Cari orecchietti di radiopop,
Puntata pienotta, andiamo di corsa.
In pole position Carlo Barbante, il bio-geo-chimico (paleo)climatologo dell’università Ca’ Foscari, a Venezia, che dirige l’Istituto di dinamica dei processi ambientali al CNR. Forse lo conoscete perché quando era in missione in Antartide, avevo raccomandato il suo blog.
Insieme a ricercatori danesi, francesi, spagnoli, italiani, tedeschi, americani, ha misurato la quantità di iodio nella carota RECAP estratta tre anni fa dalla calotta glaciale sulla penisola di Renland, in Groenlandia, per vedere com’era cambiata la concentrazione di iodio nell’atmosfera tra il 1750 e 2011.
Il carotatore
A sorpresa, almeno per noi Oche, è triplicata negli ultimi sessant’anni. Da dov’è arrivato tanto iodio?
Buona notizia, scrivono su Nature Communications (open access), avrà fatto bene alla salute di tanta gente. Dal loro modello risulta che negli ultimi 50 anni il deposito di iodio è aumentato del 38% sull’Europa e del 25% sul Nord America. Forse è giovato anche alle coltivazioni. Ha anche contribuito ad assottigliare l’ozono troposferico, un inquinante. Ma se lo iodio ricade a terra, che c’entra con la troposfera?
Gianni Liti del CNR francese e dell’università di Nizza gira il mondo per raccogliere campioni di Saccarhomyces cerevisiae da fonti gradevoli e da altre che lo sono molto meno:
Gianni Liti et al., Nature, 2018
Nel 2012, pubblicava il genoma di 8 ceppi selvatici trovati in antiche foreste cinesi e di 91 ceppi d’allevamento locali. Paragonato a quello del lievito di birra che si usa qui per il pane o la birra, sembrava così ricco di diversità da lasciar pensare che l’antenato comune fosse cinese. Su Nature di ieri, con Joseph Schacherer dell’università di Strasburgo e 19 colleghi, ha pubblicato i risultati a lungo attesi del “1002 Yeast Genomes Project“,
Le loro amate muffe sono 1011 in realtà, più le specie parenti che hanno usato per un confronto e con alcune delle quali, pur riproducendosi per gemmazione, hanno avuto incontri ravvicinati (sospettiamo il saccaromicete paradoxus di essere un po’ promiscuus).
Le hanno studiate in tutti i modi possibili, eppure mettono “out-of-China” al condizionale, come mai?
Altra cosa che rischia di far discutere parecchio, scrivono che il numero di copie di uno stesso gene è più importante degli SNP (polimorfismi di un singolo nucleotide) per capire le differenze nel fenotipo delle varie popolazioni, per distinguere un lievito mediterraneo da uno taiwanese o brasiliano, insomma:
Molti SNP sono presenti a bassa frequenza, il che riecheggia osservazioni fatte a proposito degli studi associativi sull’intero genoma per gli esseri umani. Fa venire il dubbio che polimorfismi rari non abbiano poi un gran ruolo nel modulare il paesaggio fenotipico.
A vostri orecchietti riecheggia forse quello che diceva Stefano Zapperi venerdì scorso a proposito di studi genetici un filino razzisti su di noi “out of Africa”, ma non risolve il busillis.
A che cosa è dovuta la variazione tra un ceppo e l’altro? Al tipo di habitat? All’area geografica? All’addomesticamento? E nelle nostre popolazioni?
Come si sarà capito, le Oche tampinerebbero Gianni Liti per tutta la giornata. Da quando va cercando la sua amata in giro il mondo? E’ stato un colpo di fulmine? Torna a Perugia ogni tanto? E perché si studiano i saccaromiceti in un lab dell’Istituto per la ricerca sul cancro e l’invecchiamento del CNRS?
Ma deve tornare in laboratorio perché abbiamo interrotto la sua riunione, ce ne scusiamo con i suoi colleghi.
Abbiamo acquisito un’inviata! In realtà collabora già a radiopop, e facciamo un’eccezione: l’intervista è registrata invece che in diretta.
Al Festival delle Scienze del National Geographic che si tiene a Roma fino a domenica, Serena Tarabini ha intervistato Lisa Becking, professore associata e ricercatrice al Centro per la ricerca marina dell’università olandese di Wageningen, una biologa che studia i laghi marini, cioè terrestri ma pieni d’acqua di mare, fra i Tropici, e la loro conservazione. Come mai le interessano così tanto? le ha chiesto Serena
In coda la rassegna della stampa scientifica, striminzita…
poscritto:
Bello della diretta, è caduta la linea con Nizza, abbiamo perso 3 minuti e dovuto rimandare a venerdì prossimo l’intervista con Lisa Becking. Nonostante tutto, nella rassegna stampa ci stavano il paper sui Siluriani di Gavin Schmidt e Adam Frank, nell’International Journal of Astrobiology, e quello di Peter Reich et al. in Science di oggi che meritava più tempo. In un esperimento di 20 anni su campi di cereali C4 (per es. mais) e C3 (per es. frumento) arricchiti con emissioni elevate di CO2, hanno visto che
nei primi 12 anni, la biomassa aumentava nei campi C3 e non in quelli C4, come previsto. Ma negli 8 anni successivi succedeva il contrario.
In onda dalle 10.35 alle 11.25 sui 107,6 FM o in streaming o in podcast dopo. Per dirci se abbiamo sbagliato qualcosa FaceBook e mail oche at radiopopolare.it