Fruitless Campaign

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Un editoriale di Nature deplora i temporeggiamenti dell’Unione Africana che non ha ancora reso pubblico “Freedom to Innovate” il rapporto commissionato a un panel di esperti che raccomandano l’adozione di piante transgeniche, pronto da più di un anno. L’editoriale, curiosamente, parte dalla recente crisi alimentare, quindi fa l’esempio del cotone transgenico della Monsanto che non si mangia e infine se la prende con una nuova campagna contro i cibi transgenici.

Che io sappia, nessun animale umano o meno è mai morto di mais o soia gm. In Africa però, ci sono problemi da risolvere a monte: educazione, riforma agraria, risorse idriche, fertilità dei suoli, proprietà intellettuale (TRIPS, Doha Round, regole del WTO) ecc…

Per non parlare dell’ostacolo alla “libertà di innovare” rappresentato dall’Associazione africana dei produttori di sementi che per statuto dovrebbe difendere gli interessi dei produttori locali. Però fondata, finanziata e gestita da alcune delle multinazionali americane -Delta Pine, Cal/West, Monsanto, Pioneer… – che, loro sì, fanno una campagna “fruitless”: finora hanno impedito ai piccoli agricoltori – la stragrande maggioranza – di commercializzare le proprie sementi.

Come imprese caritatevoli intente a “favorire lo sviluppo dell’Africa”, le trovo poco credibili. Invece trovo credibili Manuela Giovannetti, Salvatore Ceccarelli, Pedro Sanchez, Monty Jones, Gurdev Khush (grazie a tutti della vostra santa pazienza, e a presto spero).

Foto Icarda: varietà di orzo sviluppate da S. Ceccarelli con la partecipazione dei contadini.