Sul Journal for Happiness Studies, gratis così Springer ci fa contenti, è uscito “Misurare la felicità in scritti su grande scala: cantanti, presidenti e bloggers” di Peter S. Dodds e Christopher Danforth, due matematici statistici del centro per lo studio dei sistemi complessi all’università del Vermont.
Gli scritti sono in inglese, quindi l’indice usato per determinarne la valenza positiva o negativa è l’Affective Norms of English Words (ANEW). La scala è tutt’altro che perfetta, come si vede dal link che rimanda al manuale del 1999. Il rating accanto a ogni vocabolo è una media (pensate solo alla valenza della parola “forno” per chi è sopravvissuto alla Shoah e chi è appena passato davanti a una panetteria).
L’articolo forse interesserà chi si occupa di data mining, per il resto rivela che negli ultimi quattro anni la felicità degli americani è stata massima il 4 novembre 2008 e minima il 25 giugno 2009. Non una gran scoperta. All’inizio gli autori citano una sfilza di ricerche sul campo – di mio rimando a questo Happiness Index e questo e questo e questo (felicità interna lorda del Buthan) e questo e… – e modestamente dicono che il loro metodo è “migliorabile”.
Hanno usato le parole delle canzoni più popolari, dei discorsi presidenziali sullo stato dell’Unione e We feel fine che dal 2005 preleva tra 10 e 15 mila “feelings” al giorno da oltre 2 milioni di blog. Rappresenta un po’ l’edonometro immaginato a fine Ottocento l’economista Francis Edgeworth.
Gli spagnoli hanno tradotto il manuale Anew e ho visto ricerche sul data-mining – fouille de texte – basate sulle norme affettive delle parole francesi, ma non mi sembra che esista un manuale Namf. Se qualcuno sa di un Nami, me lo dice?