Fritto misto del giovedì


Su Nature, Jan Hendrik Hehemann, Joëlle Correc et al. scrivono di aver scoperto nel Bacteroides plebeius degli intestini giapponesi geni provenienti da Bacteroides che vivono in mare, per cui il plebeo è in grado di produrre enzimi che digeriscono le alghe usate nella cucina locale.

Non so a quale ceppo appartengano i miei Bacteroides, ma digerisco perfettamente il sushi (e chi no?). Sarà  il varech ingerito inavvertitamente da piccola? Joëlle Correc lavora alla stazione biologica di Roscoff sui vegetali marini e dal nome e cognome pare proprio bretone, chissà cos’aspetta a studiare il microbiota di bretoni – e di confinanti come i normanni di Blainville – invece di importarlo dall’estero…

Open access
Oltre a un articolo di Declan Butler, c’è l’editoriale sull’open access, in USA, delle ricerche finanziate con fondi pubblici entro sei mesi, o entro dodici, dalla pubblicazione su riviste non open access. Come sempre l’autore sottolinea gli alti costi della Public Library of Science, e l’impossibilità per riviste come Nature e Science di far a meno del reddito da abbonamenti. Eppure Nature ha deciso di pubblicare on line le notizie scritte dai suoi giornalisti, una scelta contraria a quella dei mainstream media. Non capisco perché non prova il modello iPod, un tot per ogni articolo scaricato.

Tempi d’impaginazione
Avevo scritto un pezzo che esce a fine mese sugli errori veri e falsi nel IV rapporto dell’Ipcc, sottolineando quello ottimista sul livello del mare che s’alzerebbe al massimo di circa mezzo metro entro fine secolo. L’aveva segnalato Stefan Rahmstorf nel 2007, ci era tornato da poco, ero tutta contenta di avere una citazione “fresca”. E cosa fa quel #§]*? Me l’invecchia con un articolo di oggi. Proprio su Nature che aveva respinto il suo recente paper in tema, scritto con Martin Vermeer e poi uscito sui PNAS.

Incontro fortuito
La storia del geodesista ignoto alla comunità climatologica (Vermeer) che si ritrova a collaborare con un oceanologo famoso (Rahmstorf) è raccontata dal primo su Realclimate, un esempio molto carino di scienza in fieri. E del fatto che per uscire su Nature e Science non basta un paper allarmista, altra smentita dei bigoilisti. Dai quali s’aspettano ancora le scuse per aver diffamato Michael Mann, Phil Jones, Rajendra Pachauri et al. Diffamazioni ricopiate dallo Spiegel, al che Rahmstorf gliele ha suonate – stesse campane in inglese.

Gas serra da ruminanti
E’ la prima ricerca sulle steppe mongole  – sottofondo – che vedo, non ho termini di paragone, ma la trovo interessante. In realtà, scrivono Benjamin Wolf, Xunghua Zheng et al., durante il disgelo il bestiame mangia la biomassa che produce anch’essa N2O e riduce quel gas serra, nonostante ne produca di suo. (Parlandone da vivo, è appena stato falcidiato prima dalla siccità e poi dal grande freddo.) Le stime per le emissioni nel secolo scorso sarebbero pertanto esagerate del 72%.

Prima di urlare “i modelli sono inaffidabili”, i bigoilisti tengano presente che i ruminanti al pascolo su altipiani semi-aridi sono una frazione minuscola del totale.