Vendere centrali nucleari all’opinione pubblica è difficile, in questo periodo. Alle notizie sull’incidente occorso durante il terremoto a una centrale nucleare giapponese, ai “scenari di guerra” preparati da alcuni governi per impedire all’Iran di costruire una bomba atomica, e ai libri sulla capacità o meno di gruppi terroristi di fare altrettanto, si aggiunge la difficoltà di monitorare il traffico di materiale radioattivo, come dimostra un guaio appena capitato al Dipartimento americano per la sicurezza interna.
Il suo direttore è Michael Chertoff, l’avvocato, ex procuratore del tribunale del New Jersey, consulente del presidente Bush per la “guerra contro il terrore” ecc. noto per l’inefficienza nell’organizzare i soccorsi dopo l’uragano Katrina.
Venerdì scorso, il Washington Post raccontava questo. Mesi fa, Chertoff aveva convinto il Congresso a dargli 1,2 miliardi di dollari per installare rilevatori di radioattività alle frontiere e nei porti. Modelli high-tech, sensibili nel 95% dei casi, 317.000 dollari cad. Poi l’Office for Government Accountabilty ha fatto un controllo, e ha scoperto che rilevavano radiazioni tra il 17% e il 50% dei casi. Peggio che testa o croce. Quel “95%”, dice Chertoff, non se l’era inventato, era l’opinione di Vayl Oxford, il capo del Domestic Nuclear Detection Office (DNDO), un ramo del Dipartimento.
Vayl Oxford, nel febbraio 2005, aveva detto al Congresso che i sensori installati dopo l’11 settembre 2001 andavano sostituiti perché erano “poco efficaci”.