La Gina, i soldati e gli embrioni

Sulla stampa, in aprile, avevo letto che gli Stati Uniti adottavano la Gina (Genetic Information Nondiscrimination Act), la legge che vieta a datori di lavoro, assicurazioni ecc. di discriminare le persone in base ai risultati di test genetici. Era stata approvata alla Camera; in versioni lievemente diverse era già stata approvata due volte al Senato, questo doveva votare l’ultima versione, eppure non lo fa.

L’ostacolo, credevo fosse questo. Il ministero della Difesa aveva ottenuto di esserne esentato, per cui diventava legale discriminare i volontari dell’esercito. Licenziabili in tronco, e senza assicurazione medica. Motivo adotto dai generali: s’arruolerebbe gente malata, o che sospetta di potersi ammalare, per poi scroccare cure gratis al Pentagono (dopo aver provato a lasciar la pelle in Iraq o in Afghanistan senza riuscirci, ovviamente).

La Gina, scriveva Nature, è bloccata dal senatore Tom Coburn, repubblicano dell’Oklahoma “apparentemente in combutta con le assicurazioni”. E’ vero che queste hanno finanziato la sua campagna elettorale, ma potrebbe avere un senso anche minimo di equità o un altro buon motivo.

Il buon motivo l’ho scoperto ora guardando a che punto è la Gina: la legge, ha detto Coburn in Senato, “non vieterebbe la discriminazione contro gli embrioni nel caso, da test genetici preliminari all’impianto, risultino a rischio di malattia.”

Ai tempi di Rumsfeld, era diverso. Per attirare nuove reclute, il Pentagono regalava persino interventi di chirurgia plastica per incrementare il seno di una parente o congiunta.