La verità non l’ha detta lo Heartland, che non se lo può permettere, ma Peter Gleick. Scrive di essersi fatto mandare i documenti telefonando in sede sotto falso nome e di averli distribuiti. Da ieri non è più il presidente della task force sull’etica scientifica dell’AGU, e mi sembra si sia dimesso da altri incarichi.
Che furbo!, pensavo. Adesso i Donatori apriranno il portafoglio.
Forse no.
Lo Heartland prima ha rifiutato di confermare, salvo per un riassunto, se i documenti erano autentici o falsi. Poi ha fatto mandare dal suo uff. stampa lettere minatorie di una sua legale a Brendan DeMelle di Desmogblog, Brad Johnson di Think Progress, Arianna Huffington dello Huffington Post, John Harris di Politico, Greg Laden di Scienceblogs, Christine, la mamma di350.org, Charles Johnson di Little green balls, un colonnello in pensione et al.
Il reato perseguibile sarebbe quello di aver messo link a documenti confidenziali e/o di averli citati e/o commentati o messo link a blog che lo facevano. Perché sarebbero stati dei falsi creati per discreditare lo Heartland. Adesso si sa che sono autentici, e dovrebbe spiegare perché sarebbero più lesivi quelli simili che metteva sul suo sito. Come questi, per esempio (cliccare almeno sull’ultimo dei quattro, fannulloni, ci sono delle sorpresine…), e altri citati lo stesso giorno.
Citazione e commento di documenti aziendali o governativi, anche se confidenziali, non sono perseguibili se riguardano “issues of public interest”. Qui le issues sono una valanga, a cominciare dalla registrazione come ente “caritativo” esentasse. (Niente in confronto a questi, intendiamoci, d’altronde i soldi erano molti di più…)
Peter Gleick è stato idiota e l’ha ammesso, alla sua età comportarsi come nei vecchi film tipo Stop the press, francamente. Le inchieste giornalistiche, le lasci a chi le sa fare.
Ne pagherà le conseguenze. E anche lo Heartland che ha chiesto fondi ai Donatori per far incarcerare “il criminale” e non si accontenta di scuse. In tribunale dovrà spiegare in che cosa è stato danneggiato dalla rivelazione di nomi e cifre di cui prima si vantava pubblicamente e perché pretende per i propri documenti una confidenzialità che ha negato nel caso di Climategate.
Da un lato il pretexting senza fini di vantaggio personale non è nemmeno una “minor misdemeanour” e a quanto ne so nessun giornalista è mai stato condannato per aver impersonato qualcuno al telefono. Dall’altro per evasione fiscale Joe Bast, il boss dello Heartland, rischia di andare in galera sul serio.
Riccardo segnala una lettera Chi la fa, l’aspetti che suscita una nuova ondata di ilarità – dopo quella di Bast che chiedeva noccioline alla Phillip Morris…
Interessante, per il fisco in particolare, analisi del materiale diseducativo spacciato dallo Heartland.