Puzza mancante

Eucomis bicolour
A voi sarà mancata poco perché avete il naso chiuso alla domanda che tormentava già Charles Darwin: come ha fatto l’evoluzione  a produrre in poco tempo l’immensa varietà dei fiori? L’ipotesi è che le angiosperme abbiano trovato il modo di ottenere una fecondazione assistita da impollinatori con gusti diversi. Ok, ma gusti diversi in materia di forma, colore, odore?

Sui Proceedings of the Royal Society-B e sotto l’elegante titolo “The Missing Stink“, Adam Shuttleworth e Stephen Johnson scrivono che l’assistenza sarebbe determinata dai composti a base di zolfo. Fra le Hyacinthaceae, quattro Eucomis hanno gli stessi fiorellini verdi e bianchi e un nettare con uguali proprietà nutrienti, eppure sono impollinate da vespe pompilidi o da mosconi noti per riprodursi nella carne viva e/o in putrefazione (Calliphoridae).  I due ricercatori hanno “manipolato il bouquet” esalato dai fiori e constatato che a richiamare un insetto oppure l’altro è la produzione o meno di dimetil di- e trisolfuro, dall’indimenticabile profumo di uova marce.

Riservato al Drosophila melano…funebris Fan Club

E’ iniziata la resistenza alle orde reazionarie del Cinz che la vogliono ribattezzare Sophophora.

Sulla prestigiosa rivista di cui sopra, Stuart Wigby dell’università di Oxford e colleghi dello University College di Londra, dell’università dell’East Anglia e dell’Imperial College che quanto a prestigio non scherzano neppure loro, pubblicano una pietra miliare: non solo chiarisce le scelte sessuali della nostra moscerina, ma i risvolti ci riguardano tutti.  Come sapete, la riproduzione le richiede un maggior dispendio che ai maschi, e dopo il primo accoppiamento tende a sottrarsi ai corteggiamenti se il cibo è scarso. Vice versa, prodiga i propri favori quando abbonda.

Wigby et al. hanno collegato entrambi gli appetiti e ipotizzato che a modificare il comportamento della D. melanogaster (sic) fosse l’insulina, che regola il livello post-prandiale degli zuccheri nell’emolinfa così come nel nostro sangue.

Le moscerine con mutazioni genetiche o interventi farmacologici – come l’RU 486, chi l’avrebbe detto? – che inibiscono l’insulina non s’accoppiano più, o mai nel caso delle vergini perché anche se hanno mangiato a quattro palmenti, continuano a sentire i morsi della fame. Eliminati tutti i rumori di fondo, compresa l’intraprendenza maschile, solo il segnale di non sazietà spiega, dicono gli autori, il calo riproduttivo.

Lo stesso che si osserva tra mammiferi denutriti, primati compresi.

Non finisce qui. Le moscerine insulinodeficienti vivono molto più a lungo, se lo fossimo pure noi arriveremmo tranquillamente a 150 anni.  Questo Wigby et al.  non lo dicono, però ammiccano.