Spinta da una notizia sul web di Nature, vado a leggere su Nature Neuroscience un articolo di Joseph LeDoux dell’università di New York, specialista della paura e dell’amigdala, la struttura del cervello che la media. Lo seguo, non solo perché è uno serio, ma perché non lo sono stata io. Ho tradotto un suo libro in fretta e per motivi alimentari, purtroppo si vede malgrado le cure redazionali.
Be’, usando un farmaco di cui si sapeva che procurava amnesia, nei ratti è riuscito a eliminare un ricordo spiacevole lasciando intatti gli altri. A tutti, ha insegnato ad associare due suoni diversi a scariche elettriche – lievi, altrimenti lo shock avrebbe rovinato l’esperimento – e quindi a temerli anche se non erano più accompagnati da scosse.
Poi a una metà, ha iniettato il farmaco e a tutti quanti ha fatto ascoltare uno dei due suoni. Il giorno dopo, quelli che avevano ricevuto l’iniezione non avevano più paura di quel suono lì.
Il farmaco – disponibile solo per ricerche di laboratorio – blocca proteine che le cellule producono per comunicare tra loro (MAPK e MEK varie, comprese le MEK inattive). Si capisce la sorpresa di LeDoux e dei suoi colleghi quando hanno capito che potevano renderlo efficace per un singolo ricordo dovuto a un singolo stimolo. O meglio, dall’articolo non è che si capisca tanto, con tutte quelle sigle e quei percorsi neuronali…
Poi m’ha incuriosita la ricerca di Bianchi, Eckendorff et al. uscita ora su Neurobiology of Aging, secondo la quale certi gas anestetici sarebbero una delle cause di Alzheimer.
Anche mia madre, dopo una serie di interventi e quindi di anestesie, è rimasta spaesata tra fantasie e realtà, spiazzata nella vita reale, il cosiddetto “declino cognitivo post-operatorio”.
I topi di Bianchi et al. erano di quelli geneticamente modificati per accumulare una proteina (amiloide beta) che forma delle placche nel cervello dei pazienti affetti da Alzheimer. Gli anestetici ne hanno aumentato la produzione, ma questo non basta ancora a spiegare che cosa c’entra la proteina con l’Alzheimer, se ne è la causa o la conseguenza o un elemento tra altri del processo di invecchiamento, della minor efficienza del sistema, insomma.
E soprattutto non spiega perché il “declino cognitivo post-operatorio” è reversibile e l’Alzheimer no.
Ma forse spiega quello che è successo a un commerciante di marijuana su un highway di Orange County, vicino a Los Angeles. E’ sceso dal camion a noleggio, lasciandoci sopra erba per circa 20 milioni di dollari e prima che tornasse, è arrivata la polizia e ha portato via contenitore e contenuto. Dice che lo brucerà (dice sempre così.)
Un dato interessante riportato dalla BBC e da CNN è che secondo la DEA (Drug Enforcement Administration, per la repressione delle droghe) l’erba è la coltivazione più redditizia degli USA con un mercato di 25 miliardi di dollari all’anno. Legalize it and tax it, come diceva – in un’intervista a Radio Popolare – Gary Becker, premio Nobel per l’Economia, della Chicago School of Economics e difensore del libero mercato.
P.S. Segnalo l’organizzazione Nobel a Silvia Ballestra (vedi Contro le donne nei secoli dei secoli, Saggiatore, 7 euro). Celebra l’8 marzo per tutto il mese, dedicando la prima pagina del suo web alle 33 premiate. Su 768.