Un aereo a ioni azoto

Stamattina in radio non si è fatto in tempo a parlarne, ma è in copertina di Nature e se lo merita. Al MIT, Steven Barrett e colleghi sono riusciti a far decollare, volare (in una palestra) e atterrare un aggeggio molto divertente.

Sembra un incrocio tra un aliante e il Kitty Hawk dei fratelli Wright.

Due alucce celesti e un nasone arancione sono collegati a un gabbiotto fatto di elettrodi di metallo, a una batteria da 500 watt, un convertitore leggero come una piuma (ma 40 mila volt!) e un collettore. E a due pattini per l’atterraggio.

La corrente crea un campo elettrico che ionizza (rende positive) le molecole dell’aria circostante. Le loro collisioni con quelle neutre più distanti producono il “vento ionico” che il campo elettrico accelera e manda nel collettore, trasformando il gabbiotto in un motore a propulsione ionica, detto anche “motore elettrodinamica”.

Il tutto pesa 2,5 kg per 5 metri di apertura alare. Durante le prove più riuscite s’è sollevato di mezzo metro per dieci secondi, volando a 4,8 m/secondo. Il prototipo è una “proof of concept”, scrivono,

  • che apre possibilità per aerei e dispositivi aerodinamici più silenziosi, meccanicamente più semplici [non ci sono parti mobili] e senza emissioni da combustione.

Secondo me, degli appassionati stanno già provando a costruirne uno in casa. Dall’editoriale,

  • Non solo i ricercatori hanno dimostrato il primo volo di un aereo con questo tipo di propulsione, ma anche che l’efficienza aumenta insieme alla velocità perché gli elettrodi che fanno da motore creano pochissima resistenza aerodinamico. 

Commento tecnico di Franck Plouraboué, incantato ma un po’ scettico sugli sviluppi a breve:

  • Resta da vedere se questo sistema di propulsione è scalabile. Può far volare un aereo di svariate tonnellate? Il problema pratico è ancora da risolvere, ma previsioni suggeriscono che un aereo a energia solare come il Solar Impulse 2 potrebbe mantenere un volo stabile usando soltanto il vento ionico.  

e com. stampa del MIT.

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Nelle news, Alexandra Witze parla dei nuovi modelli ad alta definizione spaziale che simulano monsoni, uragani e tempeste:

  • “The next 20 years will be worse than the last 20 years — all indications point to that,” says Angeline Pendergrass, an atmospheric scientist at the National Center for Atmospheric Research (NCAR) in Boulder, Colorado. […] “What we have seen so far is incredibly small compared to what’s coming,” she says. “And that’s kind of terrifying.”

Da collegare al paper di Camilo Mora et al. su Nature Climate Change, “Broad threat to humanity – soprattutto per la maggioranza che vive nelle zone costiere dei Tropici – from cumulative climate hazards intensified by greenhouse gas emissions”.

Nei papers, ho letto quello di David Parkes e Ben Marzeion. Pensano di aver risolto le divergenze tra l’aumento globale del livello del mare calcolato in base alla fusione dei ghiacciai “inventoriati”, quello simulato dai modelli e quello misurato:

  • Here we show that from 1901 to 2015, missing and disappeared glaciers produced a sea-level equivalent (SLE) of approximately 16.7 to 48.0 millimetres. Missing glaciers are those small glaciers that we expect to exist today, owing to regional analyses and theoretical scaling relationships, but that are not represented in the inventories. These glaciers contributed approximately 12.3 to 42.7 millimetres to the historical SLE.

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A proposito di divergenze, sulle Geophysical Research Letters un gruppone coordinato da Amanda Maycock – comprende il negaiolo John Christy, quindi gli altri negaioli se la prendano con lui – risolve la divergenza recente tra le temperature in stratosfera derivate da rilevazioni satellitarie e quelle previste dai modelli chimico-climatici.
Dal sommario in “parole semplici”:

  • The results show much better consistency between simulated and satellite?observed stratospheric temperature trends than was reported by Thompson et al. (2012) for the previous versions of the satellite record and last generation of chemistry?climate models. The improved agreement mainly comes from updates to the satellite records, while the range of simulated trends is comparable to the previous generation of models.

