Bio-insostenibile?

Sulle Ecology Letters, Doreen Gabriel et al. dell’università di Leeds pubblicano “Scales matters: the impact of organic farming on biodiversity at different spatial scales”. Usando una trentina di parametri, hanno confrontato la resa di 192 campi appartenenti a 32 fattorie, metà che praticavano l’agricoltura organica e metà no, e l’aumento della biodiversità (uccelli, insetti, piante, lombrichi) nel Central South West e nei North-Midlands.

In media la resa bio era era inferiore del 55%, la biodiversità maggiore del 12,6%.

Conclusioni: su piccola scala l’agricoltura organica giova poco alla biodiversità, su grande scala di più e anche la resa migliora un po’; nelle zone dove la biodiversità totale è più elevata (gli “hotspots”), lo sono anche i parassiti e gli agricoltori bio devono usare più antiparassitari; viste le rese più che dimezzate, “non è sostenibile promuovere l’agricoltura organica come unico metodo”, dice David Benton, il responsabile della ricerca.

Nelle precedenti ricerche di questo tipo, l’incremento di biodiversità risaltava di più perché, dice sempre Benton, i campi erano piccolini e avevano attorno più siepi e boschi. Partivano “vantaggiati”, perciò ha “sottratto questi paesaggi dalle equazioni”. Il che semplifica il confronto con l’agricoltura tradizionale, ma sottrae dalle equazioni anche la resa economica dell’agriturismo, più frequente in quei paesaggi che tra le monocolture.

Comunque a parità di resa l’agricoltura bio richiede un’estensione doppia rispetto all’altra, quindi

E’ un lusso che non ci possiamo permettere. (…) Per soddisfare la domanda futura di produzione alimentare, dobbiamo continuare a coltivare le nostre aree più produttive nel modo più intensivo possibile, e potenzialmente compensarne gli effetti gestendo i terreni rimanenti esclusivamente come riserve naturali.

La previsione su una crescita dell’appetito britannico per la verdura locale non mi pare confermata da altre fonti e, a parte il principe Carlo e seguaci, non so chi promuova l’agricoltura bio come “unico metodo”. Una sua maggiore diffusione sarà forse un lusso nel Regno Unito. Nell’Unione Europea con le sue eccedenze alimentari, forse no. Nel terzo mondo, no di certo: per i contadini poveri che sono la stragrande maggioranza, è l’unico metodo sostenibile finché non potranno permettersi gli altri.

Vado a Sassari a parlare di biodiversità, torno domenica.