Grameen

Non c’entra la scienza. Ieri ero contenta per Orhan Pamuk, oggi per Muhammad Yunus e la Grameen Bank. Anche se avrei preferito che gli dessero il premio per l’economia in memoria di Alfred Nobel. Ma lo decide la Banca di Svezia, c’era poco da sperarci.

Con la sua Grameen Bank, Yunus ha fatto la prima rivoluzione economica da quando i banchieri esistono: il micro-credito. Prima, nessuna banca poteva permetterselo. A prestare 30 euro per 5 anni, spendeva talmente tanto in personale e moduli e burocrazia varia che ci rimetteva, mentre il suo ruolo era di fare profitti. E poi prestare ai poveri, magari analfabeti e senza un ciuffo d’erba  come “garanzia collaterale” da confiscare nel caso non pagassero gli interessi o la rata, chi glielo faceva fare?

I primi vent’anni di Grameen sono nel Banchiere dei poveri (Feltrinelli, costa poco). Il libro non racconta l’altra storia, quella di un bengali di famiglia ricca, professore di economia negli USA, che dopo l’ennesima catastrofe torna in patria a dare una mano. Uno che presto si rende conto che solo le donne possono tirarsi fuori dalla povertà, che si fida della loro forza quando non sono isolate.

Di rientro nel Bangladesh, studia l’organizzazione sociale di un villaggio, i suoi “flussi monetari” (poche monete), la violenza degli usurai che fanno prestiti alle stesse famiglie cui vendono le materie prime a prezzi esosi, da cui comprano i manufatti sottocosto, e così le fanno sprofondare ancora di più nella miseria.

Diversamente dagli uomini, verifica Yunus, le donne non si bevono mai un prestito, lo usano per migliorare le condizioni di tutti quelli che devono accudire, bambini, vecchi. Per il bene della specie. Non tanto per virtù innata, ma perché volendo o nolendo sono immobilizzate dalle proprie incombenze e, diversamente dagli uomini, non possono scappare nelle periferie delle grandi città – dove finirebbero malissimo – il giorno prima che si presenti l’esattore. L’esattrice nel caso della Banca Grameen di cui, a prestito rimborsato, le ex debitrici possono comprare una quota. L’hanno fatto in due milioni e rotti per cui il premio Nobel per la Pace di oggi è diviso fra Yunus e due milioni e rotti di “banchiere”.

Ho conosciuto alcune di loro all’Aia, a un vertice sull’acqua che nel loro paese è inquinata dall’arsenico delle rocce. Lui, l’avevo intervistato quando era venuto a Radio Popolare di Milano. Era appena uscito il suo libro, eravamo andati al Festival della letteratura di Mantova, lui a presentarlo, io a moderare la presentazione. Tondo, gentile – incantato dalla bellezza della città, aveva camminato fino notte fonda, “mi sembra di stare in un teatro, in un film” – e sotto inflessibile. Da poco erano finiti gli attacchi di grandi enti come la Banca Mondiale e altri, i tentativi di discreditarlo accusandolo di truffa, di aver impiantato uno “schema piramidale”.

Certe femministe americane, dall’alto della propria cattedra per le Women Studies, lo accusavano ancora di “appropriarsi del sapere femminile”. Da poco sua moglie aveva chiesto il divorzio ed era tornata in America, non sopportava di vivere con tanta povertà sotto gli occhi.

Oggi Grameen è un “impero finanziario” – vien da ridere, il prestito medio è ancora di 50 euro – con tante iniziative e non solo in Bangladesh. Altri nel Terzo mondo ne hanno adottato il modello, per prima la BRAC che era meno femminista all’origine. Ma Grameen resta speciale: di tutte le banche del mondo, comprese quelle “normali”, è quella con la più alta percentuale di prestiti ripagati stando ai revisori dei suoi conti, alcuni dei quali membri della Corte dei Conti della Norvegia (già pagati dallo stato norvegese, quindi gratuiti).

Perché tanti stranieri a controllarvi? gli avevo chiesto una volta. Perché noi abbiamo bisogno di indipendenza e trasparenza.

Anche la scienza, adesso che ci penso. Una bella giornata, insomma.