Ghiacciai & Co.

Fa caldo e per darmi una rinfrescata, su suggerimento di Maurizio che scriveva d’aver studiato un ghiacciaio del Sudamerica la cui massa aumentava, mi son letta un po’ di ricerche per capire se era la regola o meno.

Vedo che dal 2000 (non sono andata più indietro di così) si misurano ogni  tanto oscillazioni nel lento calo della massa dei ghiacciai più grandi, a sud dell’Altiplano cileno. Per quelli medi e piccoli che stanno più a nord, si misura uno squagliamento più veloce delle previsioni.

C’è un interessante rapporto della Banca Mondiale e dell’American Geophysical Union ripreso anche da The Economist – un tempo molto più scettico sul riscaldamento globale, che il successore di Bill Emmott soffra d’ipertermia? O sono i costi che cominciano a pesare?

A parte il problema delle valanghe di fango, in assenza di ghiacciaio “àncora”, o dell’alternanza di siccità e inondazione, in assenza di ghiacciaio “serbatoio”, la Banca è nei guai. Finanzia la costruzione di reti idriche e dighe idroelettriche in Perù e in Bolivia. Ma dai ghiacciai l’acqua arriva meno, e più irregolarmente, nei fiumi che finiscono nel Pacifico, dai quali partono reti, sui quali stanno le dighe e attorno ai cui estuari si concentra la popolazione.

Se la temperatura resta uguale alla media degli ultimi 20 anni, nel 2020 saranno in secca. Nel frattempo, i progetti già approvati son da rifare, così come i conti della Banca. Reti e dighe produrranno meno metri3 e meno kw/ora da vendere, quindi meno soldi con cui ripagare il debito. Ma sui conti l’Economist tace, forse perché i creditori siamo noi, i contribuenti dei paesi ricchi che già ci lamentiamo di pagare troppe tasse, e secondo il giornale abbiamo ragione.

Il mare a Tuvalu
La Stampa di oggi riprende un articolo di The Independent, sull’inquietudine dei 10 mila abitanti rimasti sull’atollo, dopo l’esodo in Nuova Zelanda di 4000 altri le cui terre e abitazioni sono allagate dall’innalzamento del livello del mare. Non per essere quella del “ve l’avevo detto io”, ma a Radio Popolare, nel 1998 c’era la riunione mondiale delle radio comunitarie e i delegati di alcune radio di isole basse del Pacifico già dicevano in onda che i loro ascoltatori temevano di dover abbandonare il proprio paese.

Dal 2001 Tuvalu chiede aiuto ai paesi vicini, senza essere ascoltata. Almeno la Nuova Zelanda  accetta i suoi “profughi per cause ambientali”. L’Australia, molto più vasta e spopolata, non ne vuol sapere e all’ONU risponde picche. Nonostante quello che scriveva Bjorn Lomborg nell’Ambientalista scettico, qualsiasi tempo faccia conviene essere ricchi. Vedi il 7% di cittadini di New Orleans che si poteva  permettere un’assicurazione anti-uragano e s’è già rifatta la villa altrove.

Il tempo a Pechino
Di solito, Pechino  è secca e spazzata da venti carichi di polveri scure, ma in agosto è spazzata da improvvisi diluvi. Siccome il principale stadio delle Olimpiadi è scoperto e le autorità esigono il bel tempo nell’agosto del 2008, e in particolare per l’inaugurazione, i ricercatori hanno un anno di tempo per scoprire come dirottare le nubi, o svuotarle  prima che arrivino in città.

Sul sito cinese del quotidiano Jing Hua (Il Tempo, di Pechino) i lettori possono segnalare i propri acquisti di merci pericolose o avariate. Un’amica dice che lo fanno in tanti, e non solo nel caso di salmonella trovata in carni di pollo e maiale importate dagli Stati Uniti. Ma non è che lei sappia bene il cinese, se qualcuno riesce a dar un’occhiata e a controllare, poi mi fa sapere?

Centrali nucleari in grotta
Sul Corriere della Sera di oggi, in relazione alla centrale nucleare rimasta un po’ scossa dal terremoto in Giappone, il bravo Foresta Martin intervista Carlo Bernardini, uno dei fisici del gruppo “Galileo” favorevoli alle costruzione di centrali in Italia, perché meno inquinanti e nonostante il rischio sismico. Basterà costruirle nelle grotte, dice Carlo.

Forse, ma ci avevano pensato anche i francesi quarant’anni fa. E ci avevano rinunciato per motivi che ricordo e altri che non ricordo: nelle grotte è difficile e costoso costruire qualsiasi cosa – a cominciare dal circuito di raffreddamento – e dal punto di vista geologico, sono più sicure le pianure alluvionali, di per sé “elastiche”. Un terzo motivo era il timore che lavoratori e dirigenti avrebbero preteso turni brevissimi. A quanto pare nessuno ha più voglia di stare “in miniera”.

La questione della mano d’opera che esige condizioni di lavoro decenti oggi si risolve con l’outsourcing, ma nelle imprese esterne il personale è meno qualificato, meno pagato e meno motivato a rispettare le procedure di sicurezza come dimostrano dagli incidenti avvenuti di recente nelle centrali giapponesi.

Un po’ ci sono, un po’ no, ma per viaggi di lavoro. Durante le vacanze sarò più assidua,