Bil'in

Rimprovero a Israele del Consiglio di sicurezza e il solito ripiego su una “indagine”. Secondo il Washington Post, anche l’ambasciatore americano all’Onu Alejandro Wolff ha

rimproverato i membri del convoglio umanitario per la consegna degli aiuti a Gaza. Farlo “via mare non è né appropriato né responsabile e certamente non è efficace, date le circostanze,” ha detto, perché esistono procedure “non provocatorie e non conflittuali”.

Davvero?  Dovrebbe indicare quelle procedure all’Agenzia dell’Onu per i rifugiati palestinesi e all’Organizzazione mondiale della sanità. A quanto pare non le conoscono.

Su Promised Land vedo che la stampa israeliana parla del convoglio come di una “trappola” in cui sarebbe incappato il governo. Strana espressione, a essere intrappolati sono gli attivisti rinchiusi in luoghi ignoti e gli abitanti di Gaza. E’ “vera” nel senso che il governo se l’è tesa, abituandosi alla resistenza passiva di chi porta aiuti umanitari e non dando retta ai generali che volevano un maggior dispiegamento di forze?

I marine del commando erano attrezzati per una situazione “come a Bil’in“. Fa impressione che i generali lo dicano apertamente, perché quel villaggio illustra l’apartheid in corso nella zona occupata. E’ tagliato dal muro che toglie l’accesso a gran parte delle terre coltivabili, quasi ogni mercoledì gli abitanti  protestano pacificamente e vengono “dispersi” con taser, gas lacrimogeni, raffiche di pallottole traccianti e di gomma. Queste causano brutte ferite (Luisa Morgantini ne sa qualcosa) e ogni tanto qualcuno ne muore.