Nell’inaugurare gli scioperi della settimana per il clima, il Guardian, l’Economist e altre testate, siti web e blog mettono in copertina un’immagine creata dal climatologo Ed Hawkins per rappresentare la variazione della temperatura globale o locale da un secolo o più.
Non in Italia, dice un po’ dispiaciuto, faccio in tempo a rimediare:
Temperature medie annue per l’Italia, agg. al 2021 – dati Berkeley Earth
Rassegna stampa e fonti bibliografiche dopo lo sciopero…
Il numero speciale dell‘Economist è notevole, ma a pagamento. Invece Nature aderisce a Covering Climate Now e fino al 22 settembre pubblica gratis reportage, opinioni, notizie, analisi ecc. (il Guardian copre meglio l’attualità e le mobilitazioni.) Nella ventina di articoli già usciti, segnalo solo:
- “Le dure verità dei cambiamenti climatici – in numeri” di Jeff Tollefson
- “Perché le giovani attiviste hanno catturato l’attenzione del mondo” di Emma Marris
- “Scienziati di tutto il mondo partecipano agli scioperi…” di Quirin Schiermeier e Kate Atkinson
- “Riforma radicale e New Deal Verde” di Michael Mann, una recensione del libro di Naomi Klein, incipit “I don’t always recommend a book I disagree with. But when I do, it’s usually by Naomi Klein”…
Il numero di ieri parla anche di soluzioni. Kevin Anderson e Jessica Jewell dissentono sulla validità dei “modelli di valutazione integrata” (detti IAM) che simulano gli esiti degli interventi per contrastare la crisi; Joeri Rogelj dello IIASA et al. propongono uno “scenario” integrabile per limitare l’aumento della temperatura a 1,5-2 °C. Non tiene conto della scadenza del 2100, ma del momento in cui viene raggiunta la “neutralità del carbonio” (com. stampa IIASA).
Su Science, l’editoriale di Shirley Malcolm è sulle ricadute attuali della schiavitù iniziata in USA nel 1619, come la lettera di Rae Wynn-Grant sui pregiudizi di certi storici bianchi. In tema di cambiamenti climatici, c’è
– un reportage di Warren Cornwall sul “blob” caldo (di 3 °C) nel Pacifico fra le Hawaii e l’Alaska, più grande di quello osservato cinque anni fa lungo la costa dell’Oregon;
– un policy forum di Jesse Kennan di Harvard su come i mercati finanziari valutano i rischi economici del cambiamento in corso per le attività delle aziende, ma anche dei consumatori, e sul numero crescente di aziende che forniscono una “tecnologia per servizi climatici” alla quale andrebbe applicato un controllo di qualità;
– “L’imperativo umano di stabilizzare a 1,5 °C il cambiamento climatico globale” è la rassegna di O. Hoegh-Guldberg, Marco Bindi, Sonia Seneviratne, e molti altri, di una settantina di ricerche pubblicate dopo quelle incluse nel rapporto 1,5°C dell’IPCC uscito l’anno scorso. Conclusione:
- è chiarissimo che ci sono motivi ancora più impellenti per rafforzare gli impegni destinati a stabilizzare l’aumento della temperatura a 1,5 °C rispetto al periodo preindustriale.
Su Science Advances, c’è un paper di Brice Noël et al. sulla calotta glaciale della Groenlandia che da 25 anni perdere quasi due volte più massa a nord che a sud.
Così arrabbiata mi pare che non l’avessimo ancora vista:
https://www.theguardian.com/commentisfree/2019/sep/23/world-leaders-generation-climate-breakdown-greta-thunberg
“This is all wrong. I shouldn’t be standing here. I should be back in school on the other side of the ocean. Yet you all come to me for hope? How dare you! You have stolen my dreams and my childhood with your empty words. And yet I’m one of the lucky ones. People are suffering. People are dying. Entire ecosystems are collapsing. We are in the beginning of a mass extinction. And all you can talk about is money and fairytales of eternal economic growth. How dare you!”
A proposito di favolette sulla crescita infinita, leggevo questo giusto stamane:
Decades of academic work in ecological economics have gone into integrating energetic and material stocks, flows, and boundaries into economic thinking. Although some progress can be seen on the economic-theoretical level, the economic models which inform political decision-making in rich countries almost completely disregard the energetic and material dimensions of the economy.
As Hall and Klitgaard have shown, today’s dominant economic theories, approaches, and models were developed during the era of energetic and material abundance. These theories were challenged only temporarily by the oil crises of the 1970s and the 1990s; no significant theoretical or political changes were made. Thus, dominant economic theories as well as policy-related economic modeling rely on the presupposition of continued energetic and material growth. The theories and models anticipate only incremental changes in the existing economic order. Hence, they are inadequate for explaining the current turmoil.
In addition to rapid climate change, biodiversity loss, and other environmental hazards, societies are witnessing rising inequality, rising unemployment, slow economic growth, rising debt levels, and governments without workable tools for managing their economies.
Central banks in the US and the Eurozone have resorted to unconventional measures such as negative interest rates and buying up significant amounts of public debt. This has relieved some economic pressure, but many commentators are worried about what can be done after these extraordinary measures are exhausted and the next economic crisis hits.
It can be safely said that no widely applicable economic models have been developed specifically for the upcoming era.
https://bios.fi/bios-governance_of_economic_transition.pdf
Paolo C.,
It can be safely said that no widely applicable economic models have been developed specifically for the upcoming era.
Si può dire tranquillamente, ormai lo dice anche l’Economist.