Tra altre cose, aveva scoperto come mai i Foré di Papua-Nuova Guinea morissero di kuru. E’ una malattia neurodegenerativa da prioni (si sarebbe saputo dopo) che lascia il cervello bucherellato come una spugna, e veniva trasmessa ai figli quando mangiavano il cervello dei parenti defunti.
In “Buono da mangiare” (Einaudi, un gioiello), l’antropologo Marvin Harris spiega che pur avendo studiato tanti cervelli distrutti da patologie analoghe, nessun ricercatore aveva pensato che i buchi fossero proprio il sintomo di cui tener conto, li attribuivano al modo in cui vengono conservati gli organi. Ma Gajdusek – insieme al medico Vincent Zigas – sì, perché tendeva a pensare sempre “out of the box”.
Il necrologio del New York Times accenna allo scandalo a metà degli anni ’90, alla denuncia per molestie sessuali da parte di uno dei figli adottivi (ovunque andava, tornava con ragazzine e ragazzini disperati, malati, reietti, li sistemava in una grande casa a badarsi gli uni agli altri e ripartiva), e ai quasi due anni in carcere. Gli altri figli hanno sempre detto che si era dichiarato colpevole per evitare guai a un giovane che ne aveva avuti fin troppi. Da com’era andato il processo, credo di no.
L’ho conosciuto nell’estate del 2004, quando Shuguang Zhang mi aveva invitata a una conferenza di quattro giorni che organizzava a Creta, sulle placche amiloidi – delle proteine che, nell’Alzheimer, legano assoni e dendriti dei neuroni – e le altre molecole biologiche auto-assemblanti.
Esagerato in tutto, vorace, sempre pronto a fare una bella litigata su qualunque tema, pazzamente colto (dormiva poco, leggeva, leggeva di tutto, e ricordava!). Era velocissimo nel collegare osservazioni diverse, e ho notato che gli altri ci riflettevano e al mattino tornavano al workshop con diverse configurazioni – di alpha e beta sheets, per esempio – sul loro computer. Brillante, arrogante, faceva venir in mente Murray Gell-Mann (ma in meno vanitoso…).
Pensavo a lui la settimana scorsa, perché su Angewandte Chemie c’era la ricerca di Ehud Gazit et. al. all’università di Tel Aviv, sul dipeptide “beta sheet breaker” che blocca la formazione delle placche amiloidi. Sarà la quarta o quinta ricerca uscita negli ultimi mesi dove lo ritrovo citato in nota.
Il link iniziale è a wiki in inglese, la voce italiana è ridicola.