Scienziati senza frontiere

Ieri alle 15, c’è stato “La scienza nel braccio della morte“, l’incontro più emozionante dei dieci giorni del festival di Genova, penso.

Vittorio Colizzi di Tor Vergata e Luc Montagnier stanno in mezzo agli scontri tra scienza e politica da anni. Erano testimoni nel processo alle infermiere bulgare e al medico palestinese sin dall’inizio, e la storia è nota. Ma a Genova s’incontravano per la prima volta di persona i protagonisti dell’indagine scientifica, senza più obblighi di segretezza o di diplomazia e la prima sorpresa è venuta da Rich Roberts che aveva scritto l’appello al governo libico e raccolto le firme di altri Nobel.

Ha raccontato come si era mosso, a naso e a buon senso, senza l’aiuto dal Dipartimento di stato americano. Per fortuna ha conservato il passaporto britannico e il Foreign Office s’è mobilitato.

L’altra sorpresa è venuta da quelli che un anno fa, hanno fornito l’ultima prova, quella risolutiva (per dirla con Roberts che da piccolo voleva fare il detective). Oliver Pybus dirige il laboratorio di Oxford dove sono stati misurati i tassi di evoluzione degli HIV e dei virus per l’epatite C trovati nel sangue dei bambini libici curati in Europa.

Lui –  noto per lavori teorici in biologia evoluzionistica- s’è ritrovato, insieme a Tulio de Oliveira, in una situazione più da Emergency o da Medici senza frontiere che da unità di ricerca universitaria. Come hanno fatto ad analizzare le sequenze genetiche in pochi giorni (ricevute il 24 ottobre, i risultati erano controllati, confrontati, rianalizzati e pronti per la pubblicazione il 12 novembre)?

“Potenza dei 50 computer del lab e di modelli affinati in 15 anni di ricerca,” dice Oliver. “Sì, ma anche perché abbiamo passato dieci giorni quasi senza dormire,” dice Tulio.

Giustizia non è fatta, è stato solo dimostrato che decine di infezioni sono iniziate prima dell’arrivo dei sei accusati in Libia e che altre sono iniziate dopo che erano stati incarcerati nel 1999.

Ha ragione Vittorio Colizzi, Oliver somiglia a Harry Potter. E Tulio a chi? No saprei ma ha un volto familiare, con una lunga treccia bruna che gli ricade sulla schiena. Coordinava il tutto John Bohannon, il “gonzo scientist” di cui vi dicevo venerdì.

Adesso il lab di Oliver è di nuovo “nel reale”, sta analizzando il tasso di mutazione del patogeno della Chikungunya italiana.