Per preparare la conferenza di Bonn a fine mese e il vertice di dicembre, dal 10 al 12 l’università di Copenaghen aveva organizzato il convegno internazionale “Cambiamento climatico: rischi, sfide e decisioni globali“. L’hanno seguito parecchi giornalisti di Nature, compreso il caporedattore Oliver Morton. Autore tra l’altro di Eating the Sun che sembra un mattone e invece è molto digeribile.
Cronaca quotidiana del convegno sull’apposito blog con tanti link – quello sulla geoingegneria è da brivido – e per chi ha fretta, Olive Heffernan fa un riassunto.
Qui fra tagli alla spesa, ritorno delle api (stamattina gli apicoltori piemontesi erano ancora imbufaliti) e neuroni di Dio, la stampa italiana non ne ha potuto riferirne. Meglio così? Persino l’Economist – principale sostenitore di Bjørn Lomborg e del consenso di Copenaghen – ne riporta solo ricerche allarmanti sull’innalzamento più veloce del previsto del livello del mare. Cita anche Konrad Steffen a proposito dei ghiacciai islandesi che scivolerebbero inarrestabili nell’Atlantico. Però quello che si sa della loro dinamica è ancora contradittorio – per es. Ian Howat, 2007 – e sarebbe interessante vedere se i nuovi dati dei gemelli Grace coincideranno con le misure a terra.
Il dissenso sul picco del carbone
A fine anno, David Rutledge del Caltech aveva presentato a un convegno un modello -mutuato da quello di Hubbert per il petrolio – secondo il quale avremmo esaurito il 90% del carbone verso il 2069. L’ha appena aggiornato e potete scaricarne il power-point dal suo web.
Su Science di oggi, Michael Kerr consulta un po’ di geologi. Come al solito metà sono d’accordo con riserve varie e l’altra metà sostiene che c’è ancora carbone per 150 anni.