Roy Spencer non nega che i gas serra abbiano un effetto serra. Si limita ad accusare i climatologi, tutti comunisti e miscredenti, di truccare i dati per gonfiarne gli effetti e di occultare le altre cause del riscaldamento in corso. Allo scopo di rovinare l’economia statunitense e fare un dispetto all’amato presidente Trump.
Il suo algoritmo segreto non riesce più a nascondere che negli ultimi 40 anni le temperature in alta quota sono aumentate di almeno (spesso sbaglia al ribasso e viene costretto a correggerle) 0,56 °C. Deve quindi cercare un colpevole che non sia la concentrazione crescente di CO2 atm. L’ha trovato e io me lo sarei perso se in fondo al post
un’analisi dell’influenza dell’ENSO, dell’attività solare e delle eruzioni vulcaniche sulla variazione annua della temperatura globale, Tamino non avesse aggiunto, quasi come un’arrière-pensée, che Spencer attribuisce il 40% dell’aumento ai vulcani.
Mentre ero da Tamino, ho letto i due post precedenti. In quello sulla media delle temperature australiane nel 2019, salta fuori che oltre a diffondere la bufala sugli incendi dovuti unicamente a comportamenti dolosi o sbagliati, Spencer ne produce una in proprio:
- [quelle] temperature erano molto superiori a quanto la teoria del riscaldamento globale può spiegare, e illustrano l’importanza della variabilità da un anno all’altro delle ricorrenze [“patterns”] meteo annue (per es. siccità e temperature eccessivamente elevate).
E’ smentita anche dal post di Tamino sulle precipitazioni nei singoli stati. In breve, piove di più dove pioveva anche prima e di meno dove le siccità sono diventate più intense e le risorse idriche più scarse.
Come in Cina.
Sotto, un commento mi ha ricordato che mentre il governo cinese costruiva la “Grande Muraglia Verde”, quello australiano provvedeva a una mini-riforestazione, vanificata dall’autorizzazione ad abbattere foreste primarie, dagli incendi e dal fatto che sempre meno piantine sopravvivono alle siccità e alle ondate di caldo.
Shea ncduff scrive che in Australia meridionale, ha provato a ripiantare alberi dal 1993. All’inizio
- le piogge invernali bastavano a sostenere un tasso di sopravvivenza del 10%…
Negli ultimi dieci anni, sono diminuite. Le piogge estive sembravano aumentare un po’
- ma erano meno efficaci, la capacità del suolo era esaurita, il tasso di evaporazione maggiore. […] Il risultato è che abbiamo rinunciato. Le ultime volte quando avevamo piantato centinaia di piantine all’anno, sono state un fallimento totale – neanche una sopravvissuta.
Va così anche in gran parte della “Cinta verde” del Sahel. Con le ondate di caldo e la siccità, i suoli diventano di teflon. Chissà dove l’India e l’Etiopia prenderanno l’acqua per irrigare miliardi di piantine e alberelli per un decennio o più. La credenza che bastino piantine a generare una foresta sembra dura a morire.
In Cina, un canale lungo più dell’Italia porta l’acqua dallo Yangtze alle province settentrionali. Quindici anni fa, il governo ha investito nella ricerca di specie adatte nel mix adatto, e in una rete di esperti incaricati di mantenerle in vita. Con il risultato che gli agricoltori protestano perché dove il tasso di sopravvivenza aumenta, l’acqua non basta per le colture o gli allevamenti.
E a Shanghai protestano perché il loro fiume è passato dall’azzurro al marrone, non spinge più il pattume lontano dalla costa, così il (nuovo) porto di Chongqing va ri-dragato e nello Yangtze entra acqua di mare per chilometri.
No free lunch.
Non ho idea di quali interventi, se il governo australiano li avessi realizzati, avrebbero evitato gli incendi nei sei mesi scorsi, e le alluvioni ora che è tornato a piovere. Comunque Climate Analytics ne ha valutato la “climate policy” e non sembra lungimirante.
p.s. Fra ieri e oggi mi hanno segnalato fantastiche bufale nostrane, grazie, le tengo per domani.
p.p.s. 20/01 Non ho idea io, ma gli esperti sì: il governo sì. Il Sidney Herald Tribune ha pubblicato un articolo sugli interventi da realizzare e i costi previsti dalla Garnaut Review nel 2008.