Ho sbagliato. Invece di piano A come Arcuri e piano B come Bertolaso, dovevo chiamarli bollettini – come per il meteo. Il numero degli abitanti da vaccinare contro il covid varia ogni giorno. Entro giugno, annunciava l’altro ieri il consulente della Regione Lombardia, saranno vaccinati 10 milioni di lombardi – su 10.060.524. Bambini compresi, si presume, anche se un vaccino pediatrico non esiste. Ieri l’inaffondabile Fontana correggeva del suo meglio: “dipende dalle dosi disponibili”.
Ieri il Commissario per l’emergenza prevedeva ancora 6 milioni di vaccinati entro marzo e anche 14 milioni di dosi disponili. Oggi la disponibilità prevista è di 13,5 milioni, tra qualche giorno i conti potrebbero tornare.
Israele a parte – dove però gli haredim sono contrari e gli arabi diffidenti – è così quasi dappertutto non solo per colpa di politici, esperti, Big Pharma e no-vax. Non si è mai tentato prima di vaccinare un 70% della popolazione mondiale nel giro di pochi mesi per prevenire sia le infezioni che la selezione di varianti che “sfuggono” alle difese immunitarie innescate dal vaccino.
Per un virus di cui si sta ancora studiando la diffusione e la patogenicità, sapere che dei vaccini proteggono per almeno 6 mesi contro le forme gravi del covid, con rarissimi effetti collaterali “severi”, è già un bel sollievo.
Ma proteggono chi e come? Una dose di uno e una dell’altro si può? A quante settimane di distanza? Contro quante varianti? Una dose sola e se una mutazione aumenta la contagiosità, si vedrà dopo (gli infettabili calano in modo lineare e la diffusione di una variante “più adatta” cresce in modo esponenziale…)? Per il momento un’efficacia media del 60-70% dopo la prima dose basta perché la sanità pubblica o l’economia non regge più e il tasso di mortalità – ormai anche “giovanile” – diventa intollerabile?
Swissmed, l’agenzia svizzera per il farmaco, deve aver fatto queste e altre domande, perché l’altro ieri ha rimandato l’omologazione del vaccino AstraZeneca:
- I dati attualmente disponibili non consentono ancora di prendere una decisione positiva sul rapporto rischi/benefici.
Ho letto anch’io il com. stampa di AstraZeneca sulla riduzione della trasmissione da asintomatici, sarebbe fantastico, più il virus circola e più muta. Ma è un com. stampa… Il preprint citato dice soltanto che è ridotta la carica virale… Quelle statistiche saranno arrivate prima alle varie Agenzie del farmaco, penso.
Da non esperta, rimando all’editoriale di Nature. Implora di adottare gli stessi protocolli degli esperimenti clinici:
- deviare da un regime vaccinale basato sui dati e validato clinicamente è un approccio rischioso che potrebbe far deragliare gli sforzi attuali di vaccinazione, erodere la fiducia del pubblico e risultare in conseguenze a lungo termine indesiderate e deleterie.
Per i farmaci continuano ad arrivare risultati deludenti: vitamina D, antivirali, antibiotici… i rischi sono maggiori dei benefici del placebo.
Gli anticorpi monoclonali sono gioiellini biotech, complicati da produrre e da somministrare, piuttosto rischiosi e costano la peau des fesses come si dice alla Sorbona. Dai risultati che ho visto finora, sembrano efficaci per pochi pazienti affetti da covid lieve che forse sarebbero guariti comunque, e solo se trasfusi prima che compaiono i primi sintomi.
Sull’approvazione “in via sperimentale” dell’AIFA per quelli Regeneron ed Eli Lilly concordo con quanto scrive Andrea Capocci sul manifesto di oggi:
- Come in altre occasioni, le evidenze scientifiche hanno dovuto però scontrarsi con le pressioni politiche, tese a mostrare all’opinione pubblica che nessuna sperimentazione è preclusa alla cittadinanza.
Agg. 06/02: Comunicato AIFA, articolo di Andrea Capocci, post di Medbunker, tweet eloquenti di Giorgio Gilestro, anche lui contro la tortura dei valori p…
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Alcuni scienziati contestano l’accesso limitato alle sequenze depositate nel GISAID e suggeriscono di metterle in una banca alternativa, scrive Richard Van Noorden su Nature. Ma l’accesso indiscriminato rischia di discriminare a sua volta i genetisti dei paesi poveri – nel senso che quelli dei paesi ricchi usano il lavoro di altri senza riconoscerlo, magari per ottenere un brevetto com’era successo con i virus delle influenze aviarie, quando le uniche banche erano “privatizzate” da grandi lab occidentali.