Tipico. Alla fine dell’anno scorso il gruppo di Pääbo al Max Planck pubblicava, su Nature, il sequenziamento di un milione di basi di DNA ricavato da ossa fossili di Neandertal, e il gruppo di Rubin del Joint Genome Institute in California, su Science, quello di 65 000 basi provenienti dalla stessa fonte.
Secondo il metodo americano, la divergenza dagli altri Homo risaliva a 700 mila anni fa e non c’eravamo incrociati, secondo quello tedesco a 550 mila e in seguito qualche incrocio tra le rispettive discendenze poteva esserci stato.
Qualcosa non andava, il che non impediva agli esperti di pronunciarsi sulle differenze genetiche che ci distinguevano per intelligenza e facoltà varie.
In un articolo anticipato su PLoS Genetics, Jeff Wall e Sung Kim dell’università della California a San Francisco rivedono i dati ottenuti in Germania e in USA. Notano che i frammenti di DNA lunghi – molto più numerosi nelle sequenze tedesche – sono anche i più simili ai nostri.
Dalla loro rianalisi, salta fuori una discrepanza ancora più strana: calcolata sui risultati americani, la divergenza tra noi europei moderni e i Neandertal avviene 350 mila anni fa. Su quelli tedeschi 35 mila anni fa, il che è incompatibile con le datazioni dei fossili. Wall e Kim sospettano quindi che il Dna sequenziato al Max Planck sarebbe stato contaminato con DNA di europei moderni.
Coincidenza: sui Proceedings of the National Academy of Science di martedì l’altro, Pääbo spiegava quali precauzioni aveva preso, dopo la pubblicazione della prima tranche di genoma, per evitare le contaminazioni. Ma nell’agosto 2006 l’avevo intervistato al convegno dell’associazione italiana di biologia evoluzionistica che si teneva a Firenze e diceva già di aver fatto tutto il possibile.
L’articolo di Wall e Kim magari interessa anche chi studia comunicazione della scienza, per vedere le differenze tra l’attuale versione “grezza” – già peer-reviewed, of course – e quella definitiva, limata e ben impaginata dai redattori. E magari come mai gli autori delle due ricerche non si siano parlati prima di pubblicarla. Eppure l’anno scorso s’erano visti più volte. Dai miei calcoli, almeno a cinque diverse conferenze organizzate per il 150mo anniversario del ritrovamento del primo Neandertal…
C’è anche un articolo di Elizabeth Pennisi su Science di oggi.