Novità sugli antenati

Quindici anni fa, Antonio Torroni – lab. genetica all’univ. di Pavia – scopriva quattro aplogruppi di nativi americani e li faceva risalire a popolazioni siberiane. Entro domani, su Plos One uscirà un suo articolo insieme ad Alessandro Achilli (univ. Pavia e Perugia, anche lui coinvolto nella faccenda dell’uro, in un post precedente) et al.

Dall’analisi di 200 genomi mitocondriali risulta che la maggioranza dei nativi americani discende da quattro linee materne e che gli antenati sono arrivati circa 20 mila anni fa, in un’unica migrazione che dall’Asia avrebbe seguito le coste del Pacifico. Restano da studiare altri cinque aplogruppi, molto meno diffusi e i dati preliminari indicano migrazioni successive, dall’Asia o dalla Beringia, dice Achilli.

Su Plos One intanto, è già uscito “A Three-Stage Colonization Model for the Peopling of America” di A. Kitchen et al., e dal modello in questione risulta un arrivo dall’Asia attraverso la Beringia 40 mila anni fa.

Fine dell’idea di un primo popolamento – quello della cultura Clovis avvenuto attraverso lo stretto di Bering soltanto 11 mila anni fa, presumo. Forse non dovrei, come dice sempre Svante Paabo (dieresi sulle a), “la paleoantropologia è una scienza rissosa”. E infatti…

Sempre su Plos One, Lee Berger et al. descrivono i fossili scoperti a Palau  – Micronesia, mica Sardegna – come appartenenti a Homo sapiens ancora più piccoli dei pigmoidi. Così è ripartita la discussione sulla piccola “Hobbit” dell’isola di Flores che per alcuni paleoantropologi non sarebbe una H. floresiensis normale ma una H. sapiens difettosa, cf. il post di Greg Laden su questo tema, la settimana scorsa.