E invece niente

Sui quotidiani non trovo traccia del vetro di Lévy fatto dai giovanotti del Lens, forse c’è qualcosa su quelli di Firenze?

Strano, l’esperimento è addirittura semplice: si mescola silicato di sodio (vetro liquido) con polverina di biossido di titanio e lo si illumina con un fascio di luce. Poi per seguire i “Flights of Fancy”, il volo capriccioso dei fotoni, bisogna ripeterlo in tutte le salse, ci vuol pazienza, strumenti, laser speciali e formule matematiche. Ma il risultato è stupefacente e si capisce già dalle immagini: la luce è superdiffusa.

“Non dipende dal diametro delle particelle di biossido di titanio,” dice Diederik, “contrariamente a quanto pensavano tutti quelli che cercavano di produrre un vetro così, ma dal diametro delle palline di silicato di sodio e dalla loro densità”.

Adesso che la fisica che ci sta dietro è chiara – un moto disordinato all’apparenza, ma con le stesse regole che governano il volo degli stormi di uccelli o l’andamento di certi mercati finanziari – si può produrre su scala industriale. Per farne occhiali come quelli con il polaroid di Edwin Land? “Perché no?” Ma nell’articolo parla di “materiali ottici opachi, come vernici, e di laser a feedback superdiffusivo” (ovviamente, mi son scordata di chiedergli se sarebbero i famosi random laser di cui parlava su Nature tempo fa).

Alicia Soderberg ha avuto una di quelle fortune…

Stava usando Swift per monitorare la coda di una supernova quando ha notato un getto di raggi X nella stessa galassia e visto una stella esplodere in una supernova di tipo Ib (è la 2008D e Wikipedia ne ha già l’immagine), e ha allertato la comunità degli osservatori spaziali.

Articolo su Nature, racconto su Physics World dove Jon Cartwright calcola pure l’onda d’urto dell’esplosione in equivalenti megaton da bombe a idrogeno. Avranno sicuramente scosso l’intera galassia, ma son fin troppe per far impressione.