sono nel Bronx e non in un quartiere elegante).

La Dadachova aveva saputo che i robot mandati a prelevare campioni dalle pareti esterne del reattore che s’era fuso nel 1986 ci avevano trovato delle muffe scure. Tutt’attorno, muffe simili crescono addirittura verso i punti più radioattivi fino a ricoprirli e a digerirne i radionuclidi.

Negli “ambienti estremi”, dal polo Nord al polo Sud, ci sono muffe che sintetizzano in abbondanza la melanina, un pigmento nero o bruno rossiccio (esiste in due versioni) che le protegge dai danni dei raggi ultravioletti, e a noi pallidi di nascita ci fa la pelle abbronzata.

Adesso nelle muffe come quelle di Chernobyl, la Dadachova ha misurato una maggiore capacità della melanina di trasferire elettroni (energia) anche se venivano private di nutrienti. Una volta bombardate con dosi di radiazioni 500 volte superiori al livello medio ambientale, avevano un metabolismo potenziato e le cellule crescevano più velocemente e più grandi.

I ricercatori suggeriscono “cautamente” questa ipotesi: insieme alle proprietà antiossidanti della melanina, sarebbe proprio la sua capacità di sfruttare le radiazioni elettromagnetiche a fare sì che quegli organismi prosperino quando possono procurarsi energia dai radionuclidi per alimentare il proprio metabolismo. Insomma nel loro caso la sintesi della melanina non sarebbe evoluta per proteggerli, ma per aiutarli a moltiplicarsi.

Forse la cautela non serve. In passato la superficie terrestre era più radioattiva, non c’era l’atmosfera a filtrare il sole, essere scuri conveniva. Invece la cautela sarà servita durante gli esperimenti. Fra i tre diversi funghi diversi, c’era il C. neoformans che si trova nei suoli e, concentrato, nelle cacche di piccione e di pollo.

Si sta diffondendo soprattutto fra i pazienti con il sistema immunitario a pezzi, per l’AIDS per esempio, causando polmoniti, meningiti e altre malattie. E s’è scoperto che più produce melanina, più fa danni.

Invece negli esseri umani l’esposizione costante a radiazioni elettromagnetiche a bassissima frequenza potrebbe essere davvero pericolosa, secondo i ricercatori svizzeri che hanno seguito per trent’anni 20 mila ferrovieri: controllori, tecnici degli scambi, capistazione, conduttori di locomotive. Questi ultimi sono i più esposti alle radiazioni e hanno un’incidenza di leucemia mieloide e linfoma di Hodgkin rispettivamente quattro e tre volte superiore a quella dei capistazione.

E’ su Occupational and Environmental Medicine (è una costola del British Medical Journal) e bisogna essere abbonati, ma qui c’è il sunto.