"Fanalino di coda"

Nonostante quello che dicono certi quotidiani, la Francia resta saldamente in fondo alla classifica dei paesi UE dove la vaccinazione è iniziata il 27 dicembre: ieri, i vaccinati erano 332. In questo momento Our World in Data è aggiornato al 30 dicembre – cioè al giorno prima – mentre per l’Italia sono 45.667 al 1 gennaio.
La Gran Bretagna che ha iniziato l’8 dicembre detiene il fanalino di testa anche in percentuale della popolazione: 1 milione di persone (1,4%) hanno ricevuto la prima dose del vaccino Pfizer-BioNTech, ma potrebbero ricevere la seconda non 3 settimane ma 12 settimane dopo.
Pfizer e BioNTech non sono d’accordo, perché l’efficacia della prima dose è solo del 52% (figura 3). Anthony Fauci dice che in USA verrà seguito il protocollo stabilito. Non commenta il perché dei nuovi “consigli” del Joint Committee on Vaccination and Immunisation (JCVI), in base ai quali il 31 dicembre il Ministero della sanità ha chiesto ai medici – “la professione” – di rinviare da 3 a 12 settimane il secondo appuntamento sia nel caso del vaccino Pfizer che AstraZeneca.
Il problema è che rispetto un mese fa, scrive il ministero,

  • l’emergenza di una nuova variante del SARS-CoV-2 con una crescita notevolmente maggiore sta cambiando rapidamente la curva epidemiologia nella direzione sbagliata in gran parte del Regno Unito in pieno inverno.

I motivi della richiesta sono cinque:

  • massimizzare il numero dei vaccinati della fase A (personale sanitario e assistenziale, >75enni e persone “molto vulnerabili” – in totale quasi 30 milioni), durante una scarsità di vaccini che si protrarrà per mesi;
  • stando ai dati del JVCI, la prima dose di entrambi i vaccini fornisce una protezione sostanziale contro il covid, in particolare contro quello grave, entro 2-3 settimane;
  • anche se la seconda dose aumenta “probabilmente” la durata e l’efficacia dell’immunizzazione, “la grande maggioranza della protezione iniziale contro la malattia è data dopo la prima dose;
  • per proteggere i gruppi prioritari, “un modello in cui nei prossimi 2-3 mesi si può vaccinare il doppio delle persone è ovviamente molto preferibile in termini di sanità pubblica” a uno in cui metà ha una protezione “solo lievemente maggiore”;
  • “il JCVI confida – is confident – che 12 settimane siano un intervallo ragionevole di dosaggio per raggiungere una buona protezione a più lungo termine”.

In realtà il JCVI dice che per entrambi i vaccini l’intervallo può arrivare fino a 12 settimane e

  • che la seconda dose dev’essere dello stesso vaccino della prima. Cambiare vaccino o saltarla non è consigliato perché potrebbe influire sulla durata della protezione. 

Il ministero non obbliga i medici a cambiare gli appuntamenti già programmati. Fa richieste discutibili, non insensate.
Secondo il New York Times di ieri e altre testate, immagino, se il vaccino Pfizer-BioNTEch non è disponibile per la seconda dose verrà somministrato quello AstraZeneca. C’è parecchia agitazione sui social, pare, anche se il JVIC e il ministero non ne parlano.
E’ previsto in casi eccezionali nel Green Book sull’immunizzazione contro le malattie infettive, aggiunto il 27 novembre scorso, a p. 11 del capitolo sul Covid 19:

  • every effort should be made to determine which vaccine the individual received and to complete with the same vaccine. For individuals who started the schedule and who attend for vaccination at a site where the same vaccine is not available, or if the first product received is unknown, it is reasonable to offer one dose of the locally available product to complete the schedule. This option is preferred if the individual is likely to be at immediate high risk or is considered unlikely to attend again.

L’università di Oxford (e forse altre) aveva proposto un esperimento pilota con un mix di vaccini a mRna e classici, ma deve ancora essere approvato.
Sono complementari (i primi innescano la produzione di anticorpi, i secondi di cellule immunitarie) e prendono di mira la stessa proteina, avrebbe senso. Ma che io sappia, per ora non ci sono nemmeno i risultati di esperimenti sui topi o sui visoni.

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Il problema c’è davvero.
A fine anno, sono usciti 1618 genomi sequenziati in Inghilterra della nuova variante del virus (lignaggio B.1.1.7, in Sudafrica “clade 20B/501Y.V1“), da campioni raccolti fino a due settimane prima. A metà dicembre era già presente in tutto il Regno Unito meno l’Irlanda del Nord e rappresentava oltre i due terzi delle nuove infezioni, è probabile che tra poco “cacci via” il ceppo iniziale.
I genomisti stimano un tasso di riproduzione da 0,4 a 0,7 superiore allo 0,9-1 dell’altro lignaggio. Data la crescita esponenziale nel tempo (Rt), è deprimente. Soprattutto se per tre mesi una singola dose del vaccino immunizza solo parzialmente; magari favorisce l’evoluzione di un lignaggio contro il quale lo stesso vaccino non serve, ma due metà in combinazione chissà… O di uno ancora più “virale” ma ben tollerato, come i coronavirus del raffreddore.
Però il B 1.1.7 non sembra provocare un covid più grave né re-infettare chi lo ha già avuto (mentre in Inghilterra aumentano i ricoverati >18 e i decessi). I contagi sono più numerosi tra i <19 anni, ma potrebbero essere più legati a focolai nelle scuole e a “comportamenti giovanili” che a una maggiore suscettibilità.

Agg. 03/01
Steph suggerisce di seguire Deepti Gurdasani, una ricercatrice del William Harvey Institute all’università Queen Mary di Londra, preoccupata dalla velocità di diffusione, ma giustamente cauta nell’interpretare un campione non casuale di genomi.
In Sudafrica dove i casi sono diventati più di un milione, il nuovo clade ha un andamento simile – gli altri paesi dell’Africa subsahariana fanno pochi test, le stime sulla sua diffusione non sono molto attendibili.

Per i vaccini, è un’altra storia. Pfizer e Moderna non fanno parte del gruppo Covax, quindi niente vaccino a mRna. Ma AstraZeneca e Johnson & Johnson – trial di fase 3 in corso in Sudafrica – ne fanno parte quindi tra qualche mese dovrebbe ricevere quelli classici in cambio di una prima rata finanziata da Covax.

La buona notizia è che il Serum Institute of India produrrà il vaccino AstraZeneca, approvato anche dall’Agenzia nazionale del farmaco. Alla sanità pubblica indiana lo venderà a 250 rupie (2,8 euro). E’ la più grande fabbrica di vaccini al mondo, potrebbe anche rifornire altri paesi a basso e medio reddito aiutati da Covax.

4 commenti

    1. Grazie Steph, “Inghilterra” linka al report dell’Imperial College, ma forse si vedeva male perché non l’avevo messo in grassetto – sistemato. Aggiungo Deepti Gurdasani, dice anche lei che i risultati vanno interpretati con cautela.

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