Risultati negativi

Brontolo da anni perché nelle riviste i dati degli esperimenti clinici sono sempre positivi, magari un tantino torturati per dimostrare un’efficacia almeno su una minoranza dei partecipanti. Gli altri sono segreti, anche se nell’Unione Europea sarebbe obbligatorio pubblicarli. Colpa anche delle riviste, va detto. Senza Ben Goldacre e il Trials Tracker del suo Data Lab a Oxford non sapremmo nemmeno se certi esperimenti si sono conclusi.

Da marzo-aprile, ci sono vari trials tracker per il covid-19, uno del Data Lab. Così ho smesso di brontolare  e son ancora più scontenta: negli studi fatti correttamente, i dati delle terapie per il Covid-19 sono quasi tutti negativi. Al momento, l’unica eccezione che mi vien in mente è il desametasone.

Per il remdesivir me lo aspettavo, i comunicati stampa di Gilead erano poco credibili dai tempi in cui annunciava un accordo con la Cina (il governo cinese ci avrà ripensato?). Informazioni su efficacia e sicurezza al minimo, réclame al massimo. L’Organizzazione mondiale della sanità adesso lo sconsiglia e basta.

Gilead dice di aver pronto un antivirale “promettente”, molto simile, meno costoso, da prendere per via orale invece di endovenosa. Chissà se gli investitori credono ancora alle sue promesse.

L’idrossiclorochina non aveva più chance neppure come profilassi, da quando Trump e centinaia di seguaci sono stati contagiati. Il paper di ieri sul NEJM è una conferma (sempre utile). Ma almeno le trasfusioni di plasma derivato dal sangue dei convalescenti? Neanche quelle.

Se fossero prodotti/producibili in quantità necessarie, forse ci sarebbero gli anticorpi monoclonali della Regeneron somministrati a Trump e al suo entourage ai primi sintomi lievi. Sabato con procedura “emergenziale”, la Food & Drug Administration ne ha autorizzato l’uso solo in pochi casi – senza specificare se erano riservati a gente miliardaria e/o famosa. Nell’insieme, direi che il suo comunicato non sprizza entusiasmo.

Aumentano le “perplessità” suscitate dall’analisi ad interim del vaccino Oxford-AstraZeneca, che si discosta troppo dal com. stampa che la annunciava. Va preso con scetticismo, ça va sans dire spero, il comunicato stampa del governo russo sulla seconda “analisi ad interim” dello Sputnik V. Rassegna di Kai Kupferschmidt ieri su Science.

Guarit* di covid lieve, amic* e conoscenti vorrebbero un O’s digest dei paper sulle sequele. Interessano soprattutto i dolori muscolari e la perdita dell’olfatto che, dicono, ricorrono per mesi. Non ho fatto in tempo, mi spiace. Se trovo una rassegna già pronta, la segnalo senz’altro.

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Un risultato positivo ce l’ho. Questa rassegna conferma la maggior efficacia dei materiali usati per le mascherine chirurgiche, le più diffuse nel mio quartiere, nel tener fuori i PM 2.5 e dentro i coronavirus. (“Corona discharge” non è mica un modo di dire elegante!). Non sono perfette, si sa, infatti l’articolo riguarda soprattutto i materiali usati, i sistemi di produzione, suggerimenti per migliorarli e le ricerche necessarie per ottimizzare la (nano)composizione degli strati filtranti.

Meriterebbe una divulgazione, trovo. Tipo sul Sole-24 Ore, scritto da qualche economista della sanità e rivolto a politic*, imprendit* e scienziat* dei materiali. Dopotutto le mascherine si producono anche qui, in assenza di pandemia i PM 2.5 ci danneggiano la salute più che in altri paesi europei e presa l’abitudine potremmo metterle durante i picchi o quando arriva l’influenza.

E se non ricordo male, quelle importate dalla Cina erano da buttar via.