Non all'ora di cena

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Siete avvisati.

Jeff Gordon è uno dei leader del Progetto Microbioma Umano e sviluppa miscele microbiche contro l’obesità, ma forse non ha creato la start-up che doveva commercializzarle perché non la vedo nei conflitti d’interesse. Comunque è uscito sui PNAS un paper di Andrew Goodman suo e di altri del suo lab, all’università Washington di Saint Louis:

Collezioni estensive di colture di microbiota personale dell’intestino caratterizzate e manipolate in topi gnotobiotici

Una pietra miliare.
Siamo un metaorganismo composto all’1% (Craig Venter dice allo 0,5%)  di cellule umane, per il resto da microbi senza i quali schiantiamo nel giro di 2 minuti (dice sempre Craig Venter). Ovunque, ma soprattutto nel tratto digerente, c’è un delicato equilibrio tra le diverse specie, solo che

Gli sforzi per determinare le interazioni funzionali tra le  comunità microbiche e i loro habitat sono complicati da una vecchia osservazione: per molte di esse, la maggioranza degli organismi non sono stati coltivati in laboratorio. Differenze metodologiche tra approcci indipendenti da colture e basati su colture, hanno contribuito alla difficoltà di derivare una valutazione realistica della discrepanza tra le componenti coltivabili di un ecosistema microbico e la diversità totale delle comunità.

Quasi tutti i batteri prelevati dal colon umano fuori muoiono anche se alimentati con una buona approssimazione di quello che passava il convento prima. Sono strettamente personali, adattati di fino all’habitat, alla dieta dell’ospite, alla presenza e ai metaboliti delle specie con le quali dividono il loro anfratto. Goodman e Gordon hanno avuto un’idea geniale, hanno usato topi con pochi tipi di batteri e tutti già noti, detti appunto gnotobiotici. Così hanno scoperto che:

Il microbiota fecale umano consiste per lo più di taxa e funzioni che sono già presenti nei membri normalmente allevati in coltura (come si vede dai grafici, ndr). Trapiantate  in topi gnotobiotici, le comunità complete e quelle coltivate mostrano le stesse dinamiche di colonizzazione, distribuzioni geobiologiche e risposte a perturbazioni dietetiche. Inoltre i topi gnotobiotici possono essere usati per plasmare le collezioni personalizzate di colture e arricchirle con taxa adatti a diete specifiche. Dimostriamo anche che migliaia di isolati da un singolo donatore possono essere archiviati clonalmente e mappati tassonomicamente in formato multi-pozzetti, per creare collezioni personalizzate di microbiota.

Per esempio, dopo l’ablazione di un tumore al colon la radioterapia uccide microbi indispensabili. Anche se adesso si usa tenere da parte materia emessa prima dell’intervento chirurgico, non è che si conservi perfettamente. Senza, la guarigione è molto rallentata. Una collezione già pronta e rinnovabile in topi gnotobiotici sarebbe un bel progresso. E c’è di più:

Ricuperare componenti di un microbiota coesistiti in singoli donatori che hanno fenotipi di interesse fisiologico o patologico, e riunirli in combinazioni diverse dentro topi gnotobiotici dovrebbe facilitare gli studi preclinici progettati per  determinare fino a che punto taxa batterici maneggiabili sono in grado di trasmettere  tratti del donatore o di influenzare la biologia dell’ospite.

Faccio un altro esempio.

Digerisco anche i sassi e non ingrasso. Le comunità che mi forniscono queste caratteristiche potrebbero venir trasferite in un intestino in difficoltà per sopperire ai suoi bisogni. Una procedura analoga potrebbe servire ad allevare erbivori, con cibo per loro indigesto senza farli ammalare come oggi e magari ridurne le flatulenze climalteranti.

Sempre che si riesca a farne nascere qualcuno gnotobiotico come si fa con i topi, per provarci dentro combinazioni diverse fino a identificare il mix giusto. Mica facile, le comunità non convivono mica con la prima venuta e nei grafici si vede che la “discrepanza” maggiore riguarda proprio le  specie, le distinzioni più sottili.

Un paper eccezionale  lo stesso e pure gratis.