Su suggerimento dell’Economist sono andata a vedere il primo numero di Rejecta Mathematica. Sembra di buon livello e vien da chiedersi com’erano gli articoli rifiutati dagli editori. Avranno ritoccato lo stile, o hanno scelto gente spiritosa.
Forse Gary Harper – algebra geometrica à la H.G. Grassmann, che già basta a riempire di rispetto – era troppo giocoso per l’unico altro grassmaniano che doveva giudicare il suo lavoro. E il peer reviewer di Neelamani, Nowak e Baranuk – un algoritmo wavelet based per elaborazione di immagini – preferiva le bionde?
Prova finestra
Sul Thermokarst Project – su cosa succede attorno all’Artico mentre si scioglie il permafrost – l’Economist è più chiaro di New Scientist, trovo. Il capogita Breck Bowden doveva bloggare durante la prima stagione di ricerca, ma si vede che è occupato. In compenso il suo gruppo ha già messo on line 14 video.
Da John Stroop a Lady Macbeth
Tutte le culture associano il nero con il male e il bianco con il bene? Sì, perché l’associazione sarebbe cablata nei neuroni, essendo il nero un’indicatore di sporcizia fisica e morale (“non mangiare quella roba”, “via questa macchia”) davanti alla quale reagiremmo in entrambi i casi con una sola emozione, il disgusto.
Così dicono gli studenti di psicologia Gary Sherman e Gerald Clore nell’articolo “Il colore del peccato: bianco e nero sono simboli percettivi della purezza e della polluzione morale” che uscirà su Psychological Review.
In tre esperimenti, hanno correlato colori, moralità e pulizia. In quello principale, hanno fatto vedere a 48 volontari cinquanta parole come “onestà”, “bontà”, “peccato”, “truffa” ecc., scritte in nero e in bianco e misurato quanto ci mettevano a indicare il colore della parola che vedevano (Stroop effect). Erano più veloci, 480 millisec. rispetto a 525, quando onestà era in bianco e truffa in nero che vice versa. (Se volete giocare con il Stroop Test, ecco una delle versioni in rete: bisogna scrivere l’iniziale del colore – in inglese – delle lettere che compaiono nella striscia grigia. Vince chi ci mette meno e fa meno errori.
Il campione era composto da studenti dell’università della Virginia (stato un tantino razzista) di cui 27 bianchi, 6 asiatici, 3 afro-americani e 2 ispano-americani. Se ne parlava bene su We’re only human e ora sull’Economist. Ma non son convinta che la reazione sia cablata nei neuroni, e non acquisita dall’ambiente in cui si cresce.
Le ultime sui bogus treatments
La Corte d’appello di Londra ha deciso che Simon Singh non può fare ricorso, ma lui ha una settimana per riprovarci “oralmente”, diceva l’altro ieri Jack of Kent. L’Associazione britannica dei chiropratici prendeva nota della decisione e aggiungeva: “l’ABC spera di concludere la vicenda e consentire a entrambe le parti di procedere costruttivamente.” Conciliante come non era mai stata, colpa dell’ilarità suscitata dalla “pletora di ricerche” che ha adotto a sostegno delle sue cure fittizie?
Simon Singh, adesso che cosa può fare? Continuare a svenarsi in spese legali o chiedere scusa per “bogus” così come definito non da lui ma dal giudice Eady, risponde oggi JoK dal quale s’impara un sacco di cose sulla legge inglese in materia di diffamazione.