Più dati! (refrain)

Discussioni inferocite sulla riapertura o meno delle scuole tra conoscenti, a radiopop, in Italia e all’estero. I pro e i contro sembrano certi che i dati diano loro ragione. Ma quali? In generale, i ragazzi si ammalano molto meno di covid, e sembra raro che i focolai partano dalle scuole (o dalle aule universitarie). In pratica, ogni scuola è in un ecosistema a sé – mi sembra che bisognerebbe tenerne conto.
Ieri su Repubblica, l’immunologa Antonella Viola era favorevole senza attendere che tutta la popolazione coinvolta sia vaccinata perché “le classi sono sicure”. E’ molto brava, ma come lo sa?
Oggi su Nature l’economista di comportamenti e salute Emily Oster ricorda – a Joe Biden, in particolare – che per sapere quali misure di prevenzione sono efficaci, serve un osservatorio nazionale che aggreghi e interpreti le informazioni dei vari distretti scolastici. Faute de mieux, ha creato un dashboard attivo da agosto, ma siccome la partecipazione è volontaria, i dati non sono rappresentativi.
Però sono indicativi, perché degli universitari italiani non potrebbero crearne uno simile? Magari a livello regionale per cominciare.
Stesso problema nella “Perspective” di Science sull’andamento della pandemia in Africa subsahariana, dove il tasso di sieropositività estrapolato da donazioni del sangue, una “proxy” insoddisfacente, è molto più elevato di quello che risulta dai test. Idem nel caso dei paesi che correggono il numero di casi, ricoverati e decessi solo una volta pescati a ritoccarli.

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Ieri mi è arrivato il com. stampa del CNR intitolato

a proposito dell’articolo di Franco Belosi et al. del CNR e dell’ARPA-Lombardia pubblicato su Environmental Research. In realtà si tratta di un modello che riguarda la capacità delle polveri sottili di aggregare gli aerosol virali per impatto inerziale, intercettazione o diffusione browniana. Nel com. stampa non c’è né il titolo né la data dell’articolo (8 dicembre) né un link, così quando sono andata a cercarlo sulla rivista, è uscito per primo

di Marco Dettori et al. dell’università di Sassari (principalmente) che trova la correlazione opposta…

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Quando i dati ci sono
Da Climalteranti, nonostante “una fase relativamente intensa di La Niña”,  Claudio Cassardo classifica il 2020 come il quarto anno più caldo registrato da quando esistono dati omogenei (1881 perché è un pignolo) nell’analisi dei dati meteo-climatici grezzi che pubblica ogni anno con il solito approfondimento per l’Italia. Mentre c’è, calcola anche le tendenze trentennali dal 1881 in poi.
Invece l’Agenzia giapponese per la meteorologia mette il 2020 al primo posto. In entrambi i casi siamo già a +1,2 °C rispetto al 1881.
Su Nature Climate Change, ho dato un’occhiata a

  • Greater committed warming after accounting for the pattern effect“, Chen Zhou et al. tra cui Andrew Dressler stimano quanto riscaldamento globale c’è ancora “nel sistema” se stabilizziamo subito le emissioni di CO2: circa +2 °C però spalmati oltre il 2100 – spiegazione di Zeke Hausfather;
  • Global multi-model projections of local urban climates“, Lei Zhao e un gruppo coordinato da Michael Oppenheimer simulano con modelli incastonati uno nell’altro l’evoluzione dell'”isola di calore urbano” nelle grandi città di Stati Uniti, Medioriente, Asia centro-meridionale, Cina nord-orientale, Sudamerica e Africa (non sulle coste). Nello scenario con emissioni come ora (RP 8.5), aumenta la siccità e la temperatura di 4-5 °C a fine secolo con ampi margini di incertezza, quei modelli sono dei prototipi. Rif. articolo del Guardian.
  • The impact of near-real-time deforestation alerts across the tropics“, Fanny Moffette et al. trovano che nei 22 paesi dell’Africa tropicale dove le Ong sono attive e i parchi ben sorvegliati, la deforestazione è diminuita in media del 18% rispetto al 2011-2016;
  • Soil moisture-atmosphere feedbacks mitigate declining water availability in drylands“, nel modello di Sha Zhou, Sonia Sereviratne, Benjamin Cook e altra bella gente, su certe terre aride la minor umidità dei suoli causata dal riscaldamento globale riduce l’evotraspirazione e conseguente raffreddamento dell’aria. Siccome la superficie del suolo si scalda più di quella dell’oceano, la differenza di pressione fa sì che il vento dall’oceano porti più vapore acqueo. Ma per simularlo meglio bisognerebbe avere più dati…

6 commenti

  1. Ho una centralina amatoriale per le poleveri sottili (oggi i sensori, di livello discreto, costano una stupidaggine), in rete nel ‘famoso’ progetto dell’università di Stoccarda.
    Non ho le competenze per dire chi abbia ragione o meno, ma se non veicolo del covid, comunque le polveri sottili sono dei killer silenziosi che interessano veramente a pochi. Eppure le vittime in Italia sono diverse migliaia ogni anno.
    Di sicuro, in questi giorni, ci sono i cali improvvisi dopo le 22 del particolato..e chissà perchè..
    Grazie come sempre per le preziose informazioni che fornisce.

