Onnivore in campo


Gli economisti Robert Jensen e Nolan Miller hanno analizzato la spesa alimentare di 16.000 persone tra il 1991 e il 2000 in nove province della Cina, leggevo sull’Economist. Superato il livello di povertà estrema, 27 dollari al mese nel 2000, la gente cambia dieta. Sul cibo di base – per definizione, cereali, leguminose, alcuni tuberi – mette un po’ di pesce o di carne. Così in dieci anni la percentuale di chi arriva ancora meno di 2100 calorie/ giorno da cibo di base è salita dal 53 al 67%, ma la denutrizione è calata dal 49 al 32%.

Normale, siamo mammiferi oltre che onnivori. Per assimilare le proteine del riso o della soia, ci servono quelle di altri vegetali e, almeno durante i primi anni, parecchie proteine animali per es. del latte materno. A parte rari casi, fuori dal proprio contesto i nutrienti finiscono nella pip… nei metaboliti, come la vitamina C senza il contorno di antocianine.

L’industria alimentare aumenta i margini di profitto perché dissocia i nutrienti dei cibi di base, li riassocia e li “integra” per venderli a un prezzo maggiorato, temevo che l’Economist ne seguisse la propaganda. Invece ha un bell’articolo su povertà, nutrizione e agricoltura da far girare (non tanto in ActionAid che queste cose le dice da tempo). La nutrizione è  stata “considerata a lungo la Cenerentola dello sviluppo”, scrive, eppure la carenza di micronutrienti e le conseguenti malattie e mortalità sono aggravate dall’aumento dei prezzi:

invece di frutta, verdura, carne ricche di nutrienti le famiglie passano ai cibi di base

Ma sono proprio quelli a costare sempre di più. I contadini sono in prevalenza donne, quindi dovrebbero andare di pari passo un’agricoltura più redditizia, un aumento del reddito femminile e un calo di malattie e mortalità fra i bambini. Ma alla conferenza sulla sicurezza alimentare organizzata dall’IFPRI a Delhi la settimana scorsa, alcuni ricercatori dicevano che un aumento del PIL è altrettanto efficace, e addirittura riduce di più il numero dei bambini sottopeso. Anche nei paesi poveri, infatti, la popolazione che compra il cibo è più numerosa di quella che lo coltiva: è la povertà a far differenza. Purtroppo i sussidi statali sono destinati innanzitutto alle monoculture di cereali, invece di favorire la diversificazione, gli orti e le infrastrutture indispensabili in generale: acqua non inquinata, micro-irrigazione, trasporti sicuri per le donne, diritti umani e civili come quello a possedere un pezzo di terra.

Sul sito dell’IFPRI ci sono moltissimi materiali;  il nuovo libro di Abhijit Banerjee ed Esther Duflo, Poor Economics, è gratis on line; altri dati sulle verdure con nutrienti integrati bene da Harvest Plus; sugli orti dalla Helen Keller Foundation. E’ pronto il rapporto Il Pane e le Rose e siete tutte e tutti, meno uno, invitati a discutere di questi temi

giovedì 31 marzo, nella Sala Carla Lonzi della Casa Internazionale delle Donne in Via della Lungara 19 a Roma, da ActionAid e da Donne in Campo
ore 15.30: Beatrice Costa di ActionAid Italia presenta brevemente il rapporto
ore 15.45: Margherita De Bac del Corriere della Sera modera la tavola rotonda con Susanna Camusso, segretario generale Cgil; Cristiana Coppola, vice pres. Confindustria; Mara Longhin, pres. Associazione Donne in Campo; Chiara Somajni, ovazione, pres. di ActionAid Italia
ore 17.30: conclude Giuseppe Politi, pres. naz. della Confederazione italiana agricoltori. Aperitivo con prodotti agricoli, ovazione, di Donne in Campo.

Fuori campo
Spesso lo zootecnico onnisciente Claudio Costa lamenta che la sua associazione di categoria lo lascia solo a difendere allevamenti e mangimi industriali. Senza chiedersi il perché della propria solitudine, il 27 marzo scrive su Climate Monitor che sta alle bufale come le Grandi Pianure stavano ai bisonti:

L’uomo quindi, sfrutta meno la superficie agricola utile perchè non può mangiare il silomais anche se a Riffkin, Pollan, Foer, Tozzi, Veronesi, Pratesi, Maugeri ecc io una bella insalatiera di silomais gle la farei mangiare così si accorgono dove sbagliano a fare i confronti.

Dato che sulla “superficie agricola utile” cresce soprattutto mangime, a sbagliare le misure sono pure gli scienziati

Tutte le analisi sull’impronta del carbonio fatte sui prodotti zootecnici, quindi su tutta la filiera, sono viziate da gravissimi errori di fondo nella stima delle emissioni zoogeniche

in combutta con i feroci ambientalisti che vogliono strapparci la braciola di bocca

Il WWF vorrebbe ridurre il consumo di carne in Gran Breatagna dell’80% nei prossimi anni e il prima possibile

Ennesima bovina, persino l’associazione britannica della sua categoria dice che C. Costa confonde emissioni e consumi.

p.s. Gli amici dell’Icarda dicono che Aleppo è tranquilla e ci sono solo manifestazioni pro-governative. Non possono dire il contrario, comunque stanno bene.