Cifre alla mano, conviene lasciarli vivere

Al vertice di Madeira, l’International Whaling Commission ha deciso di… non decidere. Se il Giappone sarà autorizzato ad uccidere balene nelle sue acque costiere, si vedrà un’altra volta. Forse deciderà la crisi economica: nel primo semestre di quest’anno, il governo giapponese ha dovuto versare 12 milioni di dollari alla sua “industria baleniera”, come al solito da quando il prezzo della carne è sceso da 30 dollari quindici anni fa a 12 nel 2005 e da lì non è più risalito.

E l’International Fund for Animal Welfare – IFAW, di parte, ma nessun altro fa i conti – dice che nel 2008 il whale watching ha reso 2,1 miliardi di dollari.

“Mammoth evacuation”
L’IFAW che non è specista ha appena salvato 83 elefanti, traslocandoli dalla “riserva” statale di Mangochi, vicina al lago Malawi, dove i contadini li volevano far fuori per proteggere i propri raccolti, e gli elefanti contrattacavano. Adesso sono nella riserva di Majete, sempre nel Malawi, gestita da un’azienda privata.

Un mese fa, Ismail Khan – un “uomo d’affari” – aveva tentato di bloccare il trasferimento, facendo ricorso ai tribunali perché:

The tourists come here to see animals. They don’t come here to swim. There’s a lot of water all over this universe. And beaches, and everything facilities that we do not have. They come to see animals. And this is a tourist area, Mangochi, and they are taking our elephants away. Are tourists going to come here to Mangochi? No, I doubt it. (via National Geographic).

Giusto, anche se l’Alta Corte del paese gli ha dato torto e l’evacuazione mammut sospesa in attesa della sentenza è potuta ripartire. D’altronde se il signor Khan fosse stato un uomo d’affari lungimirante avrebbe investito in arnie di api africane da mettere attorno alle coltivazioni, per fare da deterrente*.

E si ripagava l’esborso vendendo miele ai turisti. Il governo giapponese idem, se investiva per trasformare le sue baleniere da navi da macello in navi da crociera per i 13 milioni annui di whale-watchers…

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Su New Scientist, c’è un’intervista di Lawrence Anthony, “l’uomo che sussurra agli elefanti” e che nel libro omonimo racconta come ne ha salvati a decine dal “culling”, la decimazione sistematica decisa da alcune riserve africane perché gli elefanti distruggerebbero la biodiversità.

Non credo: se fosse così, il delta dell’Okavango sarebbe brullo.

Anthony è quello che “da ingenuo” era andato a salvare gli animali dello zoo di Baghdad sopravvissuti ai bombardamenti e altri guai dopo l’invasione. Quasi ci lasciava la pelle pure lui, ma davanti alla sua determinazione gli iman della città hanno ingiunto ai fedeli di lasciarlo vivere.