  2. Il mantra idiota della scuola come uno dei luoghi più sicuri non la si può dimostrare falsa solo perché il contact tracing è andato a quel paese da tempo (da noi già attorno ai 30 contagi al giorno, e già allora il 70% dei contatti originali non si trovava, e si trovavano solo quelli ovvi). Così risultava che il luogo principale di contagio era la famiglia, senza che nessuno si chiedesse come entrava il virus in casa. Sulla ventilazione, poi, cosa è stato fatto finora? Qui da noi niente di niente. E i disinfettanti fuori dalle porte che tutti toccano? (risposta delle autorità: “fuori di qui non è più un problema nostro, anche se si esce solo per la ricreazione”…).
    Comunque fioccano studi che mostrano l’importanza delle chiusure temporanee ( per es. uno dei tanti ). Per tacere dell’idiozia del trade-off. Come se non fosse (stato) possibile intervenire preventivamente migliorando sicurezza, aerazione, diminuendo numero di studenti per classi etc etc. Certo, servono risorse, ma come in tutte le cose sono scelte politiche, anche quelle di non decidere.
    https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(20)32625-8/fulltext

    1. stefano,
      in questi giorni, ci sono i cali improvvisi dopo le 22 del particolato
      Che strano, vero?
      Le vittime delle polveri sottili fanno notizia soprattutto quando esce il rapporto europeo e la Val Padana risulta la regione più inquinata. Ci sono parecchi gruppi anti-smog che fanno un buon lavoro di informazione, non solo a Milano penso, ma in questi mesi faticano a farsi sentire.

      Steph,
      Qui da noi niente di niente.
      Credevo che in Svizzera andasse meglio…
      Per quello che ho visto io, a Milano e dintorni in primavera c’era stata una mobilitazione di genitori e insegnanti, in alcune scuole con buoni risultati, ma dipendevano dall’impegno di pochi. Adesso c’è come un senso di sfinimento.
      Non solo per colpa dell’amministrazione – mancanza di personale e di risorse in tutti i servizi pubblici collegati – o di ripercussioni sottovalutate sulle altre attività sociali, c’erano anche aspettative poco realistiche sull’evoluzione della pandemia.
      Per tacere dell’idiozia del trade-off.
      Già, il solito problema della giustizia sociale, educativa, climatica. Siccome tout se tient, i trade-off sono tanti e li pagano di più quelli che non se li possono permettere.

  3. Credevo che in Svizzera andasse meglio..
    Intendevo dire niente per quel che riguarda la ventilazione nelle aule scolastiche , a parte alcune aule universitarie e dell’ETH (non tutte, comunque).
    Sul resto: mascherine e disinfettanti nelle aule e DAD quando è stato (primavera per scuole primarie e secondarie I e II) ed è (terziarie) il caso. Si dà però il caso che adesso sarebbe urgente passare alla DAD momentaneamente perlomeno nelle scuole post-obbligatorie (sec. II).
    By the way: intrigante il paper di Zhou et al., lo sto un po’ sviscerando, ci scrivo qualcosa nel blog.

  4. Sylvie, ha perfettamente ragione sulle polveri..qualche gruppo esiste (ne ho fatto parte..) ma sono le famose battaglie contro i mulini a vento, molto spesso contro l’opinione pubblica che comunque spesso recrimina il ‘diritto’ all’auto et similia. Però i ‘gruppi’ aiutano i cambiamenti (anche culturali..)..il problema è che si va a rilento..ma parecchio a rilento.
    Problema assolutamente sovrapponibile (dal punto di vista ‘logistico’) a quello climatico..si va piano e tutto ciò non è compatibile con le regole della fisica..le quali proseguono da sole per la loro strada.
    Pensi che sono così scemo che ho pensato di mandare diverse mail al dirigente scolastico per invitare i genitori a non teneri accesi i motori quando si lascia il figlio a scuola. C’è gente che fa i fumetti col diesel (non scherzo) e che cmq considera la combustione il minore dei mali..tanto, dicono, l’aria è già inquinata..
    Personalmente vado a piedi ma vedo tantissime persone che lasciano l’auto in moto durante le commissioni (mi chiedo se paghino o meno la benzina/diesel), riducendo l’aria già poco respirabile di Firenze (per motivi vari..) o che, retaggio di una ‘tradizione’ di decine di anni fa, ‘riscaldano’ il motore dell’auto da ferma: pratica oscena per la qualità dell’aria, quindi per la nostra salute e per la salute del motore stesso (il quale gira con pressione e quindi temperatura dell’olio ‘a freddo’..aumentando di non poco l’attrito tra i componenti interni..che lavorano, tra l’altro, a temperature differenti).
    Un saluto.

  5. Fosse anche vero che “le scuole sono un luogo sicuro” (basta non fat andare gli studenti in bagno, non farli mangiare e incollarli sulle sedie, che ci vuole?) è come dire che puoi lasciare gli skilift aperti a tutti, perché non è prendendo quelli che ti spezzi le ossa se cadi con gli sci. E alé, anche i principianti lassù, sulle piste nere, che tanto a salire non c’è rischio

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