Ebreo polacco, arrivato in Francia dall’Ucraina nel 1931 a 7 anni, Grisha Charpak diventa Georges, falchetto rosso, giovane comunista, poi con documenti falsi Jacques Charpentier. Quando un amico poliziotto avverte i suoi della “rafle”, entra nella Resistenza. Arrestato, deportato a Dachau a 20 anni, scava trincee per qualche mese. Per sua fortuna, in Baviera servivano manovali per costruire una pista d’atterraggio e “il était costaud”.
Mentre al CERN bricolava rilevatori di particelle – camere a multi fili a multi stadi a scintillazione – e rompeva un sacco di plexiglas, la moglie Dominique militava per entrambi. Prima che lui andasse in pensione dal CERN e tornassero a Parigi, si occupava di un centro di assistenza ai malati di AIDS, a Ginevra. Lui era a favore delle centrali nucleari, lei no; comunista anche lei fino all’Ungheria, era stata una delle prime “écolos”. Alla fine degli anni ’60, aveva persino allevato pecore per un po’.
Oltre ai tre figli e ai ragazzini che abitavano con loro per anni. Non so se erano adottati, ma a Gex – una borgata sul lato francese del Cern – erano di casa. Durante le vacanze arrivavano i loro amici, debordavano e qualcuno dormiva da Jack Steinberger che s’era fatto costruire una villa quasi uguale lì vicino.
Durante l’assedio di Sarajevo, a Georges era venuta l’idea di armare una nave da crociera sulla quale avrebbe fatto lezione di fisica delle particelle sotto bandiera dell’Onu o dell’Unesco con scienziati (ex) jugoslavi, in inglese e una decina di altre lingue. Nei ritagli di una delle conferenze “10 Nobel per il futuro”, diceva che su e giù per l’Adriatico avrebbe tirato su i profughi che riuscivano a raggiungere la costa, meglio se di qualche isola. Con Lederman, Foà, Steinberger che avrebbero fatto la spola con le loro barche a vela.
Entusiasta, disordinato, esagerato, ne sognava sempre una per rimettere a posto il mondo, e come la raccontava lui sembrava facile.