Le retour du nucléaire

Maggio 2008l’Autorità francese per la sicurezza nucleare consulta gli “internauti” sul progetto di smantellare il supergeneratore di Creys-Malville, il reattore di Brenillis e altri, sempre meno affidabili.
Giugno: gli sloveni si comportano correttamente avvertendo subito la Commissione europea di problemi alla centrale di Krsko.
Luglio: i francesi non li imitano. Hanno qualcosa da nascondere? Breve cronologia.
3 luglio: il presidente Sarkozy annuncia la costruzione di una seconda centrale EPR come quella di Flamanville in cantiere dall’anno scorso.
4 luglio: la Criirad – Commission de recherche et d’information indépendantes sur la radioactivité – documenta un livello inaccettabile di radioattività sul perimetro del sito del Tricastin, dovuto all’interramento, in corso da trent’anni e già denunciato in precedenza, di 770 tonnellate di scorie chimiche, tossiche, radioattive di varia provenienza, anche militare.
7 luglio: da un impianto di decontaminazione gestito dalla Socatri, sempre nel Tricastin, fuoriescono 224 chili di uranio di cui 74 finiscono in fiumiciattoli (come si dice “rivières”?). Silenzio per otto ore. Le autorità locali sono avvisate soltanto il 9.
8-15 luglio: Qui il via vai dei comunicati. Areva – la multinazionale produttrice di reattori e di cui Socatri è una filiale – ammette “errori” nella gestione.
16 luglio: Socatri non procede alle bonifiche richieste dall’11 luglio in poi dall’Autorità che pubblica tutte le lettere inviate all’azienda e le sue reazioni.
17 luglio: Sarkozy annuncia ispezioni immediate nelle 58 altre centrali francesi. Subito dopo altro incidente alla CERCA, la fabbrica franco-belga di combustibile nucleare a Romans-sur-Isère, lì vicino, con fuoriuscita di altri “effluenti liquidi uraniferi” dopo lo scoppio di una tubatura la quale, scopre l’Autorità, non era a norma…
18 luglio: Areva mette on line le analisi delle acque attorno al Tricastin fatte per contro di Socatri. Vertice tra l’Autorità, le aziende, i poteri locali e la commissione incaricata di tener informati i cittadini (la CIGEET, che non ha un web. Che fa, li chiama al telefono? La CLI di Marcoule, poco più giù, ce l’ha), il secondo dopo quello di ieri in cui l’Alto commissariato per la trasparenza e l’informazione sulla sicurezza nucleare, istituito un mese fa, ha redarguito Socatri.

Il seguito sui siti linkati sopra.

Incidenti simili in USA non succedono perché la cultura della sicurezza è massima, secondo Gwyneth Cravens in Il nucleare salverà il mondo (Mondadori, 533 pagine, 18,50 euro). Le altre fonti di elettricità combinano disastri ben peggiori, scrive, in particolare il carbone che inquina e uccide.

Racconta un pellegrinaggio nei vari impianti pubblici e privati americani, in cui le fa da “Virgilio” Richard “Rip” Anderson, un esperto di reattori, trattamento e depositi di scorie e rispettivi impatti ambientali nonché un ambientalista che coltiva il suo orto bio e ripianta specie locali in terreni abbandonati, le fa da “Virgilio”. Le dimostra che lei, come l’opinione pubblica, ha una percezione sbagliata dei rischi. Così lei che aveva militato contro le centrali, si ricrede.

Altri ambientalisti, e alcuni climatologi, pensano che il nucleare può fare da “ponte” e ridurre le emissioni di CO2, mentre i mezzi di trasporto passano tutti all’elettricità (da nucleare), finché non si saprà sfruttare con efficienza le energie rinnovabili.

Lovejoy, Charpak e altri hanno scritto cose simili, niente di nuovo a parte un cenno, troppo breve, al fatto che le norme di sicurezza molto più severe imposte alle centrali nucleari rafforzano l’ostilità dell’opinione pubblica. E’ vero, come mai il carbone la passa così liscia?

L’autrice, trovo, liquida rapidamente le associazioni negative – il presunto acquisto di yellow-cake di Saddam Hussein che serve da pretesto per l’invasione dell’Iraq, per es. o la propaganda delle 5 nazioni con armi atomiche contro quelle che se ne dotano (forse, nel caso dell’Iran) salvo se sono alleate come Pakistan e India ecc. Sente solo una parte e alla fine the lady protests too much, methinks.

Recensione-intervista favorevole su Wired, abbastanza simile a quella sul Giornale, e sul Wall Street Journal.