Anonimato

Prima una notizia amara ma anche dolce. L’altro ieri è morta Carla Stampa, in Indonesia vicino a suo figlio. Si era trasferita due settimane fa con tutte le cose che amava, che amavamo, della sua casa di Milano, dove abbiamo fatto tante discussioni sul giornalismo, l’etica, la letteratura e fondato l’Enciclopedia delle donne. Desiderava morire così, serena e consapevole alla fine del suo bellissimo autunno. Ci manca eppure ne siamo felici per lei.

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Nella maggioranza delle riviste scientifiche, la peer-review è anonima e alcune – del gruppo Nature, per esempio – la propongono in “doppio cieco”, anche gli autori degli articoli sono anonimi. Nessun sistema è perfetto, tanto più con

15.000.000 di persone che pubblicano 25.000.000 di articoli scientifici nel periodo 1996–2011
come scrive John Ioannidis nell’articolo che segnalavo l’altro ieri, usciti su PLoS Medicine. Negli ultimi anni, la quantità ha continuato ad aumentare, ma
Currently, an estimated 85% of research resources are wasted.
John I. parla delle ricerche biomediche, quelle più segnalate dalla “public post-peer review” su siti come PubPeer e altri.

PubPeer informa gli autori dei problemi sollevati dai commentatori, tutti anonimi, e capita – di rado, va detto – che gli autori spieghino, correggano errori o “agree to disagree”, amici come prima. Come diceva qui Luca Turin (famoso anche per non aver scelto l’animato e averlo pagato), PubPeer fa parte dei siti usati da Altmetrics per “valutare” il lavoro dei ricercatori, inoltre i commenti compaiono anche su PudMed accanto al paper originale.
La regola, direbbero Carla S. e John I., è “non tacere e non nuocere”, per esperienza penso che sia difficile quando manca una redazione nella quale discuterne. Comunque PubPeer la rispetta con una presentazione asettica di “figure problematiche”, è raro che qualche commentatore debordi.

Forse hanno debordato nel caso dell’oncologo Fazlul Sarkar che si era dimesso in aprile dalla Wayne University quando aveva firmato un contratto di lusso con l’Università del Mississippi (al non eccelso National Center for Natural Products Research…), la quale in giugno, 11 giorni prima che iniziasse a lavorare, l’ha annullato per colpa di commenti su commenti su PubPeer che aveva ricevuto via mail.

Il dott. Sarkar fa causa a PubPeer ed esige di conoscere i nomi dei commentatori, anche se nel frattempo PubPeer ha cancellato i commenti. Sono citati nella querela, ma non contengono accuse di falsificazione o di frode, ma solo di “sloppiness”. Se cliccate sulle immagini, vedrete anche voi che sono duplicate, tagliate e incollate in maniera molto sloppy…

Come Alfredo Fusco, Anna Bagnato, Annamaria Biroccio e tanti altri, il dott. Sarkar ha ignorato i dubbi suscitati dalle sue figure. Nel frattempo, ha già dovuto correggere almeno cinque pubblicazioni e  dà la colpa ad anonimi dottorandi e post-doc, ma è pagato anche come supervisore e avvalla così la decisione dell’università del Mississippi. Chi lo vuole uno così?

Altre info e discussione  da Retraction Watch.

6 commenti

  1. Mi rendo conto di essere una voce fuori dal coro, non è la prima volta e anche questa me ne farò una ragione. Parlo di PubPeer che, non dico nelle intenzioni di chi lo ha creato ma nei fatti, risulta essere una sorta di gogna pubblica, altro che peer. Ai processi sommari non ho mai creduto, tanto più se lo strumento ideato per garantire dai lestofanti in realtà rischia di fornire a questi ultimi uno strumento ideale per agire e non scalfisce neanche da lontano il vero problema degli editori, delle riviste, degli impact factor e quant’altro.
    Decisamente si, la supposta soluzione ad un male può essere peggiore del male stesso.

    1. Riccardo,
      meglio se sei fuori dal coro! I processi sommari mi sembrano estinguersi da soli. Se guardi i link, vedi che le segnalazioni anonime sono anche contestate da un “peer”. Quando un autore risponde, di solito c’è una discussione vera e critiche utili.
      PubPeer non risolve i problemi, certo, ma li indica e se la stima di Ioannadis è corretta (85% di waste) bisogna pur cominciare a fare un po’ di pulizia.

  2. ocasapiens
    vogliamo dare ai ricercatori anche il compito di seguire tutti i “sembra” e i “forse” che possano venire in mente alle persone? La giornata resta di 24 ore, i fondi per la ricerca sempre pochi e i compiti che ci vengono assegnati “in the interest of the people” sempre di più. Non è così che si migliora la ricerca.
    In ogni caso, il famoso 85% (numero orginato da Chalmers e Glasziou) non nasce da una debolezza della peer review, e quindi (forse) risolvibile con uan post peer review, ma da una lunga serie di altri fattori tipici (ed eslcusivi) della ricerca medica.
    Le due cose, PubPer e 85% non vanno quindi assieme e lasciano entrambe intoccati i problemi di fondo, fra i cui è facile identificare la (mal concepita) valutazione, l’idolatria dell’eccellenza, l’aspirazione all’efficienza economica della ricerca e una folle idea di “scienza utile” misurata sul ritorno diretto e immediato dei soldi investiti in ricerca. Questi problemi sono figli di un un burocratismo miope ed ipertrofico, nei fatti nemico giurato della scienza, che rischia di metterci in ginocchio. In questo PubPeer potrebbe involontariamente dare una mano, perchè sarà il burocrate di turno dell’ufficio del personale di un’Università a decretare che il tal ricercatore non va assunto perchè ha ricevuto critiche; e non vorrei che un giorno un indice PubPeer di valore negativo spunti fra i criteri di valutazione.

    1. Riccardo,
      non sei tanto fuori dal coro, sui mali la pensano in tanti come te e io pure. Trovo sbagliato prendersela con PubPeer come fa Sarkar usare PubPeer per licenziare Sarkar come ha fatto il National Center for Natural Products Research (che a me sembra proprio far scienza vox populi & business dei supplementi dietetici).

  3. ocasapiens
    quando si crea uno strumento bisogna pensare anche alle controindicazioni e porvi rimedio. Capisco che fare una review seria costa tempo e fatica, ma non è possibile lasciar passare commenti così generici da sembra più insinuazioni che altro.

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