Origini

L’elenco degli Hiv non finisce mai. Su Nature Medicine Jean-Marie Plantier et al. ne caratterizzano uno nuovo simile al Siv-gor, il virus di immunodeficienza scoperto nei gorilla.

Ne è portatrice una camerunese di 62 anni, ricoverata all’ospedale universitario di Rouen con febbre e perdita di peso, ma non i sintomi dell’Aids. Per i non-abb, c’è un commento di Jon Cohen su Science.

Chi non “crede” all’esistenza dell’Hiv spesso si giustifica dicendo che l’origine è ignota. Non conosco nessuno che neghi l’esistenza del plasmodio, eppure fino a ieri era di origine altrettanto ignota. Steven Rich, altri e Francisco Ayala dell’univ. California a Irvine, hanno comparato il dna mitocondriale del P. falciparum e del P. reichenowi dello scimpanzé.

Si credeva che esistessero ognuno per conto proprio da 5 milioni di anni e avessero avuto il tempo di diversificarsi molto, geneticamente. Invece si somigliano per cui saremmo stati infetti – via una singola zanzara – da quello dello scimpanzè tra cinquemila e due milioni di anni fa. Di suo, Francisco Ayala propende per cinquemila, pochini per l’evoluzione dell’anemia falciforme.

Lévriers du pharaon (in italiano?) cuccioli.
C’è maretta anche sull’origine del cane, ritenuta eurasiatica e adesso, forse, africana. Niente di decisivo, ma ci vanno a nozze la BBC, il National Geographic (“from wolf to woof”) e persino il Tajikistan News. Il primo autore, Adam Boyko di Cornell, era in luna di miele in Africa con la neo-signora, il fratello e la cognata, e ha notato una forte diversità dei cani che incontrava nei villaggi. Con l’aiuto dei parenti, ha prelevato sangue a 318 cani in Egitto, Namibia e Uganda. Poi tutti hanno continuato a fare altrettanto a randagi portoricani e statunitensi per avere una base di confronto.

Non si sono beccati la rabbia, ma qualche morso di sicuro. Altri co-autori rischiavano meno, erano al Waltham Centre for Pet Nutrition della Mars/Royal Canin, che ha fornito i kit (la dichiarazione di conflitti d’interesse è già nell’abstract). La faccio breve, secondo loro la diversità è maggiore in Africa. Data la potenza di calcolo al dip. di biostatistiche e biocomputing di Cornell,  magari hanno ragione. Mi spiacerebbe per i tagiki convinti di aver addomesticato per primi il lupo grigio.

Nota: il dip. di Cornell cerca post-docs.

Non da Nobel
Greg Miller commenta il paper, anche questo nei Pnas, sul collirio al fattore di crescita nervosa che ridurrebbe il glaucoma, di Alessandro Lambiase, altri, e Rita Levi-Montalcini.

Lei ha compiuto cent’anni,  la sua scoperta del fattore di crescita nervosa è stata una grande svolta, ma è cieca da più di vent’anni e ripete spesso che la sua memoria a breve termine non è quella di prima. Forse questo spiega come mai il paper è così debole. Dopo un esperimento sui ratti, le gocce sono state provate su 3 pazienti che hanno ottenuto un lieve miglioramento della visione periferica. Difficile da misurare con precisione e, fa notare Harry Quigley della Johns Hopkins, non si può escludere l’effetto placebo senza nemmeno un paziente di controllo. Fosse una nuova procedura chirurgica di quelle rischiose ma potenzialmente salva-vita, passi, ma un collirio…

A mo’ di confronto, su una rivista meno illustre il Dott. Rodrich vanta un antirughe a base di botulina anch’esso ma più efficace del Botox soprattutto in afro-americani under 65 . Come dice il com. stampa c’era un gruppo di controllo e l’effetto placebo si sarebbe verificato solo nel 3% dei partecipanti.