L’editoriale di Nature è intitolato “Vita da archea“, ma l’impresa “epica” è quella di Hiroyuki Imachi e altri 21 ricercatori giapponesi. Ci hanno messo “oltre 2.000 giorni” per isolare certi procarioti che avevano estratto da sedimenti marini a 2.600 metri di profondità e sistemato in un “bioreattore a flusso continuo di metano”, costruito apposta per somigliare al loro ambiente natio.
Più nove anni per convincere uno di loro a riprodursi in vitro. Per tutti gli altri non c’è stato niente da fare. Pensavo che il Deinococcus radiodurans fosse pigro perché ci mette un giorno a replicarsi e due se lo tenete d’occhio, ma questo batte il record del mondo:
- L’archeon—‘Candidatus Prometheoarchaeum syntrophicum’ ceppo MK-D1—è un piccolo cocco (circa 550 nanometri di diametro) anaerobico, dalla crescita estremamente lenta. La coltura aveva costantemente una fase di latenza di 30–60 giorni e richiedeva più di tre mesi per arrivare a una crescita completa.
Superata la fase di avviamento e cresciuti in presenza di archea di altre specie grazie all’aggiunta nel brodo di 20 aminoacidi e di latte in polvere (strani gusti per un metanotrofo, no?), impiegavano dai 14 a 25 giorni per replicarsi.
Una volta analizzati e comparati i geni e la morfologia cellulare degli archea disponibili, il ‘Candidatus Prometheoarchaeum syntrophicum’ risulta un parente stretto degli antichi archea Asgard della famiglia Lokiarchaeota, scoperti cinque anni fa in una sorgente idrotermale nell’oceano Artico, detta Castello di Loki in omaggio a un dio nordico truffaldino e bugiardo.
Famiglia dalla quale – forse – discendiamo noi eucarioti.
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Una vita da cani
Nature commenta i risultati del sondaggio del Welcome Trust fra 4.300 ricercatori a vari stadi della carriera in 87 paesi. Circa l’80% ritiene che la competizione abbia generato “condizioni di lavoro aggressive”, scrive Alison Abbott, quasi due terzi sono stati testimoni di bullismo e di molestie e il 43% ne è stato vittima:
- due terzi dei sondati dicono che lavorano più di 40 ore alla settimana. Ma anche che la situazione sta peggiorando e che gli aspetti negativi non sono più compensati da un posto di lavoro sicuro, e dalla possibilità di lavorare in modo autonomo, flessibile e creativo. […] Risultati simili sono emersi da altri sondaggi […]. “E’ così in tutto il mondo” dice il chimico Ferdinand Schüth, vice-presidente della Società Max Planck…
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E’ uscito il primo numero di Nature Food, multidisciplinare e con un editoriale pieno di buoni propositi. Per ora ho letto solo la rassegna “The nexus between international trade, food systems, malnutrition and climate change” di Sharon Friel et al., da segnalare a chi collabora con delle Ong non fosse che per la bibliografia.
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