Grassetto mio. Spiegazione in parole semplici di David Shultz per Eos.

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La WMO (World Meteorological Organization) ha pubblicato il Greenhouse Gas Bulletin  per il 2017. Passato l’effetto del Niño, rispetto al 2016 c’è stato un aumento minore per tutti i gas serra, salvo l’ossido nitrico, il metano e – dal com. stampa:

  • there was a resurgence of a potent greenhouse gas and ozone depleting substance called CFC-11, which is regulated under an international agreement to protect the ozone layer.

Le concentrazioni in atmosfera continuano a crescere

  • Since 1990, there has been a 41% increase in total radiative forcing – the warming effect on the climate – by long-lived greenhouse gases. CO2 accounts for about 82% of the increase in radiative forcing over the past decade […]  “The last time the Earth experienced a comparable concentration of CO2 was 3-5 million years ago, when the temperature was 2-3°C warmer and sea level was 10-20 meters higher than now,” said WMO Secretary-General Petteri Taalas.

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Da Real Climate, Gavin Schmidt riassume “La lunga storia per vincolare il contenuto di calore degli oceani”:

  • Scientists predicted in the 1980s that a key fingerprint of anthropogenic climate change would be found in the ocean. If they were correct that increases in greenhouse gases were changing how much heat was coming into the system, then the component with the biggest heat capacity, the oceans, is where most of that heat would end up. We have now had almost two decades of attempts to characterize this change, but the path to confirming those predictions has been anything but smooth…

Un giorno sarà smentita una previsione di James Hansen?

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Con la fusione della calotta glaciale antartica, il contenuto di calore degli oceani cala per forza, scrivono Ben Bronselaer et al. in un paper anticipato on-line da Nature (lettura gratis), ma i modelli climatici non ne tengono conto. Nello scenario RCP8.5 – business as usual – che hanno usato nel loro modello, l’acqua gelida immessa in mare raffredda la temperatura globale di circa 0,4 °C,

  • delays the exceedance of the maximum global-mean atmospheric warming targets of 1.5 and 2 degrees Celsius by more than a decade, enhances drying of the Southern Hemisphere and reduces drying of the Northern Hemisphere

e causa altre retroazioni, tra cui l’aumento della banchisa locale e la destabilizzazione dei ghiacciai costieri. E’ la prima stima che vedo, come sempre meglio aspettare conferme e nel frattempo leggere all’articolo di Zeke Hausfather su Carbon Brief.

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Da And then there’s physics si discute del movimento inglese “Extinction Rebellion”, rif. anche il video del Guardian.

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Nuovo record italiano di ritrattazioni
 
L’Università dell’Aquila batte il Politecnico di Torino 26 a 11. L’altro ieri la rivista IEEE Transactions on Electromagnetic Compatibility ha ritrattato d’un colpo solo 29 articoli, di cui 26 di Antonio Orlandi, il suo direttore (fino a ieri), scrive Retraction Watch, per
  • evidence of systematic violation of IEEE’s policies governing peer review of articles
Anche in questo caso, il direttore faceva a meno della peer-review. Non potrà mai più essere membro dell’IEEE; pubblicare su riviste dell’IEEE o ricoprire ruoli editoriali. Insieme ai suoi coautori, dovrà anche ricalcolarsi l’h index
 
In febbraio aveva ricevuto il premio Google Faculty Research e i complimenti del sindaco Biondi:
  • Esprimo al professor Antonio Orlandi le più vive congratulazioni per il prestigioso riconoscimento conferitogli da uno dei più grandi colossi mondiali nel campo dell’innovazione e della tecnologia. Un successo che testimonia l’altissimo livello di ricerca che si svolge all’interno del sistema universitario aquilano che si conferma, ancora una volta, come una delle eccellenze da tutelare e valorizzare per lo sviluppo della città della conoscenza e dei saperi.”

I suoi articoli ritrattati sono ancora sul suo sito, ma potete scaricare l’elenco.

Dopo quattro anni di tentennamenti due riviste dell’American Heart Association, Circulation e Circulation Research, hanno pubblicato una “expression of concern” per 15 dei 31 articoli di Pietro Anversa, sulle presunte cellule staminali cardiache, di cui Harvard ha chiesto la ritrattazione.