The word for world is forest

Su PLoS Biology, esce un articolo di scienziati forestali che lavorano per il WWF, altre Ong ambientaliste e centri di ricerca, sulla strategia per limitare le emissioni di CO2 conservando le foreste, e le ricerche necessarie per renderla efficace.

Gli autori usano l’esempio dell’Amazzonia per promuovere REDD, il programma di riduzione delle emissioni da deforestazione dell’Onu, soprattutto per aumentare le terre indigene e le aree protette, e rafforzarne il funzionamento. Al vertice di Copenaghen non s’è parlato di REDD, ma attraverso accordi bilaterali alcuni paesi ricchi pagano già quelli poveri per non tagliare ulteriormente le foreste.

L’idea pare giusta per alcuni luoghi del Brasile, altri due o tre paesi dell’America Latina, il Canada e in parte gli Stati Uniti. Altrove, le popolazioni indigene non hanno quasi mai diritti di proprietà sulle terre dove abitano, i governanti vendono la biodiversità al miglior offerente e s’intascano i proventi e comunque la rule of law lascia a desiderare.

Non per dire à la Lomborg che un clima stabile non faccia parte delle priorità  e l’Amazzonia sia un dettaglio, ma che la strategia non può essere una, e deve venire dalla gente che vive della/nella foresta o ai suoi margini.

Da domani sono in assenza giustificata, vado alla conf. sulle bioenergie, e il titolo del post è quello di un romanzo di Ursula LeGuin.